giovedì 31 maggio 2012

L'intervento criminale degli Stati Uniti in Honduras, Messico ed America Centrale-La intervención criminal de Estados Unidos en Honduras, México y América Central




L'intervento criminale degli Stati Uniti in Honduras, Messico ed America Centrale

Mopassol
 Maggio 2012
Appello urgente del Movimento per la Pace, la Sovranità e la Solidarietà tra i Popoli
Il recente massacro di membri della comunità miskita sul Rio Patuca, in Honduras, l'11 maggio scorso, quando due elicotteri dell'agenzia antidroga degli Stati Uniti (sigla inglese DEA) spararono su una canoa in cui viaggiavano dei contadini, ammazzando due donne incinte, due uomini e ferendo gravemente altre quattro persone, evidenzia non solo la continuità del terrorismo di Stato imposto dal golpe militare del giugno 2009 contro il presidente Manuel Zelaya, ma anche la tragica occupazione militare nordamericana in quel paese.
Sullo sfondo di questo attacco su cui, secondo quanto viene riportato, "si indaga" a Washington, non soltanto si percepisce la militarizzazione statunitense dell'Honduras, con 5 basi militari e centri operativi oltre a quella di Palmerola, strategica per la IV Flotta, ma si evidenzia un'aggressione contro i miskitos, per facilitare l'occupazione della zona e l'imposizione del corridoio mesoamericano di agrocombustibili.
Le uccisioni quotidiane di contadini, dirigenti sindacali e politici, maestri, studenti e giornalisti (in quest'ultimo caso sono 25 gli assassinati dall'inizio del 2010) sono la dimostrazione che l'attuale governo di Porfirio Lobo, sorto da elezioni convocate e dirette dai militari golpisti del giugno 2009, è solo la continuità di quella dittatura. Gli assassini commessi dalle forze d'occupazione in questo paese sono quotidiani e mettono in risalto che proprio questo è il progetto-copione degli Stati Uniti per l'America Latina, se li lasciamo progredire. Il tasso di crimini raggiunge l'86,5 % ogni 100.000 abitanti. Si stimano circa 700 omicidi al mese e circa 20 vittime al giorno. Il 55 % degli omicidi è avvenuto nella zona settentrionale del paese, Atlantide, Cortés e Francisco Morazán. L'84,6 % degli omicidi con armi da fuoco e quasi il 28 % per mano di sicari.
Si sa che vi sono consulenti israeliani, paramilitari e sicari colombiani, in seguito ad un accordo dei golpisti con l'ex presidente della Colombia Álvaro Uribe, ex militari argentini e della Fondazione Uno America, che partecipò attivamente al golpe. Centinaia di persone sono state arrestate e torturate. Ma non potendo piegare la resistenza e capendo che non hanno possibilità di vincere nuove elezioni, la repressione aumenta ogni giorno. Non possiamo lasciare solo il popolo honduregno. È nostro dovere pronunciarci in modo solidale di fronte alle energiche denunce delle organizzazioni popolari dell'Honduras, denunce che la grande stampa tace in maniera sistematica.
La cosa più grave, nel caso dei miskitos, è stato il tentativo di giustificare quegli assassini da parte del Direttore della Polizia Nazionale, Ricardo Ramírez Cid, il quale ha dichiarato che "sulla scena vi fu una sparatoria con scambio di colpi". Persino quando venne determinato che le vittime erano disarmate ed i sopravvissuti ricoverati a La Ceiba avevano riferito che era stato sparato loro a tutt'andare con mitragliatrici e granate. La stessa cosa succede coi crimini e le minacce contro i contadini dell'Aguán. Il popolo miskito è uno dei più colpiti dalla tragedia dell'occupazione della nazione centroamericana, così come dalla corruzione di polizia e militari relazionata al narcotraffico, oltre che dal feudalesimo imperante in quella zona del paese, sprofondata in una povertà immensa. Ci sono oltre 1700 invalidi e decine di morti nella comunità miskita.
Il quotidiano New York Times, nella sua edizione del 5 maggio scorso, in apertura d'un articolo segnala che l'"Armata degli Stati Uniti, usando lezioni del conflitto del decennio scorso (Iraq) nella guerra in corso nella selva miskita, ha costruito un accampamento (centro operativo) di scarsa notorietà pubblica, ma appoggiato dal governo honduregno". Il citato articolo rivela l'installazione di tre "basi come avamposti operativi" ubicate in Mocorón, Puerto Castillia, El Aguacate".
