giovedì 31 gennaio 2013

La gioventù cubana è un arcobaleno molto diversificato-La juventud cubana es un arcoiris muy diverso


La gioventù cubana è un arcobaleno molto diversificato

Cubainformacion| cubainformacion.tv
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

27/01/2013

Intervista a Leira Sánchez Valdivia, responsabile delle Relazioni Internazionali dell'Unione dei Giovani Comunisti di Cuba, a cura di cubainformacion.tv

- Poiché tutti i media internazionali danno una versione molto distorta, sia della gioventù cubana che delle organizzazioni del paese, come è possibile spiegare a chi sta all'estero, permeabile ai miti mediatici, cos'è la UJC e il suo ruolo nella società cubana?

- La UJC è un'organizzazione politica, l'ala giovanile del Partito Comunista di Cuba, con più di 50 anni di lavoro. Ha due responsabilità principali: una responsabilità statale, come affermato nella Costituzione della Repubblica, all'articolo 6, dove si riconosce l'UJC come responsabile di rappresentare la gioventù del paese, con piena capacità di contribuire alla costruzione del nostro sistema socialista; ed è anche l'organizzazione politica giovanile del nostro Partito.

La nostra organizzazione è attualmente composta da più di 400.000 giovani militanti. Si è dovuta articolare con le nuove generazioni per poter contribuire alla formazione professionale, all'orientamento vocazionale, in modo che ognuno degli interessi risponda alle richieste e esigenze della Rivoluzione oggi. I temi discussi nel nostro IX Congresso sono strettamente legati al ruolo che l'organizzazione deve sviluppare per essere in grado di raggiungere l'efficienza economica in ogni posto di lavoro, in ogni campo coltivato. Ci sono stati più di 30.000 giovani che hanno beneficiato della legge 2/59 della consegna della terra in usufrutto, per esempio.

Abbiamo diversi movimenti, uno di essi è quello delle Brigate Tecniche Giovanili, che si articola con tutti i giovani del settore produttivo fino ai 35 anni di età, che ha la missione di far si che i giovani si avvicinino a una crescita permanente, alla formazione vocazionale, essendo adesso lavoratori. C'è anche la Brigata Giovanile Contadina, un movimento che non è emerso in parallelo all'Associazione Nazionale dei Piccoli Agricoltori (ANAP), ma la necessità propria di avere i giovani delle zone rurali identificati, impegnati, ci ha portato a formare questo gruppo, che ci permette inoltre di salvare le tradizioni culturali dei nostri mambises [ndr, guerriglieri cubani e filippini che nel XIX secolo hanno partecipato alle guerre di indipendenza di Cuba e Filippine] che rispondono all'eredità storica della Rivoluzione Cubana. Pertanto ritengo che la nostra Organizzazione sia in corrispondenza con ogni tappa storica della stessa.

Gli organismi dell'Amministrazione Centrale dello Stato riconoscono nell'UJC l'organizzazione responsabile di rappresentare i giovani e gli studenti del paese. Nel documento di base approvato nell'ultima Conferenza Nazionale del Partito, è stato dato un ruolo centrale all'UJC, e conferma che è la volontà del partito e del nostro Stato rispondere in modo differente alla gioventù.

- I media internazionali disegnano una Cuba e un processo rivoluzionario senza rilievo storico. Qual è il ruolo delle nuove generazioni, non solo dell'UJC, in questo rilievo e per l'immediato futuro?

- Penso che a questa domanda si debba rispondere guardando ai 54 anni della Rivoluzione. Ci sono giovani leader nelle direzioni territoriali di governo, nelle nostre organizzazioni che sono riflesso di questa continuità storica. Sono 53 anni che puntiamo sulla continuità della Rivoluzione, sviluppando tutte le nostre organizzazioni studentesche, le nostre organizzazioni sociali e la nostra organizzazione politica. Credo che la continuità sia assicurata dalla capacità che ha avuto la Rivoluzione di formare i propri dirigenti in modo che oggi ci siano giovani nei posti chiave del paese. Abbiamo sempre avuto possibilità, nel Parlamento cubano, nel paese con le nostre organizzazioni sociali, dove vi sono molti giovani che le dirigono. L'abbiamo dimostrato nella nostra capacità di dirigere con assoluta autonomia le nostre organizzazioni studentesche, i Pionieri, la FEU, o la FEEM.

- Il presidente Raul Castro ha enfatizzato molto, negli ultimi tempi, la cultura della differenza, di diversità di opinioni, di costruire da differenti posizioni una unità superiore. Come si lavora su questo nella UJC?

- Ciò che ha caratterizzato l'Organizzazione è il dialogo con le sue basi e questo significa che ogni leader studentesco o giovanile lo è nella misura della capacità di scambiare, di rappresentare e di garantire che il suo nucleo giovanile partecipi, si mobiliti e sia impegnato.

Lo sguardo giovanile alla discussione delle linee guida del Partito è stata critico ma accurato, impegnato, di fiducia nel futuro della Rivoluzione. Non usiamo il metodo di segregare chi non è d'accordo. Quello che però abbiamo ben chiaro è che non possiamo far concessioni sui principi, perché essi disciplinano le norme sociali. Questo lo abbiamo applicato fin dalla genesi stessa dell'UJC ma diventa sempre più necessario rafforzarlo, capirlo, implementarlo. Siamo in una società molto più diversificata, molto più arcobaleno, in mezzo a un mondo molto più diverso, con un livello di influenza dei media molto intenso, in cui ogni giovane deve decidere le posizioni che assume.

Tutti i movimenti giovanili sono aperti a tutti i giovani fino ai 35 anni di età, e dobbiamo essere in grado di dialogare con l'associazione che raggruppa l'avanguardia artistica e culturale giovane, di parlare con gli scienziati che si trovano all'interno delle Brigate tecniche giovanili, per parlare con i contadini che sono dentro le brigate giovanili contadine, essendo settori completamente diversi. Dobbiamo avere la capacità di dialogo e, dentro la stessa, continuare ad agire come organizzazione reggente e politica.

- Come funziona l'UJC con quei settori della gioventù cubana non tanto contrari al processo rivoluzionario, ma indifferenti, che non ci credono?

- Voglio partire da un criterio molto personale: i cosiddetti "settori informali" della gioventù è importante averli studiati, sapere ciò che li muove, perché non è un segreto che ci sia una politica di sovversione ideologica nei confronti della Rivoluzione cubana, che si rivolge specificamente a influenzare le giovani generazioni della Rivoluzione, insistendo sul fatto che questa generazione sarà quella che abbandonerà la Rivoluzione cubana.

Ma non esiste "marchio" alcuno in quanto ognuno è di un settore diverso, perché qualcuno rappresenta questo tipo di movimento o questo un altro. In realtà, questi giovani interagiscono in un modo o nell'altro in una organizzazione studentesca, in uno spazio istituzionale, in una scuola, in un quartiere, in cui vi sono le organizzazioni sociali, le organizzazioni studentesche, e il modo che abbiamo di agire è quello di riconoscerli come parte di tutto questo arcobaleno che è la società cubana, e che non sfugge dallo stesso arcobaleno delle società del mondo. Ha a che fare con lo sviluppo che ha avuto il mondo, con la globalizzazione delle culture emergenti e anche di pseudoculture. A Cuba non si sfugge a questo tipo di manifestazioni, non siamo un urna di cristallo, le abbiamo e bisogna accettarle.

