Processo Arrigoni. Quando i social network sono più informati del governo italiano
Presentata alla Camera e al Senato un’interrogazione parlamentare scritta per chiedere al Governo di fare luce sui fatti che portarono al rapimento e all’assassinio di Vittorio Arrigoni a Gaza lo scorso anno, e sull’andamento del processo. La risposta non si fa attendere, e conferma il disinteresse e la vacuità della posizione italiana. Twitter 1 – Governo 0.
di Cecilia Dalla Negra
Su Twitter, uno fra i più popolari social network del mondo, le notizie sul processo ai presunti assassini di Vittorio Arrigoni in corso presso la Corte militare di Hamas arrivano puntuali, in tempo reale, e senza l’uso del condizionale.
È sufficiente collegarsi con i ragazzi di Gaza amici dell’attivista italiano ucciso il 15 aprile 2011, o leggere le cronache puntuali de “Il Manifesto” per sapere come procede – o piuttosto non procede – il dibattimento in tribunale, a Gaza City.S
A usare il condizionale, il “forse”, il “potrebbe essere” è invece il Governo italiano, testimone assente sin dall’inizio di questa triste vicenda, che continua a confermare il proprio disinteresse nei confronti dell’uccisione in territorio straniero di un cittadino italiano, considerato a tutti gli effetti di “serie b”.
Anche per questo Vincenzo Vita, al Senato e Lucia Codurelli, alla Camera (entrambi del Partito Democratico), hanno presentato il 13 aprile scorso un’interrogazione parlamentare ai ministri degli Affari Esteri e della Giustizia, con la richiesta di fare piena luce sui fatti che portarono, lo scorso anno, al rapimento e all’uccisione di Vittorio Arrigoni a Gaza City, per mano di una presunta cellula salafita guidata da Abdel Rahman Breizat e Bilal Omari, uccisi durante uno scontro a fuoco con la polizia di Hamas all’indomani dell’assassinio.
E la risposta, priva di qualsiasi elemento sostanziale, non si è fatta attendere.
Il 24 aprile il Gabinetto del ministro degli Affari esteri ha fatto sapere che “conformemente alla posizione comune decisa in seno all’Unione Europea, il Governo italiano non intrattiene rapporti con le Autorità di fatto della Striscia di Gaza”.
Per “autorità di fatto” s’intende il governo di Hamas, non riconosciuto dalla Comunità internazionale e dall’Italia, che lo considera “organizzazione terroristica”.
Formalismi, che consentono però alle autorità del nostro paese di dire che “le uniche informazioni sulla vicenda giudiziaria legata alla tragica morte del nostro connazionale sono quelle che il nostro Consolato Generale a Gerusalemme riesce a raccogliere”, ma precisa che queste “vengono acquisite tramite fonti aperte o indirette, ed è dunque doveroso mantenere una nota di cautela nel valutarle”.
Segue una lunga lista di “dovrebbe” e “potrebbe” riguardo “le informazioni in possesso”, che non sono niente di più di quanto sia reperibile da qualsiasi cittadino italiano abbia un minimo di confidenza con il web.
Sono piuttosto qualcosa di meno, dal momento che gli utenti di Twitter risultano assai più precisi, puntuali e informati del nostro ministero.
Che però, sottolinea, attraverso l’Unità di crisi della Farnesina “ha espresso forte sgomento per il barbaro assassinio” sin dai primi giorni. E niente più di questo.
Una risposta che anche Codurelli definisce “insoddisfacente e scarna nel contenuto, purtroppo confermando la totale assenza da noi denunciata”. La consapevolezza della difficile situazione diplomatica era nota, “ma altra cosa è l’interessamento nei confronti di un nostro connazionale. Ho denunciato che il silenzio del Governo sin dall’inizio di questa amara vicenda è risultato essere assordante”.
Intanto, dopo 15 udienze cadute nel vuoto, l’ultima ha portato un colpo di scena: gli imputati alla sbarra – Mahmud Salafiti, Tarek Hasasnah e Khader Jram – hanno ritrattato le confessioni rese all’indomani dell’arresto, con un voltafaccia inatteso.
Avrebbero confessato sotto pressione, dichiarando di non aver preso parte al sequestro di Vittorio Arrigoni per scambiarlo con al Maqdisi, lo sceicco salafita prigioniero di Hamas, ma per “dare una lezione di moralità” al cooperante italiano considerato troppo occidentale, e colpevole di condurre una vita “immorale”.
Una svolta che, secondo l’opinione dei presenti in aula, non è stata sufficientemente approfondita dalla Corte.
La prossima udienza non “sarebbe” fissata per il 14 maggio, come si legge nella risposta del governo. Lo è. E soprattutto in Italia ci si augura possa essere quella definitiva.
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Fonte: Osservatorio Iraq
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