Il Comando Sud del Pentagono sta auspicando per tutta l'America Centrale quelli che vengono definiti gli "stati falliti", per giustificare gli interventi in nome della sicurezza nazionale, ovvero il vecchio schema con cui seminarono dittature in tutto il continente durante il XX secolo. In tale direzione puntano gli "accordi di sicurezza" che gli Stati Uniti stanno stabilendo coi paesi della regione.
Alla situazione dell'Honduras, che si aggrava ogni giorno contando già migliaia di morti, si aggiunge la tragedia messicana, sulla quale si estende un silenzio complice. Da quando il Messico firmò con gli Stati Uniti il Plan Merida nell'anno 2006 (una replica del Plan Colombia) e Washington inviò armi e consulenti per una presunta guerra contro il narcotraffico, più di 55.000 persone sono state sequestrate ed assassinate in maniera atroce, seminando il terrore nel nord del paese. Vi sono circa 10.000 desaparecidos. Le Forze Armate intervengono direttamente nel conflitto e nessuno ignora, a questo punto degli avvenimenti, che la maggioranza di quei morti non ha nulla a che vedere col narcotraffico e che gli Stati Uniti hanno fornito armi ai gruppi paramilitari quali gli Zeta, come si è scoperto investigando con l'Operazione Castaway (Operazione Naufrago) o Rapido e Furioso.
Si trattava di una presunta operazione segreta della DEA per consegnare armi e "scoprire" le vie del contrabbando. Ma quelle armi andarono a finire in mano ai paramilitari messicani, che si sono addestrati nella tortura con la popolazione civile e con gli emigranti verso gli Stati Uniti, che vengono assassinati e trasferiti altrove, come s'è visto dalla comparsa di cadaveri in luoghi svariati.
Il Messico è stato fatto diventare uno stato fallito e caotico, che secondo politici repubblicani minaccia ora "la sicurezza degli Stati Uniti", e pertanto potrebbe essere passibile d'intervento, specie se alle prossime elezioni non vinceranno i loro "eletti" come governanti. Le armi USA sono state destinate anche alle "maras", bande create in quella nazione e quindi rispedite ai rispettivi paesi d'origine, El Salvador, Honduras e Guatemala, con lo scopo di farvi regnare il crimine ed il caos.
L'Honduras sotto un celato terrorismo di Stato e il Guatemala, dove il femminicidio e la violenza del vecchio militarismo e paramilitarismo controinsurrezionale si consolida con l'avvento alla presidenza di un ufficiale dei "Kaibiles", la forza speciale più brutale di tutti i tempi, preparata negli Stati Uniti ed autrice di crimini di lesa umanità e di scomparsa d'interi villaggi, i cui abitanti furono eliminati.
Essi vanno ad integrare il numero degli oltre 90.000 desaparecidos durante le dittature militari guatemalteche, il più alto dell'America Latina considerando che la popolazione supera di poco i 10 milioni d'abitanti.
Tutto ciò fa parte della realtà centroamericana, cui aggiungere il governo conservatore di Panama che ha già compiuto massacri di indigeni, persecuzione di lavoratori e firmato con gli Stati Uniti l'installazione di 12 basi militari e centri operativi, accerchiando così tutto il paese che era riuscito a liberarsi dal Comando Sud alla fine del 1999.
La tragedia illimitata in America Centrale si protende con la virtuale occupazione della Colombia, con almeno 8 basi militari straniere ed un terrorismo di Stato occultato da anni. Occultato attualmente con una presunta "Democrazia di Sicurezza", nella quale giorno per giorno continuano i massacri ad opera di militari e paramilitari, nella quale si ostacola qualunque processo di pace che implichi un vero cambiamento nel paese. La Colombia è la nazione dell'America Latina, insieme al Guatemala, col maggior numero di persone morte e scomparse del continente nel corso del XX secolo e finora del XXI.
Di fronte a questa realtà, cui aggiungere i trattati di libero commercio firmati con vari governi della regione, l'invasione delle agenzie degli Stati Uniti nel continente e la crescente militarizzazione della regione stessa, con le conseguenze sociali e politiche di cui siamo testimoni, il Movimento per la Pace, la Sovranità e la Solidarietà tra i Popoli (Mopassol), esorta le organizzazioni popolari ad estendere la solidarietà, a realizzare atti e petizioni per fermare il massacro di popoli fratelli, a denunciare i gravi pericoli di un inasprimento dell'intervento straniero che inevitabilmente si estenderebbe verso tutto il continente.
È ora di dire basta al crimine e fermare la guerra di bassa intensità, l'invasione silenziosa delle fondazioni del potere imperiale e la militarizzazione che tenta una ricolonizzazione regionale nel secolo XXI.