Dopo venti anni di "periodo speciale" di una profonda crisi economica che ha colpito a fondo il nostro paese, gli spazi ricreativi erano molto vulnerabili, e abbiamo creato nuovi spazi, feste universitarie del libro e della lettura, festival del libro per tutto il popolo, festival culturali, il movimento di artisti dilettanti, ecc. Nella misura in cui noi andiamo recuperando economicamente, più possibilità abbiamo di poter coprire la domanda culturale e di intrattenimento per tutta la popolazione, giacché non è l'unico e esclusivo problema della gioventù cubana.

La Rivoluzione cubana, purtroppo, non ha potuto svilupparsi normalmente in campo economico, politico e sociale, perché per 54 anni abbiamo avuto la presenza del blocco ostile e genocida, che ha fortemente lacerato il pieno sviluppo della gioventù a Cuba.

- L'UJC ha oltre 400.000 militanti ed è un'organizzazione il cui ingresso è volontario ma selettivo. Spiegaci questo.

- Bisogna partire dal principio che l'UJC è un'organizzazione d'avanguardia e, pertanto, non siamo una organizzazione di massa. Bisogna capire che significa l'UJC come organizzazione giovanile del Partito, come organizzazione d'avanguardia all'interno della gioventù cubana, nella quale si necessita sempre che stiano coloro che hanno maggiori capacità di condurre i principi della Rivoluzione, per far si che il resto dei giovani abbiamo uno sguardo certo verso la Rivoluzione. Per questo è volontaria ma anche selettiva, perché non si può avere una militanza forzata nell'UJC, vale a dire, che non si forma una squadra di militanti comunisti in una scuola, o in qualsiasi posto di lavoro, questo avviene perché ogni giovane decide di essere militante dell'UJC. Il militante dell'UJC deve articolarsi come un giovane esemplare nel centro studentesco, sul posto di lavoro così come lo deve essere nella sua comunità, se ciò non avviene nella sua comunità, è limitato per esser un giovane d'avanguardia.

Nella misura in cui la nostra organizzazione riconosce in sé i migliori giovani cubani, sta anche riconoscendo i migliori membri del Partito per il futuro e garantisce in tal modo chiarezza e certezza che il Partito, che naturalmente è composto dal popolo, deve continuare ad essere l'avanguardia politica del popolo cubano.

- In una recente intervista con il Primo Segretario dell'UJC, che era un testo molto interessante per l'autocritica, afferma che l'UJC ha sofferto a volte di settarismo e formalismo, alcuni mali contro i quali si sta lottando.

- Il nostro Presidente Raul Castro è stato il primo che, dal 2008, sta chiedendo al popolo di essere molto più aperto alle discussioni, di accettare che ci siano delle differenze. I metodi che abbiamo stabilito possono darci la possibilità di essere rigidi nell'applicazione di alcune politiche. Bisogna continuare a insegnare alla gioventù che cosa significa lavorare nella diversità, rompendo lo schematismo e il settarismo, perché siamo responsabili di garantire l'unità del popolo cubano in pochi anni. La società che abbiamo oggi è molto più diversificata e molto più variabile di quella che avevamo venti anni fa, allo stesso modo che è sopravvissuta la Rivoluzione, che ha dovuto superare tutti gli attacchi per aver affermato 54 anni fa: "ci costituiamo come Rivoluzione Cubana e questi sono i nostri principi".

Stiamo facendo in modo che tutto il nostro popolo partecipi e che lo faccia da un attitudine cosciente, critica e costruttiva verso la nostra Rivoluzione. Proseguiamo prendendo misure per poter modificare e contribuire a questo cambiamento di mentalità, a partire dagli accordi del VI Congresso del PCC. E' necessaria la trasformazione e il cambiamento del nostro modo di reagire davanti ai fenomeni che abbiamo nella nostra società, che naturalmente nella gioventù acquisiscono una tonalità di colori più ampia.