La intervención criminal de Estados Unidos en Honduras, México y América Central

Mopassol
Llamamiento urgente del Movimiento por la Paz, la Soberanía y la Solidaridad entre los Pueblos
La reciente masacre de integrantes de la comunidad miskita en el Río Patuca, en Honduras, el pasado 11 de mayo cuando dos helicópteros de la agencia antidrogas de Estados Unidos (DEA en sus siglas en ingles), dispararon sobre una canoa en la que viajaban los campesinos matando a dos mujeres embarazadas, dos hombres e hiriendo gravemente a otros cuatro, evidencia no sólo la continuidad del terrorismo de Estado impuesto por el golpe militar de junio de 2009 contra el presidente Manuel Zelaya, sino también la trágica ocupación militar norteamericana en ese país.
Detrás de este ataque que “se investiga” en Washington -según se informa- no sólo se advierte la militarización estadounidense de Honduras, con cinco bases y centros de operaciones además de Palmerola (estratégica para la IV Flota) sino que se trata de un ataque directo contra los miskitos, para facilitar la ocupación de la zona y la imposición del corredor mesoamericano de agrocombustibles.
Los asesinatos cotidianos de campesinos, dirigentes sindicales y políticos, maestros, estudiantes y periodistas – en este caso suman 25 asesinados desde principios de 2010- permiten comprobar que el actual gobierno de Porfirio Lobo, surgido de elecciones convocadas y digitadas por los militares golpistas de junio de 2009, es sólo una continuidad de esa dictadura. Los asesinatos cometidos por la fuerzas de ocupación en este país son cotidianos y evidencian que ése es el proyecto-guión de Estados Unidos para América Latina, si los dejamos avanzar. La tasa de crímenes alcanza al 86,5 por ciento por cada cien mil habitantes. Se estiman alrededor de 700 homicidios mensuales y unas 20 víctimas diarias. El 55 por ciento de los homicidios ocurrieron en la zona norte del país (Atlántida, Cortés y Francisco Morazán). El 84,6 por ciento con armas de fuego, Y en casi el 28 por ciento de los asesinatos participaron sicarios.
Se conoce que hay asesores israelíes, paramilitares y sicarios colombianos, después de un acuerdo de los golpistas con el ex presidente de Colombia Alvaro Uribe, así como ex militares argentinos y de la Fundación Uno América, que participó activamente en el golpe. Centenares de personas han sido detenidas y torturadas. Pero al no poder doblegar la resistencia y al entender que no tienen posibilidad de ganar en nuevas elecciones, la represión aumenta cada día. No podemos dejar solo al pueblo hondureño. Es nuestro deber pronunciarnos solidariamente ante las enérgicas denuncias que realizan las organizaciones populares de Honduras, denuncias que la gran prensa silencia de manera sistemática.
Lo más grave, en el caso de los miskitos fue el intento de justificación de esos asesinatos por parte del Director de la Policía Nacional, Ricardo Ramírez Cid, quien dijo que ”hubo un intercambio de disparos en la escena”. Aún cuando se observó que las víctimas estaban desarmadas y los sobrevivientes hospitalizados en La Ceiba relataron que les dispararon a mansalva con ametralladoras y granadas. Lo mismo sucede con los crímenes y amenazas contra los campesinos del Aguán. El pueblo miskito es uno de los más golpeados por la tragedia de la ocupación de ese país centroamericano, así como por la corrupción policial y militar en el tema del narcotráfico, además del feudalismo imperante en esa zona del país, sumida en una enorme pobreza. Hay más de 1700 lisiados y decenas de muertos en la comunidad miskita.
El diario New York Times en su edición del pasado 5 de mayo encabeza un artículo señalando que la “Armada de los Estados Unidos, usando lecciones del conflicto de la década pasada (Irak) en la guerra que está siendo peleada en la selva miskita, ha construido un campamento (centro operativo) con poca notoriedad pública pero con apoyo del gobierno hondureño”. El citado artículo reconoce la instalación de tres “bases de operaciones de avanzada” ubicadas en Mocorón, Puerto Castilla y El Aguacate”.
El Comando Sur del Pentágono está auspiciando en toda Centroamérica lo que llaman “estados fallidos” para justificar las intervenciones en nombre de la seguridad nacional, el viejo esquema con que sembraron dictaduras en todo el continente en el siglo XX. En esa dirección apuntan los “acuerdos de seguridad” que Estados Unidos viene estableciendo con los países de la región.
A la situación de Honduras que se agrava cada día sumando ya miles de muertos, se suma la tragedia mexicana, sobre la que se extiende un silencio cómplice. Desde que México firmó con Estados Unidos el Plan Mérida en el año 2006 (una réplica del Plan Colombia) y Washington envió armas y asesores para una supuesta guerra contra el narcotráfico, más de 55 mil personas han sido secuestradas y asesinadas en forma atroz, sembrando el terror en el norte de ese país. Existen unos diez mil desaparecidos. Las Fuerzas Armadas intervienen directamente en el conflicto y nadie ignora a esta altura de los acontecimientos que la mayoría de esos muertos nada tienen que ver con el narcotráfico y que Estados Unidos entregó armas a los grupos paramilitares como los Zetas, como se ha descubierto investigando la Operación Castaway (Operación Náufrago ) o Rápido y Furioso.
Supuestamente, se trataba de una operación encubierta de la DEA para entregar armas y “conocer” las vías del contrabando. Pero esas armas fueron a parar a manos de los paramilitares mexicanos, que se entrenan en tortura con la población civil, y con inmigrantes que van hacia Estados Unidos y son asesinados y despedazados, como se ha visto en la aparición de cadáveres en distintos lugares.
México ha sido convertido en un estado fallido, y caótico que según políticos republicanos amenaza ahora “la seguridad de Estados Unidos”, y por lo tanto podría ser pasible de una intervención, especialmente si en las elecciones próximas no ganan sus “elegidos” como gobernantes. Las armas de EE.UU también fueron para las “maras” creadas en ese país y luego enviadas a sus países de origen, tanto El Salvador como Honduras y Guatemala, con la finalidad de mantener el crimen y el caos.
Honduras bajo terrorismo de Estado encubierto y Guatemala, donde el feminicidio y la violencia del viejo militarismo y paramilitarismo contrainsurgente se potencia con la llegada a la presidencia de un oficial de los “Kaibiles” la fuerza especial más brutal de todos los tiempos, preparada en Estados Unidos y autora de crímenes de lesa humanidad y de desaparición de aldeas enteras, cuyos pobladores fueron eliminados.
Estos integran la cifra de más de 90 mil desaparecidos durante las dictaduras militares guatemaltecas, la más alta de América Latina considerando además la población de poco más de diez millones de habitantes.
Esta es parte de la realidad centroamericana, a lo que se añade el gobierno derechista de Panamá, que ya ha producido matanzas indígenas, persecución de trabajadores y firmado con Estados Unidos la instalación de doce bases militares y centros operativos rodeando todo el país, que había logrado liberarse del Comando Sur a fines de 1999.
La tragedia ilimitada en Centroamérica se continúa con la virtual ocupación de Colombia con por lo menos ocho bases militares extranjeras y un terrorismo de Estado encubierto desde hace años y ahora en una supuesta “Democracia de Seguridad”, donde continúan las matanzas militares y paramilitares día por día y se impide cualquier proceso de paz que signifique producir un verdadero cambio en ese país. Colombia es el país de América Latina que junto con Guatemala, tiene la mayor cifra de muertos y desaparecidos del continente a lo largo del siglo XX y lo que va del XXI.
Ante esta realidad, a lo que se unen los tratados de libre comercio firmados con varios gobiernos de la región, la invasión de las agencias de Estados Unidos en el continente y la militarización de la región en ascenso, con las consecuencias sociales y políticas que estamos viendo, el Movimiento por la Paz, la Soberanía y la Solidaridad entre los Pueblos (Mopassol), llama a organizaciones populares a extender su solidaridad y realizar actos y demandas para detener la masacre de pueblos hermanos y denunciar los graves peligros de una profundización de la intervención extranjera, que inevitablemente se extendería hacia todo el continente.
Es hora de decir basta al crimen y detener la guerra de baja intensidad, la invasión silenciosa de las fundaciones del poder imperial y la militarización que intenta una recolonización regional en el siglo XXI.



lunedì 28 maggio 2012

La NATO minaccia la Pace mondiale !!Risoluzione comune dei Partiti Comunisti e Operai in occasione del vertice NATO/¡OTAN, amenaza a la paz mundial! Resolucion conjunta de los partidos comunista y obreros por la cumbre de la OTAN.