Intervista: Joseph Manzaneda
Trascrizione / Redazione: Maite Sanchez


La juventud cubana es un arcoiris muy diverso

- Dado que todos los medios internacionales dan una versión muy sesgada, tanto de la juventud cubana como de las organizaciones del país, ¿cómo explicarías a ese público que está en el exterior, permeable a los mitos mediáticos, lo que es la UJC y su papel en la sociedad cubana?
- La UJC es una organización política, el ala juvenil del Partido Comunista de Cuba, con más de 50 años de trabajo. Tiene dos responsabilidades fundamentales: una responsabilidad estatal, porque está indicado en la Constitución de la República, en el artículo 6, donde se reconoce a la UJC como la responsable de representar a la juventud del país, con la capacidad plena de contribuir en la edificación de nuestro sistema socialista; y además, es la organización política juvenil de nuestro Partido.
Nuestra Organización está formada en la actualidad por más de 400.000 jóvenes militantes. Se ha tenido que articular con las nuevas generaciones para poder contribuir en la formación profesional, en la orientación vocacional, en que cada uno de los intereses responda a las demandas y necesidades que tiene hoy la Revolución. Los temas que discutimos en nuestro IX Congreso están muy relacionados con el papel protagónico que tiene que desarrollar la Organización, en aras de poder lograr una eficiencia económica en cada puesto de trabajo, en cada campo de cultivo. Han salido más de 30.000 jóvenes que se han acogido a la Ley 2/59 de la entrega de la tierra en usufructo, por ejemplo.
Tenemos distintos movimientos, uno de ellos es el de las Brigadas Técnicas Juveniles, que se articula con todos los jóvenes del sector productivo hasta los 35 años de edad, que tiene la misión de que los jóvenes se aproximen de manera permanente a la superación, a la formación vocacional, ya siendo trabajadores. Está también la Brigada Juvenil Campesina, que es un movimiento que no surge en paralelo a la Asociación Nacional de Agricultores Pequeños (ANAP), pero la propia necesidad de tener a los jóvenes campesinos identificados, comprometidos, nos llevó a formar este grupo, que nos permitiera también rescatar las tradiciones culturales de nuestros mambises que responden al legado histórico de la Revolución cubana. Por tanto creo que nuestra Organización ha estado en correspondencia con cada etapa histórica de la misma.
Los organismos de la Administración Central del Estado reconoce en la UJC la organización responsable de representar a los jóvenes y estudiantes del país. En el documento base aprobado en la última Conferencia Nacional del Partido, se le ha dado un papel protagónico a la UJC, y ratifica que es una voluntad del Partido y de nuestro Estado atender diferenciadamente a la juventud.
- Los medios internacionales dibujan una Cuba y un proceso revolucionario sin relevo histórico. ¿Cuál es el papel de las jóvenes generaciones, no solo de la UJC, en este relevo y en este futuro inmediato?
- Creo que esa pregunta uno la debe responder mirando a los 54 años que tiene la Revolución. Hay líderes jóvenes en las direcciones territoriales de gobierno, en nuestras organizaciones que son reflejo de esa continuidad histórica. Llevamos 53 años apostando por la continuidad de la Revolución, se han ido desarrollando todas nuestras organizaciones estudiantiles, nuestras organizaciones sociales y nuestra propia organización política. Creo que la continuidad está asegurada por la capacidad que ha tenido la Revolución de formar a sus líderes para que hoy haya gente joven en puestos clave del país. Hemos tenido siempre posibilidades, en el Parlamento cubano, en el barrio con nuestras organizaciones sociales, donde hay muchos jóvenes que las dirigen. Lo demostramos en la capacidad que tenemos de dirigir con absoluta autonomía nuestras propias organizaciones estudiantiles, léase los Pioneros, la FEU, o la FEEM.
- El presidente Raúl Castro ha enfatizado mucho, en los últimos tiempos, la cultura de la discrepancia, de la diversidad de opiniones, de construir desde diferentes posiciones una unidad superior. ¿Cómo se trabaja esto dentro de la UJC?
- Lo que ha caracterizado a la Organización es el diálogo con sus bases y esto significa que cada líder estudiantil o juvenil lo es en la medida en la que tenga capacidad para intercambiar, para representar y para lograr que su núcleo juvenil participe, se movilice y esté comprometido.
La mirada juvenil ante la discusión de los lineamientos del Partido fue crítica pero certera, comprometida, de confianza en el futuro de la Revolución. No utilizamos el método de segregar al que no esté de acuerdo. Lo que sí tenemos que tener claro es que no nos podemos permitir hacer concesiones con los principios, porque ellos rigen las normas sociales. Algo que hemos aplicado desde la misma génesis de la UJC pero que se hace más necesario reforzar, entender, implementar. Estamos en una sociedad mucho más diversa, mucho más arcoíris, en medio de un mundo mucho más diverso, con un nivel de influencia con los medios muy intenso, en el cual cada joven tiene que decidir las posturas que asume.
Todos los movimientos juveniles son abiertos a todos los jóvenes hasta los 35 años de edad, y debemos tener capacidad para dialogar con la asociación que agrupa a la vanguardia artística y cultural joven, para hablar con los científicos que están dentro de las brigadas técnicas juveniles, para hablar con los campesinos que están dentro de las brigadas juveniles campesinas, siendo sectores totalmente diferentes. Tenemos que tener una capacidad de diálogo y, dentro de la misma, seguir erigiéndonos como organización rectora y política.
- ¿Cómo trabaja la UJC con aquellos sectores de la juventud cubana no tanto contrarios al proceso revolucionario, pero sí indiferentes, incluso descreídos?
- Voy a partir de un criterio muy personal: a los llamados “sectores informales” de la juventud es importante tenerlos estudiados, saber qué les mueve, porque para nadie es un secreto que existe una política de subversión ideológica hacia la Revolución cubana que va dirigida específicamente a influir en la generación más joven de la Revolución, conminando a que esta generación sea la que entregue la Revolución cubana.
Pero no existe “marca” alguna que pongamos porque alguien sea de un sector diferente, o porque alguien represente a este tipo de movimiento o a este otro. De hecho, estos jóvenes interactúan de una manera u otra en una organización estudiantil, en un espacio institucional, en una escuela, en un barrio, donde están las organizaciones sociales, las organizaciones estudiantiles, y la manera que tenemos de actuar es la de reconocerlos como parte de todo ese arcoiris que es la sociedad cubana, y que no escapa al mismo arcoiris que tienen las sociedades del mundo. Tiene que ver con el desarrollo que ha tenido el mundo, con la globalización de culturas emergentes y también de pseudoculturas. En Cuba no escapamos a este tipo de manifestaciones, no somos una urna de cristal, las tenemos y hay que aceptarlas.
Tras veinte años de “período especial”, de una profunda crisis económica que tocó fondo en nuestro país, los espacios de recreación fueron muy vulnerables, y hemos ido creando nuevos espacios, festivales universitarios del libro y la lectura, festivales del libro para todo el pueblo, festivales culturales, el movimiento de artistas aficionados, etc. En la medida en que vayamos recuperándonos económicamente, más posibilidades tendremos para poder cubrir la demanda cultural y de ocio de toda la población, ya que no es única y exclusivamente problema de la juventud cubana.
La Revolución cubana, lamentablemente, nunca ha podido desarrollarse normalmente en el orden económico, político y social, porque hemos tenido durante 54 años la presencia del bloqueo hostil y genocida, que ha lacerado vertiginosamente el desarrollo pleno de la juventud en Cuba.
- La UJC tiene más de 400.000 militantes y es una organización cuyo ingreso es voluntario pero selectivo. Explícanos esto.
- Hay que partir del principio que la UJC es una organización de vanguardia y por ello no somos una organización masiva. Pasa por entender qué significa la UJC como organización juvenil del Partido, como organización de vanguardia dentro de la juventud cubana, en la que se necesita siempre que estén los que tengan más capacidad de liderar los principios de la Revolución, que nos corresponde contribuir a que el resto de los jóvenes tengan una mirada acertada hacia la Revolución. Por eso es voluntaria y también selectiva, pues no puede haber una militancia en la UJC obligada, es decir, que no se forma a un pelotón de militantes comunistas en una escuela, o en ningún centro de trabajo, sino que pasa porque cada joven decida ser militante de la UJC. El militante de la UJC tiene que articularse como un joven ejemplar en el centro estudiantil, en el laboral y también lo tiene que ser en su comunidad, si eso no pasase en su comunidad, lo limita para ser ese joven de vanguardia.
En la medida en que nuestra organización reconozca en sí a los mejores jóvenes cubanos, está también reconociendo a los mejores miembros del Partido en el futuro y asegura por tanto la claridad y la certeza de que el Partido, que por supuesto está conformado por el pueblo, tiene que seguir siendo la vanguardia política del pueblo cubano.
- En una entrevista reciente a la Primera Secretaria de la UJC, que era un texto muy interesante por lo autocrítico, decía que la UJC había adolecido en algunos momentos de sectarismo y formalismo, unos males contra los que estáis luchando.
- Nuestro presidente Raúl Castro ha sido el primero que, desde el año 2008, está pidiendo al pueblo que sea mucho más abierto en las discusiones, que acepte que hay discrepancias. Los métodos que teníamos establecidos podían darnos la posibilidad de ser rígidos en la aplicación de algunas políticas. Se tiene que seguir enseñando a la juventud qué significa trabajar en la diversidad, romper con el esquematismo y con el sectarismo, porque somos los responsables de asegurar la unidad del pueblo cubano dentro de unos años. La sociedad que tenemos hoy es mucho más diversa y mucho más cambiante que la que tuvimos veinte años atrás, de la misma manera que ha tenido que subsistir la Revolución, que ha tenido que sobreponerse a todos los embates por haber dicho hace 54 años: “vamos a constituirnos como Revolución cubana y éstos son nuestros principios”.
Nosotros estamos abocados a que todo nuestro pueblo participe y lo haga desde una actitud consciente, crítica y constructiva hacia nuestra Revolución. Estamos en el camino de poder seguir dando pasos para poder modificar y contribuir a este cambio de mentalidad, a partir de los acuerdos del VI Congreso del PCC. Es necesaria la transformación y modificación de nuestra manera de actuar ante los fenómenos que tenemos en nuestra sociedad, que por supuesto en la juventud adquieren un matiz de colores más amplio.
Entrevista: José MANZANEDA
Transcripción/redacción: Maite SÁNCHEZ


Leira Sánchez Valdivia, responsable de Relaciones Internacionales de la Unión de Jóvenes Comunistas de Cuba. Hablamos sobre el relevo histórico en Cuba y sobre la cultura del debate y la discrepancia en la Unión de Jóvenes Comunistas (UJC) con su responsable de Relaciones Internacionales.