La NATO minaccia la Pace
  Risoluzione comune dei Partiti Comunisti e Operai in occasione del vertice NATO tenutosi a Chicago, USA
.......Nel quadro di profonda crisi del capitalismo, l'imperialismo si lancia in una escalation militare e interventista. Dopo aver rinnovato il proprio Concetto strategico nel 2010, concetto che ha rappresentato un nuovo e pericoloso salto di qualità nelle sue ambizioni interventiste - di cui l'aggressione alla Libia è stato un esempio - gli Stati Uniti e la NATO, che ha il suo pilastro europeo nell'UE, cercano di ampliare le proprie sfere d'influenza, promuovere la corsa agli armamenti e alle spese militari, investimenti in nuove armi e nella propria rete globale di basi militari.
L'imperialismo militarizza le relazioni internazionali, procede con occupazioni, minaccia nuove aggressioni, promuove complotti e manovre di disturbo nei confronti dei paesi di tutti i continenti e attraverso una corsa agli armamenti viola gli attuali accordi internazionali per il disarmo. I principi della Carta delle Nazioni Unite sono seriamente compromessi, con una sempre maggiore strumentalizzazione dell'ONU al fine di mascherare la violenza imperialista. Il processo di distruzione del Diritto Internazionale, la cui nascita è frutto della sconfitta del nazifascismo nella Seconda Guerra Mondiale, apre le porte ai propositi imperialisti di controllo delle risorse e di dominio del pianeta sul piano militare e geo-strategico.
La NATO, essendo il principale strumento dell'imperialismo nell'obiettivo di dominazione del mondo, costituisce un'enorme minaccia per la pace e la sicurezza mondiale. Ma, come la realtà sta dimostrando, la risposta di forza dell'imperialismo alla crisi del capitalismo si trova a dover affrontare la lotta progressista e rivoluzionaria dei popoli, che in varie parti del mondo sta prendendo nelle sue mani la difesa dei propri diritti, la sovranità e l'indipendenza del proprio paese, resistendo nei modi più diversificati e imponendo battute d'arresto alla strategia di dominazione imperialista.
Ribadendo l'impegno nella lotta per la pace, per il diritto di ogni popolo a scegliere liberamente il proprio destino, per il progresso sociale e il Socialismo, i Partiti Comunisti e Operai firmatari di questa dichiarazione:
- Chiedono il ritiro immediato di tutte le truppe straniere dall'Afghanistan, così come quelle in tutti gli altri interventi imperialisti nel mondo.
- Rifiutano l'escalation della guerra in Medio Oriente, in particolare contro la Siria e l'Iran.
- Chiedono lo scioglimento della NATO e appoggiano il diritto sovrano dei popoli a decidere per il disimpegno dei loro paesi da questa alleanza aggressiva.
- Rifiutano l'installazione del nuovo sistema di difesa missilistica degli Stati Uniti e della NATO in Europa e reclamano la chiusura delle basi militari straniere.
- Chiedono la fine della corsa agli armamenti, il disarmo nucleare, a cominciare dalle grandi potenze nucleari del mondo - come gli Stati Uniti - e la totale distruzione delle armi chimiche e biologiche.
- Esprimono la loro solidarietà con i popoli che resistono all'occupazione, all'aggressione e alle ingerenze dell'imperialismo, in particolare in Medio Oriente, Asia, America Latina e Africa.

Maggio 2012

1. Partito Comunista Sudafricano
2. Partito Comunista d'Argentina
3. Partito Comunista d'Azerbaijan
4. Partito Comunista d'Australia
5. Partito del Lavoro del Belgio
6. Partito Comunista di Bielorussia
7. Partito Comunista del Brasile
8. Partito Comunista Spagnolo
9. Partito Comunista dei Popoli di Spagna
10. Partito Comunista degli USA
11. Partito Comunista della Finlandia
12. Partito Comunista Francese
13. Partito Comunista Unificato della Georgia
14. Partito Comunista di Grecia
15. Nuovo Partito Comunista d'Olanda
16. Partito del Popolo d'Iran
17. Partito Comunista d'India
18. Partito Comunista d'India (Marxista)
19. Partito Comunista d'Irlanda
20. Partito dei Lavoratori d'Irlanda
21. Partito dei Comunisti Italiani
22. Partito Comunista Libanese
23. Partito Comunista del Lussemburgo
24. Partito Comunista di Malta
25. Partito Comunista del Messico
26. Partito Comunista Palestinese
27. Partito Comunista Peruviano
28. Partito Comunista di Polonia
29. Partito Comunista Portoghese
30. Partito Comunista Britannico
31. Partito Comunista di Boemia e Moravia
32. Partito Comunista della Federazione Russa
33. PC Operaio Russo - Partito Rivoluzionario dei Comunisti
34. Partito Comunista Siriano (Unificato)
35. Partito Comunista d'Ucraina
Inoltre appoggiano questa dichiarazione comune:
Partito dei Comunisti di Transnistria


¡OTAN, amenaza a la paz mundial!
Resolucion conjunta de los partidos comunista y obreros por la cumbre de la OTAN en Chicago, EEUU
......En el cuadro de profundización de la crisis del capitalismo, el imperialismo se lanza en una escalada militarista e intervencionista.Después de haber renovado su concepto estratégico en 2010, que representó un nuevo y peligrosos salto cualitativo en su ambición intervencionista –de la que la agresión a Libia fue ejemplo-, los EEUU y la OTAN, que tienen a la UE como su pilar europeo, procuran ampliar sus zonas de influencia, promueven la carrera armamentista y los gastos militares, la inversión en nuevas armas y su red mundial de bases militares.
El imperialismo militariza las relaciones internacionales, prosigue la ocupación, lanza amenazas de agresión, promueve conspiraciones y maniobras de injerencia contra países de todos los continentes y a través de una escalada armamentista permanente, viola los acuerdos internacionales de desarme existentes. Los principios de la Carta de la ONU son cuestionados, se acentúa la instrumentalización de la ONU para dar cobertura a la violencia imperialista. El proceso de destrucción del Derecho Internacional resultante de la derrota del nazi-fascismo en la Segunda Guerra Mundial abre las puertas a los propósitos imperialistas de control de recursos y de dominar el planeta en el plano militar y geoestratégico.
La OTAN como principal instrumento del imperialismo en su objetivo de dominio mundial, constituye una enorme amenaza a la paz y la seguridad mundiales.Más, como la realidad está por comprobar, la respuesta a la fuerza de imperialismo a la crisis del capitalismo se confronta con la lucha progresista y revolucionaria de los pueblos que, en varios puntos del mundo, toman en sus manos la defensa de sus derechos y de la soberanía e independencia de sus países, resistiendo de las más variadas formas e imponiendo reveses a la estrategia de dominación imperialista.
Reafirmando su empeño en la lucha por la paz, por el derecho de cada pueblo a decidir libremente su destino, por el progreso social y el Socialismo, los Partidos Comunistas y Obreros signatarios de ésta declaración:
- Exigen la retirada inmediata de todas las tropas extranjeras de Afganistán, así como de todas las intervenciones imperialistas en el Mundo.
- Rechazan la escalada de guerra en el Medio Oriente, destacadamente contra Siria e Irán.
- Exigen la disolución de la OTAN y apoyan el derecho soberano de los pueblos de decidir la desvinculación de sus países de ésta alianza agresiva.
- Rechazan la instalación del nuevo sistema antimisil de los EEUU y de la OTAN en Europa y reclaman el fin de las bases militares extranjeras.
-Exigen el fin de la carrera armamentista, el desarme nuclear comenzando por las mayores potencias nucleares del Mundo
-como los EEUU- y la completa destrucción de las armas químicas y biológicas.
-Expresan su solidaridad a los pueblos que resisten a las ocupaciones, agresiones e injerencias del imperialismo, destacadamente en Medio Oriente, en Asía, en América Latina y en África