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venerdì 25 gennaio 2013

En el día del periodismo en España- CRISTINA KIRCHNER Contra la “prensa canalla"-Periodista italiano confiesa haber enviado falsa foto de Chavez-Venezuela tomará medidas legales contra diario español "El País"-


Viernes, 25 de enero de 2013
REPUDIO GENERALIZADO ANTE LA MALA PRAXIS DE "EL PAIS" DE MADRID

En el día del periodismo en España

Antiguos trabajadores del periódico e intelectuales dejaron en claro su malestar por la publicación de la foto. Y el director del diario El Mundo dijo que a él le quisieron vender la imagen por 30 mil euros.

Por Flor Ragucci

El papelón trascendió fronteras: aquí una dominicana con el diario.
Desde Barcelona
Particular forma de celebrar el día del periodismo la del diario más prestigioso de España. Ayer, 24 de enero, mientras en Santiago de Compostela la Federación de Asociaciones de Periodistas (FAPE) conmemoraba la festividad de su patrón, San Francisco de Sales, el gran matutino se saltaba todos los códigos éticos de la profesión. “Llamamos la atención de los ciudadanos y de las instituciones sobre la importancia de que la libertad de prensa y el derecho de información mantengan su solidez como pilares fundamentales de la democracia”, rezaba el manifiesto que la FAPE leyó ante la talla escultórica del santo, en el altar de la Universidad de Santiago.
Desde que El País publicó la fotografía hasta que constató que, efectivamente, no correspondía a Hugo Chávez y, según explicitó en su web, “paralizó la distribución de su edición impresa y procedió a enviar una nueva edición a los puntos de venta”, transcurrió aproximadamente media hora. Tiempo más que suficiente para que el papelón trascendiera todas las fronteras y se volviera trending topic mundial en redes sociales como Twitter. No tardó en pronunciarse el director del diario El Mundo, Pedro J. Ramírez, que aprovechó para contar en su perfil de Twitter cómo el miércoles una agencia le había querido vender la foto del líder bolivariano en el hospital, por 30 mil euros. “Nosotros dijimos que no: cuando la veáis en otro medio ya diréis si acertamos”, concluía el mensaje.
En España, tanto El País como “Chávez” son los temas del momento. El perfil de la revista satírica Mongolia dice, por ejemplo: “Echas a 149 periodistas sin pérdidas y, claro, se te pasan cosas por un tubo”, haciendo referencia a los despidos masivos que el diario está llevando a cabo en el último tiempo. En la misma línea, antiguos trabajadores del periódico quisieron dejar claro su repudio a la mala praxis de El País a través de las redes sociales. Javier Valenzuela, ex redactor del diario y uno de los expulsados en la última reducción de plantilla que eliminó al 30 por ciento de los periodistas, expresó: “Sensacionalismo gore y falsedad, lo más bajo del periodismo. ¡Me duele!” y añadía: “El País hace el ridículo global con la falsa foto de Chávez, pero Cebrián (uno de los dueños del rotativo) seguirá diciendo que la culpa de su agonía la tiene Internet”.
Otro colega, Hermann Tertsch, que hace algunos años también abandonó el periódico ante la imposibilidad de expresarse libremente, se hacía ayer eco de las protestas y publicaba en Twitter: “Cuando la incompetencia logra eficacia sólo en rodearse de mayores incompetentes, acaba recogiendo la propia cagada por kioscos de madrugada”.
Además de los históricos periodistas que trabajaron en el diario de Prisa y que ven con preocupación la deriva que está tomando esta empresa en manos de Javier Moreno y Juan Luis Cebrián, algunos intelectuales se pronunciaron contra lo sucedido. El escritor sevillano Isaac Rosa, que es columnista habitual de otro importante diario de España, Público, señalaba en la red que “publicar una foto de Chávez entubado ya era caer bajo. Que encima se la cuelen por falsa dice poco (o mucho) del periódico global”.
El País tuvo que pedir disculpas en su página web a los lectores “por el perjuicio causado” y declaró haber abierto una investigación “para determinar las circunstancias de lo sucedido y los errores que se hayan podido cometer en la verificación de la fotografía”. Pero no parece que le vaya a servir de mucho. A través de un comunicado oficial, la Embajada de Venezuela en España expresó “su más firme rechazo a la campaña que el diario viene desarrollando contra el presidente Hugo Chávez, el pueblo y la democracia venezolana”. La misiva denunciaba la falta de ética del rotativo por publicar una fotografía falsa y venderla como imagen exclusiva, a la vez que declaraba: “Después del editorial del 13 de abril de 2002, donde El País justificó el golpe de Estado contra el presidente Chávez, poco de la cobertura de este diario sobre Venezuela nos ha sorprendido, pero con esta acción se sobrepasaron todos los límites, no sólo de la ética periodística, sino del más básico respeto a los derechos de un hombre que está batallando por su salud, de su familia y del pueblo venezolano”.
El periódico acompañaba la fotografía de Chávez con un texto que aseguraba que dicha imagen era el reflejo de un momento del tratamiento médico del mandatario en Cuba. Sin embargo, media hora más tarde, El País rectificaba alegando que “no había podido verificar de forma independiente las circunstancias en que fue tomada la imagen, ni el momento preciso ni el lugar”. Semejante falta dio pie a la delegación de Venezuela en España para denunciar que el diario “no hace el más mínimo esfuerzo por cumplir con su propio Manual de Estilo, empezando por los artículos 1.12 y 1.34, respecto a la obligada verificación de la información, el extremo cuidado que se exige en la publicación de fotos de archivos, así como los casos y formas en que se admite la no mención de la fuente”.
Por su parte, la ONG Periodistas por la Verdad –en cuyas filas militan periodistas con más de 25 años de trayectoria profesional– deduce que la grotesca publicación no fue un error involuntario, puesto que es imposible que un diario con 36 años de trayectoria no haya confirmado la autenticidad de la fotografía referida a una noticia tan delicada como es la referida a una figura pública internacional como la del presidente Chávez.

 CRISTINA KIRCHNER EXPRESO SU RECHAZO A LA PUBLICACION POR TWITTER

Contra la “prensa canalla”

La Presidenta comentó que, como todos los días, miró los diarios en el desayuno hasta que se topó con la tapa de El País. Lo consideró una “canallada”. Les mandó saludos a las hijas de Chávez y “fuerza” a Maduro.

Cristina Kirchner escribió ayer varios tuits para expresar su rechazo ante la portada de El País.
Prensa canalla. No se me ocurre otro adjetivo”, afirmó la presidenta Cristina Fernández de Kirchner para referirse a la falsa foto de su par venezolano Hugo Chávez que publicó en su portada ayer el diario español El País. Luego de ver la imagen de un hombre entubado con los ojos cerrados en la cama de un hospital bajo el título “El secreto de la enfermedad de Chávez”, que el matutino publicitó como “inédita y exclusiva”, la jefa de Estado se preguntó “cómo será el editor que autorizó la publicación”, sugirió que el periodismo “es igual en todas partes” y mencionó como ejemplos de la “prensa canalla” al diario británico The Sun y al argentino Clarín. Los últimos dos tuits de una serie de once fueron muestras de afecto para las hijas del líder bolivariano y para el vicepresidente Nicolás Maduro. “Fuerza, mucha fuerza”, les deseó. “Por Venezuela, por Latinoamérica, por la dignidad, por la vida. Por Chávez.”
La Presidenta visitó espacialmente la capital de Cuba el viernes 11 de enero para ver a Chávez, internado y convaleciente de la operación a la que había sido sometido un mes antes. Fue una visita “simplemente de solidaridad y acompañamiento con quien es un amigo, un compañero, y que ayudó tanto a la República Argentina cuando nadie la ayudaba”, explicó a la prensa, antes de reunirse con Raúl y Fidel Castro. Cristina le dejó al venezolano una Biblia que le habían obsequiado días antes autoridades de la Federación Argentina de Iglesias Evangélicas y luego partió a su gira por los Emiratos Arabes, Indonesia y Vietnam.
Ayer, un día después de su retorno al país, la jefa de Estado se encontró a primera hora con la foto gigante del falso Chávez. “Voy a desayunar. Como todas las mañanas en la mesa, pila de diarios argentinos y también un ejemplar del diario español El País”, arrancó el relato en primera persona desde su cuenta de Twitter @CFKArgentina. “En la portada de El País vi una foto. Me corrijo, eso no es una foto. Es una canallada”, la definió de entrada, y apuntó a los responsables de la publicación: “¿Cómo será el/la que armó la foto? ¿Tendrá hijos? ¿Caminará por las calles de Madrid junto a hombres y mujeres normales?”, se preguntó. “¿Quién fue el editor que autorizó la publicación? ¿Hablará de la libertad de prensa? ¿Escribirá editoriales sobre ética, moral y buenas costumbres y señalará con el dedo a su próxima víctima?”, siguió. Cuando la Presidenta avanzaba en sus reflexiones, El País ya había retirado la foto de su página web, admitiendo que no había logrado verificar de forma independiente las circunstancias, lugar y fecha en que se había realizado la toma que compró a una agencia española.
Prensa canalla”, reiteró la definición la jefa de Estado, y agregó: “No se me ocurre otro adjetivo”. Luego sugirió que no es un caso aislado: “Es igual en todas partes: El País en Madrid, The Sun en el Londres de Murdoch, enredado en tramas de corrupción con el gobierno de Cameron, y vaya a saber qué otras cosas más”, citó ejemplos europeos. “Aquí es el Clarín de Héctor Magnetto. Sobre esto no hacen falta adjetivos, sobran y son demasiados conocidos”, volvió al ruedo.
Dentro de un rato comenzamos las reuniones con funcionarios, tengo el estómago hecho un nudo”, confesó, y entonces se dirigió directamente a las hijas del líder bolivariano: “María, Rosa, las quiero mucho, sigan cuidándolo”. “Nicolás, fuerza, mucha fuerza”, le deseó al vicepresidente Nicolás Maduro. “Por Venezuela, por Latinoamérica, por la dignidad, por la vida. Por Chávez”, concluyó.

PERIODISTA ITALIANO CONFIESA HABER ENVIADO FALSA FOTO DE CHÁVEZ

El periodista italiano Tommasso Debenedetti confesó este jueves haber enviado a tres agencias de noticias latinoamericanas una falsa foto publicada por el diario español El País, donde se muestra a un hombre entubado en una cama de hospital y que fue presentada en la portada impresa del rotativo como “imagen exclusiva” del presidente venezolano, Hugo Chávez.

“La falsa foto de Chávez, que tomé de un video de YouTube, la envié la semana pasada a una agencia de Costa Rica, a la agencia estatal venezolana y a Prensa Latina (cubana) y nunca me imaginé que iría a terminar en la primera plana de El País”, declaró Debenedetti a un medio local mexicano.

Debenedetti dijo que ninguna de las tres agencias latinoamericanas publicó la foto en cuestión y que por “extrañas circunstancias” apareció en la primera plana de “un diario tan importante como El País”.

Reveló que al enviar la imagen se hizo pasar por el ministro venezolano de Cultura, Pedro Calzadilla, y que su “intención” fue “la de verificar la rigurosidad de los medios cuando deciden publicar material fotográfico”.

Según El País, la imagen le fue suministrada por una agencia informativa que aseguró que se trataba del presidente Hugo Chávez, quien se recupera satisfactoriamente de una intervención quirúrgica a la que fue sometido el pasado 11 de diciembre en La Habana (capital de Cuba) tras la aparición de nuevas células cancerígenas en una zona de su cuerpo.

En un texto que acompañaba a la foto El País reconoció que no pudo verificar independientemente las circunstancias, el lugar o la fecha en la que se había realizado la fotografía, pero aún así daba por cierta la imagen.

Luego de comprobar que el hombre de la imagen no era el mandatario venezolano, el diario detuvo la distribución de su edición impresa y retiró la foto de su página web.

Tommasso Debenedetti fue el autor de los rumores sobre la muerte del líder de la Revolución Cubana Fidel Castro, del escritor colombiano Gabriel García Márquez y ha suplantado a través de Facebook y Twitter identidades de personajes famosos, como Mario Vargas Llosa, el Papa Benedicto XVI o Umberto Eco.

También se ha hecho pasar a través de las redes sociales por los escritores Paco Ignacio Taibo II, Almudena Grandes, Laura Esquivel, Isabel Allende o ha inventado entrevistas con Nadine Gordimer, Philip Roth, Abraham Yehoshua, Herta Müller o Toni Morrison, entre otros.

Según el periodista, su “intención” es denunciar la falta de controles en la información y la facilidad de suplantación que existe en Internet.

Es una canallada”

Tras la publicación de la falsa foto, la presidenta de Argentina, Cristina Fernández, manifestó por su cuenta en Twitter que “en la portada de El País vi una foto. Me corrijo, eso no es una foto. Es una canallada”.

La mandataria argentina le envió al vicepresidente de Venezuela, Nicolás Maduro, “fuerza, mucha fuerza. Por Venezuela, por Latinoamérica, por la dignidad, por la vida. Por Chávez”. Asimismo, a las hijas del mandatario “María, Rosa, las quiero mucho, sigan cuidándolo”.

A través de su cuenta en la red social Twitter (@VillegasPoljakE), el ministro de Comunicación e Información de Venezuela, Ernesto Villegas, desmintió este miércoles el montaje mediático fabricado por el periódico español, que formaría parte de una campaña internacional y psicológica de desestabilización denunciada, días atrás, por el mismo Gobierno de Venezuela.

Tan grotesca como falsa la foto de ‘Chávez entubado’ que hoy publica en primera página el venerable diario El País de España”, escribió Villegas.

Frente a ello, el ministro desveló que la fotografía corresponde a una captura de pantalla de un video subido a Youtube en el año 2008, denominado “Intubación de acromegalia AMVAD”.