Mayo del 2012

1. Partido Comunista Sudafricano
2. Partido Comunista de Argentina
3. Partido Comunista de Azerbaiyán
4. Partido Comunista de Australia
5. Partido del Trabajo de Bélgica
6. Partido Comunista de Bielorusia
7. Partido Comunista de Brasil
8. Partido Comunista de España
9. Partido Comunista de los Pueblos de España
10. Partido Comunista de los EEUU
11. Partido Comunista de Finlancia
12. Partido Comunista Francés
13. Partido Comunista Unificado de Georgia
14. Partido Comunista de Grecia
15. Nuevo Partido Comunista de Holanda
16. Partido del Pueblo de Irán
17. Partido Comunista de India
18. Partido Comunista de India (Marxista)
19. Partido Comunista de Irlanda
20. Partido de los Trabajadores de Irlanda
21. Partido de los Comunistas Italianos
22. Partido Comunista Libanés
23. Partido Comunista de Luxemburgo
24. Partido Comunista de Malta
25. Partido Comunista de México
26. Partido Comunista Palestino
27. Partido Comunista Peruano
28. Partido Comunista de Polonia
29. Partido Comunista Portugués
30. Partido Comunista Británico
31. Partido Comunista de Bohemia y Moravia
32. Partido Comunista de la Federación Rusa
33. PC Obrero Ruso – Partido Revolucionario de los Comunistas
34. Partido Comunista Sirio ( Unificado)
35. Partido Comunista de Ucrania
También apoyan esta posición común
Partido de los Comunistas de Transdnistria

Documentazione tratta da

domenica 27 maggio 2012

Cuba respinge il rapporto annuale del Dipartimento di Stato degli USA sui Diritti Umani, Invece la Cina sui diritti umani in USA controbatte con un suo dossier.


Ancora una volta appare evidente quanto è  criminale il potere che governa negli USA, giorno dopo giorno si macchia di nauseabondi crimini pur di poter attaccare la Siria e provocare Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia,..... e tutti i paesi antimperialisti... i governanti EE.UU sono marci nel DNA e adesso lo sono ancora di più perchè hanno capito che un'altro mondo è possibile anche senza di loro. (Sandino)

Cuba respinge il rapporto annuale del Dipartimento di Stato degli USA sui Diritti Umani

Dichiarazione di Josefina Vidal, direttrice del dipartimento degli Stati Uniti del Ministero degli Esteri di Cuba

Respingiamo categoricamente il contenuto del rapporto del Dipartimento di Stato sulla situazione dei Diritti Umani a Cuba, che il governo degli Stati Uniti si arroga il diritto d’emettere, tralasciando il proprio record di abusi dentro e fuori dal suo paese e nel mondo.
Così come accade con l’ingiusta e infondata inclusione nella lista dei paesi patrocinatori di terrorismo internazionale, la descrizione di Cuba in questo rapporto non ha nulla a che vedere con la situazione reale dei diritti umani nel nostro paese.
Le menzogne e le tergiversazioni contenute in questo documento rispondono solo alla disperata necessità del governo nordamericano di giustificare la crudele politica di blocco imposta a Cuba, che viene respinta ogni giorno di più dentro e fuori dagli Stati Uniti.
Cuba ha fatto un contributo fondamentale al rispetto dei diritti umani nel paese e nel mondo. Molti dei diritti goduti dai cubani, che li hanno assicurati, costituiscono una chimera per la maggioranza della popolazione del pianeta, includendo una parte importante di quella degli Stati Uniti.
Lo stesso avviene a scala internazionale, dove la presenza di Cuba in altri paesi s’associa solo a lavori umanitari, per curare e insegnare, in contrasto con le avventure aggressive e d’intervento degli Stati Uniti, che continuano a provocare vittime innocenti tra la popolazione civile di molte nazioni.
L’Avana, 24 maggio del 2012.
(Traduzione Granma Int.)