De este video proviene la falsa ‘foto de Chávez entubado’ que publicó El País de España en primera página: http://www.youtube.com/watch?v=DB4bIH0GsYU …”, redactó Villegas en otro tuit.

A principios de este mes de enero, el Gobierno de Hugo Chávez alertó sobre una guerra psicológica, emprendida por corporaciones mediáticas transnacionales, para difundir falsos rumores sobre la salud del presidente.

En abril de 2002, el mismo diario español avaló el golpe de Estado contra el presidente venezolano, en un polémico editorial titulado: “Golpe al caudillo”, en el que argumentaba que “la situación había alcanzado tal grado de deterioro que este caudillo errático ha recibido un empujón”.
Fuente: teleSUR
Tomado de http://www.patriagrande.com.ve

Venezuela tomará medidas legales contra diario español "El País"

24 ene 2013
Correo del Orinoco.- El ministro del Poder Popular para la Comunicación y la Información, Ernesto Villegas, manifestó en nombre del Gobierno Bolivariano, su rechazo categórico a la publicación de una fotografía falsa del presidente Hugo Chávez en la edición de este jueves del diario español El País.
El funcionario calificó el hecho como “una vergüenza del periodismo mundial que pasará a la historia,”, y aseguró, en ese sentido, que Venezuela tomará las medidas legales pertinentes contra el referido medio. La información se desprende de un comunicado leído por el ministro Villegas.
Es lamentable que el periódico El País haya descendido al pantano de ABC”, señaló Villegas durante una rueda de prensa ofrecida la tarde de este jueves en la sede de la Cancillería, en Caracas.
Asimismo, destacó que la publicación “no solo violento todas las normas del periodismo ético, sino el manual de estilo del propio periódico”.
El titular de la cartera de Comunicación también lamentó también que el diario El País, “en su arrogancia” no se haya disculpado con Chávez, su familia y con el pueblo venezolano, por la publicación de la foto falsa.
En cuanto a las medidas que tomará el gobierno venezolano contra el medio español, Villegas sostuvo: “haremos uso de todas las herramientas legales a nuestro alcance para resarcir ese daño que no solo le han hecho al presidente Chávez, sino al pueblo venezolano”.
A continuación el texto íntegro del comunicado:
COMUNICADO
El Gobierno de la República Bolivariana de Venezuela manifiesta su más firme rechazo ante la publicación en la primera página del diario El País de España de una grotesca fotografía falsamente atribuida a nuestro presidente Hugo Chávez.
Esta acción temeraria, que pasará a la historia como una vergonzosa página del periodismo mundial, se inscribe en una ofensiva sistemática del poder mediático transnacional contra la Revolución Bolivariana y el comandante Chávez, campaña que utiliza como punta de lanza a la prensa hegemónica española, en especial a los diarios El País y ABC.
La publicación de una fotografía de un paciente intubado en una cama de hospital, tomada de un video realizado en 2008, para asociarla al presidente Chávez no sólo violentó todas las normas éticas del periodismo, sino también el propio Manual de Estilo del periódico en cuestión, así como los más elementales derechos inherentes a los pacientes y a la persona humana.
El Gobierno venezolano ejercerá las acciones legales pertinentes ante el agravio cometido, que no se resarce con las magras disculpas ofrecidas por la empresa de difusión masiva a sus lectores. En su arrogancia, ni siquiera las extendieron al presidente Chávez, a sus familiares ni al pueblo venezolano, como tampoco se han disculpado por su desvergonzado apoyo al golpe de Estado del 11 de abril de 2002.
Este rocambolesco episodio debería servir de lección a la prensa amarillista del mundo entero, particularmente a la venezolana, que ha repetido incesantemente las mentiras de la prensa canalla internacional. Es lamentable que El País haya descendido al pantano de ABC.
Caracas, 24 de enero de 2013

Immagini da internet inserite da elaboratore blog

giovedì 24 gennaio 2013

Le bugie della democrazia e il linguaggio della menzogna


Le bugie della democrazia e il linguaggio della menzogna

Colin Todhunter - Global Research

18/01/2013


In un'epoca sempre più guidata dai media, il linguaggio è tutto ed è spesso usato dalla burocrazia per dominare il significato. Con milioni di morti sulle spalle sin dal 1945, gli Stati Uniti sono diventati lo stato terroristico numero uno al mondo. Dagli anni '80, l'ex agente della CIA John Stockwell, ha accennato alla cifra di sei milioni. Un recente articolo ha indicato come, dal bombardamento di massa nel sud est asiatico all'impiego di squadroni della morte in America del Sud, l'esercito americano e la CIA siano stati direttamente o indirettamente responsabili di un numero aggiornato di circa dieci milioni di morti (1). Ma oggi non è definito assassinio di massa. Ironia della sorte, gli Stati Uniti hanno sequestrato la parola "terrore" per giustificare il loro marchio di tirannia attraverso una guerra al terrore.

È inoltre possibile aggiungere a quei dieci milioni innumerevoli altri, le cui vite sono state sacrificate sull'altare del profitto aziendale, che non si basa sui militari per bombardare popoli e paesi fino alla sottomissione, ma su una certa politica. Non è una vessazione. E' un adeguamento strutturale.

Come risultato, centinaia di migliaia di contadini indiani si sono tolti la vita negli ultimi dieci anni, una gran parte di loro a causa dell'attività agroindustriale statunitense e della manipolazione dei prezzi globali delle materie prime e per gentile concessione delle politiche adottate per loro conto da parte del governo degli Stati Uniti o per il monopolio delle grandi corporazioni o la frontiera tecnologica dei semi terminator che ugualmente riducono in miseria gli agricoltori che contraggono più debiti di quanto possano sopportare (2).

La situazione dei contadini indiani non è unica. Quante vite sono state fatte a pezzi in tutto il mondo a causa della violenza intrinseca strutturale o dell'omicidio silenzioso derivante dal funzionamento quotidiano, apparentemente benigno, del capitalismo predatorio. Le intrinseche disuguaglianze del sistema hanno effettivamente rubato anni alle vite delle persone, la salute dai loro corpi, i mezzi di sostentamento dalle loro mani, l'acqua dai loro rubinetti e il cibo dai loro piatti. Dal Regno Unito all'Africa, le classi subalterne - il materiale economico spesso sacrificabile, la carne da cannone in tempo di guerra o gli eroi reduci gettati a mare dal sistema al loro ritorno a casa, persone manipolate e sfruttate a piacimento tramite fasulli principi di nazionalismo o di interesse nazionale - hanno avuto le loro vite spezzate o private di opportunità a causa delle difficoltà imposte dal pugno di ferro del capitalismo (3).

L'appropriazione della ricchezza attraverso un sistema che la convoglia dal basso in alto per mezzo di un processo di accumulazione per esproprio (4), è celebrata come crescita, prosperità e libertà di scelta nonostante la realtà provi che, dalla Grecia alla Spagna, per la maggioranza sia aumentata la povertà, la privazione di scelta e la miseria.

Non si sa molto di questo però, se si usano solo i principali media di informazione. Certo, ci può essere stato detto di stringere la cinghia perché siamo tutti nella stessa barca e dobbiamo fare qualche sacrificio in questi tempi economicamente difficili.

E ad ogni buon conto, poiché gran parte del paese (qualsiasi paese) è gettato nella discarica in quanto eccedente, ora che i loro posti di lavoro sono stati esternalizzati all'estero, dobbiamo semplicemente attaccare il Mali, la Siria, la Libia, l'Iran (e la lista continua), perché non farlo avrebbe permesso ai malvagi di conquistare il mondo. E allora dove saremmo senza idee così alte? Non è saccheggio delle risorse. E' umanitarismo.

Beh, saremmo proprio dove ci troviamo in questo momento perché i malvagi già controllano e fanno la guerra non solo ai popoli di questi paesi appena citati, ma ai loro rispettivi popoli anche attraverso gli strumenti di sorveglianza, il sistema penale, gli effetti narcotizzanti delle droghe importate dal capo delle spie o dell'industria dell'informazione-spettacolo e la raffica di leggi che servono a spogliare le libertà civili. Il gioco è finito, l'economia occidentale dominante (gli Stati Uniti) è incrinata in modo irreparabile (5). L'imperialismo e il militarismo non la salveranno, ma il dissenso non sarà consentito.

E, come banchieri privati, intrappolano tutti noi ancora di più, con la loro licenza di stampare e prestare moneta ai governi nazionali per poi prestare loro anche gli interessi su di essa, entrando in una spirale indebitatoria che non potrà mai essere rimborsata (6) e sono anche in grado di riempirsi ulteriormente le tasche acquistando beni nazionali a basso prezzo in primo luogo dai paesi in bancarotta. Non è racket. E' austerità.

"E ora vengono per la vostra sicurezza sociale. Vogliono i vostri soldi della pensione. Li rivogliono indietro per darli ai loro amici criminali di Wall Street. E sai una cosa? Li avranno. Otterranno tutto prima o poi, perché possiedono questo posto." Gorge Carlin, scrittore, critico e comico.

E dove sono i principali media di tutto questo? Dove sono i giornalisti la cui pretesa di rispettabilità è la loro rigida professionalità, responsabilità, indipendenza? Se si possono chiamare professionalità, responsabilità e obiettività l'essere nelle mani di pubblicitari, burocrati, lobbisti o think tank aziendali e non volere offenderne gli interessi, allora sono dei modelli di virtù assoluta!

Diffondendo le loro menzogne altamente stipendiate, hanno deluso e continuano a deludere il pubblico. Con la loro fioca luce "investigativa" sulle "procedure parlamentari", le personalità e le insensate macchinazioni delle politiche di partito, non fanno altro che mantenere e perpetuare lo status quo e tenere il pubblico all'oscuro dall'indefinibile ed egoistica potenza e unità di interessi che consentono a Big Oil, Big Banking, Big Pharma, Big Agra e al resto di costoro di continuare a dissanguarci tutti.

Richiamare alla mente la notiza della BBC sul bombardamento NATO della Libia, ci fornisce una visione piuttosto rivelatrice dei media ufficiali. La copertura è stata vergognosamente unilaterale. Il pubblico deve pagare un "servizio pubblico" per venire ingannato e per garantire il nostro rispetto alle politiche statali-aziendali illegali? C'era poca analisi sull'orientamento della "missione" o su dove gli insorti ottenevano le armi, nonostante l'ONU avesse sanzionato l'embargo sulle armi. Molto meno sul diritto morale della NATO di bombardare una strada di Tripoli. Non parliamo di quanto affermato dal professore Chris Landsberg dell'Università di Johannesburg rispetto alla violazione del diritto internazionale da parte della NATO, o delle 200 personalità africane che hanno accusato le nazioni occidentali di sovvertire il diritto internazionale.

Al contrario, quello che ci viene servito, per gentile concessione dei media mainstream di volta in volta che la Gran Bretagna decide di fare la guerra, è un gustoso piatto del sentimento nazionalistico e della mentalità coloniale dei "nostri ragazzi", andati laggù per aiutare a civilizzare i barbari.

Ma questo è il ruolo dei media, ovvero contribuire a rafforzare e riprodurre le condizioni materiali di un sistema di sfruttamento quotidiano e di divisione sociale. Si chiama avere dei media condiscendenti, senza artigli. E' la democrazia liberale. Questo è il ruolo non solo dei media, ma del sistema educativo e del sistema politico.

Ed è per questo che all'ex premier britannico anni fa era stato detto dai suoi padroni finanziari di vendere quello che scherzosamente era considerato "l'oro della nazione" a un prezzo stracciato, a beneficio degli interessi dei banchieri (non della nazione), senza un vero e proprio controllo pubblico. Alcuni dicono che è stato il primo "salvataggio" (7). È per questo che il denaro dei contribuenti, all'insaputa alla maggior parte di loro, viene utilizzato inspiegabilmente e non democraticamente per sostenere le banche e per rovesciare diversi paesi, causando migliaia di morti e distruzioni attraverso le "operazioni segrete". Segrete, cioè nascoste all'opinione pubblica, beatamente inconsapevole di dove i suoi dollari, sterline o euro duramente guadagnati siano effettivamente andati a finire.

Ecco perché i truffatori statali-aziendali, assassini e bugiardi che si ammantano del linguaggio della libertà e della democrazia l'hanno fatta franca per tanto tempo. Purtroppo, è per questo che continuano a farlo.

Note




www.resistenze.org

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mercoledì 23 gennaio 2013

(Stati Uniti) E' tornato il pericolo rosso e la caccia alle streghe!

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(Stati Uniti)
E' tornato il pericolo rosso e la caccia alle streghe!

Zoltan Zigedy

In realtà non è mai scemato. Come la maggior parte dei mali, si nasconde nell'ombra e tra gli anfratti fino a quando non viene evocato di nuovo a servire i ricchi e i potenti.

Come il razzismo, gridare al pericolo rosso è uno strumento di divisione e di distrazione. Serve a separare quelli che sono deboli o insicuri da quelli determinati a cambiare un sistema politico e sociale malvagio. La caccia alle streghe sfrutta la paura per diffamare coloro che cercano la giustizia sociale. Chi ricorre a questa tattica lo fa per seminare il cinismo, raffreddare l'ardore, alimentare i dubbi e sciogliere l'unità.

Un ceppo rinnovato e virulento dell'anticomunismo sta emergendo negli Stati Uniti; si estende dal film idiota Alba Rossa ai virulenti attacchi dei media contro Oliver Stone e "La Storia Sconosciuta degli Stati Uniti", la sua serie televisiva in dieci puntate.

Alba Rossa attualmente in proiezione in centinaia di cinema, ha incassato, al 2 dicembre, più di $31 milioni. Basato su una trama idiota centrata su un'invasione degli stati nord-occidentali da parte delle truppe della Repubblica Democratica Popolare di Corea, il film ci presenta dei giovani patrioti che forgiano un movimento di resistenza contro i loro aggressori asiatici.

Solo a Hollywood si poteva creare una trama che presenta un paese relativamente povero con una popolazione di venticinque milioni persone quale artefice di un atto di aggressione a distanza contro il paese economicamente più potente della storia con ben più di dieci volte la popolazione. Che cosa ne seguirà? Il Nicaragua che invade il sud-ovest degli Stati Uniti?