Diritti umani in USA, la Cina controbatte con suo dossier

La Cina ha pubblicato uno studio sui diritti umani negli Stati Uniti, in risposta e in polemica con gli Usa, che avevano presentato un analogo rapporto contro Pechino. Lo riferisce l’agenzia Nuova Cina. Il ”Libro sui diritti umani negli Stati Uniti nel 2011”, tredicesimo del suo genere, e’ stato pubblicato dall’ufficio informazioni del Consiglio di stato cinese, ed e’ una ”risposta al reportage del paese sui diritti umani nel 2011, pubblicato dal Dipartimento di Stato Usa il 24 maggio”. Il rapporto americano, secondo l’agenzia Nuova Cina, e’ ”eccessivamente pieno di osservazioni critiche sulla situazione dei diritti umani in quasi 200 paesi e regioni, cosi’ come di distorsioni e di accuse riguardanti le cause dei diritti umani in Cina”.
Secondo il ritorsivo rapporto, lo studio e’ destinato a rivelare la ”vera situazione dei diritti umani” degli Stati Uniti al mondo e ”sollecitare gli Usa a confrontarsi con le proprie azioni”. Il rapporto cinese riguarda questioni dei diritti umani legate a sei temi: la vita, la proprieta’ e sicurezza personale, i diritti civili e politici, i diritti economici, sociali e culturali, la discriminazione razziale, i diritti delle donne e dei bambini e le violazioni degli Stati Uniti nei diritti umani in altri paesi. Il documento pubblicato da Pechino afferma che le violazioni dei diritti civili e politici sono state ‘gravi’ negli Stati Uniti, aggiungendo che il paese sta ”mentendo a se’ stesso” quando si riferisce a se’ come alla ”terra della liberta”’. Tra gli esempi di antidemocrazia americana, il rapporto cinese cita il duro trattamento dei manifestanti che hanno partecipato al movimento Occupy Wall Street, affermando che quegli arresti hanno fornito un ”assaggio di verita’ sulla cosiddetta liberta’ e’ democrazia degli Stati Uniti”.
Secondo dati del quotidiano sino-americano World Journal, citato dalla Xinhua, l’ultimo decennio ha visto un aumento di arresti fatti dalla polizia di New York, che ha registrato 600.000 casi nel 2010, quasi il doppio di quelli del 2004. Nei primi tre mesi del 2011, circa 180.000 persone sono state fermate o arrestate, e ben l’88% di queste si sono poi rivelate innocenti, secondo il reportage. Gli Stati Uniti, affermano i cinesi, restano il paese con la piu’ grande ”popolazione carceraria” e col piu’ alto numero di detenuti al mondo, in condizioni di detenzione ’terribili’.
Per il Dipartimento della Giustizia americano, il numero dei detenuti e’ pari a 2,3 milioni nel 2009 e uno ogni 132 cittadini americani e’ dietro le sbarre. Nel frattempo, piu’ di 140.000 stanno scontando condanne a vita. Critiche anche alla situazione delle donne, che per i cinesi sono negli Usa soggette a discriminazioni e aggressioni sessuali. Oltre due milioni di americane hanno subito violenze domestiche. E’ difficile anche la situazione per i bambini, che secondo il rapporto cinese sono esposti in maniera continua a violenze e pornografia: e il numero record di bambini uccisi da parenti e’ attorno ai 20.000.
FONTE : (ANSA) – Pechino, 25 Maggio

venerdì 25 maggio 2012

Il crimine di Gheddafi: Far funzionare l'economia della Libia a vantaggio dei libici / Gadhafi’s Crime: Making Libya’s Economy Work for Libyans


Il crimine di Gheddafi: Far funzionare l'economia della Libia a vantaggio dei libici