Oh, scusate, quel film è stato fatto nel 1984! In realtà, l'attuale Alba Rossa ha trovato la sua dubbia ispirazione nel film degli anni reaganiani, usando lo stesso titolo e un impegno altrettanto virulento nel disprezzare i rossi. Abbiamo John Milius e i suoi colleghi altrettanto dementi di Hollywood, a ringraziare per gli spauracchi di Alba Rossa I. Lo sceneggiatore/regista Milius porta la responsabilità di film alquanto stupidi - anche se meno politicamente disonesti - come Magnum Force e Conan il Barbaro.

Ma se quei film hanno solo sancito politiche rivoltanti usando icone di destra, Alba Rossa I ha avanzato l'agenda politica dell'imperialismo statunitense, rozzamente servita per guadagnare consensi. Nel momento in cui la lotta per la pace e la distensione attraversano un momento critico, il film è stato calorosamente accolto dagli avversari del riavvicinamento.

Oggi, Alba Rossa II emerge non per contrastare la sinistra, ma bloccare preventivamente un temuto emergere della sinistra. Anche se la maggior parte dei leader della sinistra statunitense sono legati al Partito Democratico o impantanati nell'opportunismo, i ricchi, i potenti e i loro tirapiedi capiscono che l'economia profondamente ferita e il sistema politico malfunzionante forniscono sia i semi che un terreno fertile per un forte movimento popolare. E sperano di inquinarlo gridando al pericolo rosso prima che i germogli nascano. Anche con la sua trama rozza e senza alcuna plausibilità, Alba Rossa II ha lo scopo di screditare qualsiasi movimento "rosso" o soltanto "rosa" prima che maturi.


Allo stesso modo, la nuova serie televisiva di Oliver Stone su Showtime è stata accolta con un'aggressività virulenta da parte degli anticomunisti professionisti, leccapiedi dei media di regime. Con lo scopo di correggere la storia "ufficiale" degli anni della guerra fredda presentata nelle lezioni di civica della scuola superiore, Stone e il suo collaboratore, lo storico Peter Kuznick, hanno prodotto una serie in dieci puntate che sfida l'anticomunismo automatico-involontario e cerca di compensare le calunnie dei falchi della Guerra Fredda. "La Storia Sconosciuta degli Stati Uniti" propone una contro-storia costruita intorno ad una serie di "se" che tracciano una traiettoria storica diversa, senza un rapace e predatorio complesso militare-industriale e una distruttiva CIA.

Naturalmente questo non va a genio ai guardiani rabbiosi del canone anticomunista. Come Peter Kuznick ha documentato in un recente appello di storici contro la guerra, questi sono attualmente numerosi e attivi.

Ronald Radosh - famoso per aver fatto carriera paragonando i rossi e i loro "compagni di viaggio" agli agenti della NKVD e MVD - compie un'iperbole per collegare Stone e Kuznick alle defunte agenzie di sicurezza sovietiche. Radosh sostiene di aver trovato somiglianze che rasentano il plagio (un'affermazione che rasenta la calunnia) tra "La Storia Sconosciuta" e il libro We Can Be Friends (Possiamo essere amici) di Carl Marzani, morto nel 1994.

Per quadrare il suo cerchio, Radosh ci informa che Marzani "... ha raccontato questa stessa storia in We Can Be Friends. Membro segreto del PCUSA che aveva lavorato durante la guerra nell'OSS [Office of Strategic Services, agenzia di intelligence statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale], più tardi venne provato, dagli archivi sovietici e da decriptazioni Venosa, che Marzani era stato operativo nel KGB (allora NKVD). Il suo libro è stato pubblicato privatamente dalla propria casa editrice sovvenzionata dai sovietici. Fu il primo esempio di quello che sarebbe poi stato chiamato "revisionismo da Guerra Fredda". Così, per associazione - una delle tattiche preferite dall'anticomunismo - Stone e Kuznick vengono collegati al KGB attraverso il fattore Carl Marzani. Altri hanno dimostrato l'uso irresponsabile e infondato da parte di Radosh dell'accusa di essere "operativo" o "agente" sulla base della prova sottile dell'"associazione". Ma l'identificazione "segreta" o aperta di Marzani con il comunismo nel 1952, non ha alcuna rilevanza per la verità trasmessa da We Can Be Friends o "La Storia Sconosciuta". Marzani sostiene quanto segue:

"Il passo successivo per la pace è quello di sedersi intorno a un tavolo e negoziare. I negoziati, si deve sottolineare, non richiedono amicizia. I negoziatori possono sedersi senza sorridere e portare avanti le trattative in modo torvo, ma entrambe le parti sono consapevoli del fatto che un accordo deve essere raggiunto". (p. 369) Se in Marzani la formula semplice ma sensata per migliorare le relazioni USA/URSS è stata ispirata dalla NKVD, merito alla NKVD!

We Can Be Friends è stato pubblicato dalla casa editrice Topical Book Publishers. Per quei rossi che nel 1952 avevano qualcosa da dire, l'auto-pubblicazione era spesso l'unica possibilità. Stretti nel morso della repressione maccartista, gli scrittori di sinistra non riuscivano a convincere gli editori conosciuti nemmeno a prendere in considerazione i loro manoscritti. Fatta eccezione per alcuni editori ribelli eccezionali come Cameron e Associati, gli autori di sinistra erano costretti a trovare i fondi per pubblicare poche centinaia di copie, come ha fatto Howard Fast con il suo ora celebre romanzo storico Spartacus. Gli anni bui del 1950 potevano certamente essere più luminosi, se era necessario che la NKVD sovvenzionasse questi ottimi libri!

La qualità della ricerca e cultura di Radosh può essere giudicata dalla sua affermazione enfatica che We Can Be Friends "... è stato il primo esempio di quello che in seguito sarebbe stato chiamato revisionismo da guerra fredda". Una rapida occhiata alla mia vecchia copia logora rivela una bibliografia che cita precedenti scrittori come Frederick L. Schuman e I.F. Stone che hanno decisamente respinto il canone della Guerra Fredda ben prima che il libro Marzani arrivasse sulla scena.

Seguendo l'esempio di Radosh, altri anticomunisti velenosi come Michael Moynihan si sono gettati nella mischia per attaccare Stone e Kuznick. E per sua vergogna, il New York Times ha scatenato il suo mercenario mercante di melma, Andrew Goldman, a montare un bizzarro attacco contro Oliver Stone. Goldman era appena giunto alla fine di quattro settimane di sospensione per aver pubblicamente chiesto a due intervistate se il loro successo professionale fosse storia di letto. Questo attacco è un triste esempio del livello di integrità mostrata dalla maggior parte di questi cortigiani della classe dirigente.

A questi anticomunisti professionisti deve essere aggiunta la schiera dei professori che spacciano luridi libri sull'"Impero del Male". Il più attivo è Anne Applebaum, una giornalista diventata docente universitaria, che scrive libri che dipingono l'esperienza sovietica e dell'Europa orientale socialista come totalmente opprimente e priva di sostegno popolare. Il suo libro più recente, Iron Curtain (Cortina di ferro), gode di larga diffusione e pubblicità copiosa dai grandi media. L'impostazione ideologica di Applebaum (suo marito è il Ministro degli Affari Esteri nel governo ultra-nazionalista polacco) e il suo metodo di ricerca selettiva sono raramente contestati dai suoi colleghi.

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