di Gowans Stephen
"Le compagnie petrolifere sono controllate da stranieri, che grazie ad esse hanno guadagnato milioni. Ora, i libici devono trarre profitto da questo denaro", Muammar Gheddafi, 2006.
Il Wall Street Journal del 5 maggio fornisce la prova, oltre a quelle già raccolte, che alla radice dell'intervento militare della NATO in Libia dello scorso anno vi era l'opposizione alla politica economica del governo Gheddafi.
Secondo il quotidiano statunitense, gli accordi più favorevoli ai libici, che il governo Gheddafi stava contrattando, fecero infuriare le compagnie petrolifere private tanto da "sperare in un cambio di regime in Libia... che potrebbe alleggerire alcune delle dure condizioni che avevano dovuto accettare nella partnership" con la compagnia petrolifera nazionale libica. [1]
Per decenni, molte compagnie europee avevano goduto di accordi che garantivano loro la metà della del petrolio di alta qualità prodotto negli impianti libici. Alcune grandi compagnie petrolifere speravano che il paese avrebbe aperto ulteriormente agli investimenti, dopo che da Washington erano state revocate le sanzioni nel 2004 e i giganti statunitensi erano rientrati nella nazione nordafricana.
Ma negli anni che seguirono, il regime di Gheddafi rinegoziò la quota delle compagnie petrolifere spettante da ogni impianto, facendola passare dal 50% circa a un decisamente più basso 12%.
Subito dopo la caduta del regime, diverse compagnie petrolifere straniere hanno manifestato la speranza di ottenere condizioni migliori negli accordi esistenti o più interessanti per quelli futuri. Fra quelle che nutrono speranze in un'espansione libica vi sono la francese Total e l'olandese Shell.
"Vediamo la Libia sotto il nuovo governo come una grande opportunità", diceva Sara Akbar, amministratore delegato della compagnia privata Kuwait Energy, lo scorso novembre in un'intervista, e aggiungeva che "Sotto Gheddafi, le esplorazioni erano ferme a causa dei termini molto duri". [2]
Il giornale aveva già riferito dei termini "duri" (leggasi pro-libici) che il governo Gheddafi aveva imposto alle compagnie petrolifere straniere.
Nel quadro di un nuovo e più stringente sistema, noto come EPSA-4, il regime vagliava le offerte delle grandi compagnie discriminando sulla base di quanta parte della produzione futura avrebbero lasciato la Libia. I vincitori abitualmente promettevano oltre il 90% della loro produzione alla National Oil Corp. (NOC, la compagnia nazionale petrolifera libica).
Intanto, la Libia manteneva i suoi gioielli off limits agli stranieri. Gli immensi campi petroliferi terrestri, che rappresentavano la maggior parte della sua produzione, rimanevano prerogativa delle compagnie statali libiche.
Anche le imprese da anni presenti in Libia avevano ricevuto un trattamento duro. Nel 2007, le autorità iniziarono a forzarle per rinegoziare i loro contratti per portarli in linea con EPSA-4.
Una vittima è stata Eni, il colosso energetico italiano. Nel 2007, ha dovuto pagare 1 miliardo di dollari di incentivi per riuscire a prolungare la durata dei suoi interessi libici fino al 2042. Anche la sua quota di produzione è caduta dal 35-50%, a seconda dell'impianto, ad appena il 12%. [3]
L'insoddisfazione delle compagnie petrolifere stava anche nel fatto che la compagnia di stato libica "stabiliva che le società straniere dovevano assumere libici ai migliori posti di lavoro". [4]
Nel novembre 2007, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti avvertiva che "la leadership politica ed economica della Libia persegue politiche sempre più nazionalistiche nel settore energetico" e che vi erano "prove crescenti di nazionalismo sulle risorse libiche" [5], citando un discorso del 2006 in cui Gheddafi dichiarava: "Le compagnie petrolifere sono controllate da stranieri che grazie ad esse hanno guadagnato milioni. Ora, i libici devono trarre profitto da questo denaro". [6]
Il Governo di Gheddafi aveva forzato le compagnie petrolifere a dare alle loro filiali locali dei nomi libici. Peggio ancora, "le leggi sul lavoro sono state modificate per 'libianizzare' l'economia", vale a dire riformate a vantaggio dei libici. Le compagnie petrolifere "sono state spinte ad assumere dirigenti, tecnici e capi del personale libici". [7]
Il New York Times riassume così le critiche dell'Occidente. "Il colonnello Gheddafi si è dimostrato essere un partner problematico per le compagnie petrolifere internazionali, alzando spesso tasse ed imposte ed avanzando altre richieste". [8]
Anche se l'opposizione delle compagnie petrolifere private e del governo degli Stati Uniti alle politiche economiche filo-libiche di Gheddafi non prova che l'intervento militare della NATO sia avvenuto per rovesciare il governo, è tuttavia coerente con tutta una serie di prove che vanno in questa direzione.
In primo luogo, possiamo rigettare le argomentazioni occidentali che spiegano l'impiego della sua alleanza militare per motivi umanitari. Mentre la guerra civile in Libia diventava incandescente, un'alleanza di petromonarchie a guida saudita inviava truppe e carri armati in Bahrain per schiacciare una rivolta. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia - alla guida  dell'intervento in Libia - non hanno fatto nulla per fermare questa violenta repressione. Significativamente, il Bahrain ospita la V Flotta statunitense. Altrettanto significativamente, la sua politica economica, a differenza della Libia sotto Gheddafi - è stata concepita per mettere gli investitori stranieri al primo posto.
In secondo luogo, quei paesi oggetto dei tentativi occidentali di cambio di regime - Corea del Nord, Siria, Venezuela, Cuba, Zimbabwe, Bielorussia, Iran - hanno posto gli interessi economici di tutta o una parte della loro popolazione, sopra quelli degli investitori e delle società straniere. È vero che le politiche economiche di India, Russia e Cina sono in certe misure nazionaliste e che questi paesi non devono affrontare nella stessa misura le pressioni per un cambio di regime, ma per un'alleanza statunitense sono troppo grandi da conquistare senza un pesante costo in sangue e denaro. L'Occidente prende di mira i più deboli.
Infine, i governi occidentali sono dominati da grandi investitori e compagnie. Il dominio delle corporation e della finanza sullo  Stato avviene in diversi modi: con attività di lobby; comprando i  politici attraverso il finanziamento della campagna elettorale e la promessa di incarichi remunerativi dopo il mandato; attraverso il finanziamento di think-tank per guidare la politica del governo e con la collocazione di amministratori delegati e avvocati aziendali nelle posizioni chiave dello Stato. Aspettarsi che la politica estera sia modellata su preoccupazioni di carattere umanitario e non invece sugli interessi delle industrie petrolifere, di armi, delle società specializzate nella ricostruzione e esportazione post-bellica, significa di ignorare la grande influenza che il grande capitale e la grande finanza esercitano sugli Stati occidentali.
In alcune parti del mondo è diverso. Là, i governi hanno orientato le economie al servizio dei loro cittadini, piuttosto che mettere il lavoro, i mercati del paese e le loro risorse naturali, al servizio degli investitori esterni e delle grandi aziende straniere.
Per aver rifiutato di sacrificare la vita dei loro cittadini all'arricchimento dei titani stranieri della finanza e dell'industria, a questi paesi viene fatto pagare un prezzo. I loro dirigenti sono vilipesi dalla becera propaganda e minacciati di persecuzioni da parte dei tribunali penali internazionali finanziati e controllati dagli Stati occidentali. Sono colpiti con devastanti blocchi economici e da sanzioni le cui caotiche conseguenze sono ingiustamente addossate alla "cattiva gestione" e alle "errate" politiche economiche, con lo scopo di creare una miseria diffusa e spingere le popolazioni a sollevarsi contro i loro governi. Con il finanziamento e supporto occidentale vengono create delle quinte colonne per progettare il cambiamento di regime dall'interno. Infine, l'onnipresente minaccia di un intervento militare esterno che è mantenuta per fare pressione sui governi di questi paesi affinché facciano marcia indietro.
 I peccati di Gheddafi non erano crimini contro l'umanità, ma azioni al suo servizio. La sua reputazione infangata, il governo rovesciato, il paese assediato dall'esterno e destabilizzato dall'interno, la sua vita finita per aver osato mettere in atto un'idea radicale - spingere l'economia al servizio del popolo del proprio paese, piuttosto che il suo popolo e le sue risorse naturali al servizio degli interessi delle imprese straniere.

Note
1, 2. Benoit Faucon, "For big oil, the Libya opening that wasn't, " The Wall Street Journal, May 4, 2012.
3, 4. Guy Chazan, "For West's oil firms, no love lost in Libya, " The Wall Street Journal, April 15, 2011.
5, 6, 7. Steven Mufson, "Conflict in Libya: U.S. oil companies sit on sidelines as Gaddafi maintains hold, " The Washington Post, June 10, 2011.
8. Clifford Kraus, "The scramble for access to Libya's oil wealth begins, " The New York Times, August 22, 2011.

Gadhafi’s Crime: Making Libya’s Economy Work for Libyans

Written by Stephen Gowans, What's Left
Oil companies are controlled by foreigners who have made millions from them. Now, Libyans must take their place to profit from this money.”—Muammar Gadhafi, 2006.
The Wall Street Journal of 5 May offers evidence, additional to that already accumulated, that last year’s NATO military intervention in Libya was rooted in objections to the Gadhafi government’s economic policies.
According to the newspaper, private oil companies were incensed at the pro-Libyan oil deals the Gadhafi government was negotiating and “hoped regime change in Libya…would bring relief in some of the tough terms they had agreed to in partnership deals” with Libya’s national oil company. [1]
For decades, many European companies had enjoyed deals that granted them half of the high-quality oil produced in Libyan fields. Some major oil companies hoped the country would open further to investment after sanctions from Washington were lifted in 2004 and U.S. giants re-entered the North African nation.
But in the years that followed, the Gadhafi regime renegotiated the companies’ share of oil from each field to as low as 12%, from about 50%.
Just after the fall of the regime, several foreign oil companies expressed hopes of better terms on existing deals or attractive ones for future contracts. Among the incumbents that expressed hopes in Libyan expansion were France’s Total SA and Royal Dutch Shell PLC.
We see Libya as a great opportunity under the new government,’ Sara Akbar, chief executive of privately owned Kuwait Energy Co., said in an interview in November. ‘Under Gadhafi, it was off the radar screen’ because of its ‘very harsh’ terms, said Mrs. Akbar. [2]
The Journal had earlier noted the “harsh” (read pro-Libyan) terms the Gadhafi government had imposed on foreign oil companies.
Under a stringent new system known as EPSA-4, the regime judged companies’ bids on how large a share of future production they would let Libya have. Winners routinely promised more than 90% of their oil output to NOC (Libya’s state-owned National Oil Corp).
Meanwhile, Libya kept its crown jewels off limits to foreigners. The huge onshore oil fields that accounted for the bulk of its production remained the preserve of Libya’s state companies.
Even firms that had been in Libya for years got tough treatment. In 2007, authorities began forcing them to renegotiate their contracts to bring them in line with EPSA-4.
One casualty was Italian energy giant Eni SpA. In 2007, it had to pay a $1 billion signing bonus to be able to extend the life of its Libyan interests until 2042. It also saw its share of production drop from between 35% and 50%—depending on the field—to just 12%. [3]
Oil companies were also frustrated that Libya’s state-owned oil company “stipulated that foreign companies had to hire Libyans for top jobs.” [4]
A November 2007 US State Department cable had warned that those “who dominate Libya’s political and economic leadership are pursuing increasingly nationalistic policies in the energy sector” and that there was “growing evidence of Libyan resource nationalism.” [5]
The cable cited a 2006 speech in which Gadhafi said: “Oil companies are controlled by foreigners who have made millions from them. Now, Libyans must take their place to profit from this money.” [6]
Gadhafi’s government had forced oil companies to give their local subsidiaries Libyan names. Worse, “labor laws were amended to ‘Libyanize’ the economy,” that is, turn it to the advantage of Libyans. Oil firms “were pressed to hire Libyan managers, finance people and human resources directors.” [7]
The New York Times summed up the West’s objections. “Colonel Gadhafi,” the US newspaper of record said last year, “proved to be a problematic partner for international oil companies, frequently raising fees and taxes and making other demands.” [8]
To be sure, that private oil companies and the US government objected to Gadhafi’s pro-Libya economic policies doesn’t prove that NATO intervened militarily to topple the Gadhafi government. But it is consistent with a panoply of evidence that points in this direction.
First, we can dismiss the West’s claims that it pressed its military alliance into service on humanitarian grounds. As civil strife heated up in Libya, a Saudi-led alliance of petro-monarchies sent tanks and troops to crush an uprising in Bahrain. The United States, Britain and France—leaders of the intervention in Libya—did nothing to stop the violent Bahraini crackdown. Significantly, Bahrain is home to the US Fifth Fleet. Equally significantly, its economic policies—unlike Libya’s under Gadhafi—are designed to put foreign investors first.
Second, without exception, countries that are the object of Western regime change efforts—North Korea, Syria, Venezuela, Cuba, Zimbabwe, Belarus, Iran—have set the economic interests of some part of their populations, or all of it, above those of foreign investors and foreign corporations. True, the economic policies of India, Russia and China are nationalist to some degree, and yet these countries do not face the same extent of regime change pressures, but they are too large for a US alliance to conquer without an onerous expense in blood and treasure. The West targets the weak.
Finally, Western governments are dominated by major investors and corporations. Corporate and financial domination of the state happens in a number of ways: lobbying; the buying of politicians through political campaign funding and the promise of lucrative post-political jobs; the funding of think-tanks to recommend government policy; and the placement of corporate CEOs and corporate lawyers in key positions in the state. To expect that foreign policy is shaped by humanitarian concerns and not the profit-making interests of oil companies, arms manufacturers, exporters, and engineering firms seeking infrastructure and reconstruction contracts aboard is to ignore the enormous influence big business and big finance exert over Western states.
In some parts of the world, the arrangement is different. There, governments have organized their economies to serve their citizens, rather than organizing labor, the country’s markets and its natural resources to serve outside investors and foreign corporations.
For refusing to give their citizens’ lives over to the enrichment of foreign titans of finance and captains of industry, these countries are made to pay a price. Their leaders are vilified by scurrilous propaganda and threatened with prosecutions by international criminal tribunals funded and controlled by Western states; they’re targeted by economy-disrupting blockades and sanctions whose chaotic effects are dishonestly blamed on the governments’ “mismanagement” and “unsound” economic policies and whose aim is to create widespread misery to pressure populations to rise up against their governments; fifth columns are created with Western funding and support to engineer regime change from within; and the omnipresent threat of outside military intervention is maintained to pressure the countries’ governments to back down from putting their citizens’ interests first.

Gadhafi’s sins weren’t crimes against humanity but actions in its service. His reputation blackened, government overthrown, country besieged from without and destabilized from within, his life was ended for daring to enact a radical idea—pressing the economy into the service of the people of his country, rather than the people of his country and their natural resources into the service of foreign business interests.

May 6, 2012

Endnotes
1,2. Benoit Faucon, “For big oil, the Libya opening that wasn’t,” The Wall Street Journal, May 4, 2012.
3, 4. Guy Chazan, “For West’s oil firms, no love lost in Libya,” The Wall Street Journal, April 15, 2011.
5,6,7. Steven Mufson, “Conflict in Libya: U.S. oil companies sit on sidelines as Gaddafi maintains hold,” The Washington Post, June 10, 2011.
8. Clifford Kraus, “The scramble for access to Libya’s oil wealth begins,” The New York Times, August 22, 2011.