domenica 24 novembre 2019

Militari e polizia in Bolivia: risentimento storico dell’apparato politico fascista



La Bolivia vive un altro momento di rottura sociale e politica nella sua lunga storia di instabilità e golpe civile-polizia-militari. Ciò che accade, oltre la tragedia vissuta da questo popolo eroico, ha molti paradossi che non possono essere ignorati. Il primo è l’incomprensibile avventura distruttiva di un Paese che si dirigeva verso il 21° secolo con un percorso senza precedenti nel diventare una democrazia. Mai prima d’ora il Paese aveva ottenuto ciò che molti invidiano: crescita economica sostenuta, stabilità politica, unità nazionale in costruzione e rispettoso impegno internazionale, nonché risultati sociali e sconfitta secolare delle due maledizioni del sottosviluppo: estrema povertà e analfabetismo. Il secondo paradosso è sostenere che vi fu una successione costituzionale quando in realtà ciò che accadde fu l’assalto pianificato al potere. Dalla detenzione dei municipi nel Paese in una simulazione democratica all’ammutinamento della polizia, ciò che fu interessato era il rimaneggiamento della scacchiera politica orchestrato ad arte, da qualche tempo ormai, nelle viscere dell’impero con la complicità della élite razzista regionale coperta da una religiosità macabra. Jeanine Ánhez, che si autodefinisce “presidente costituzionale”, rappresenta la presa illegale e illegittima del potere, null’altro che il corollario del piano golpista finemente tessuto negli ultimi tre o quattro anni. Questo finale fascista fu preceduto da una serie di operazioni segrete sistematicamente attuate e che le agenzie d’intelligence non seppero rilevare o che nascosero. Il terzo paradosso è il ruolo angosciante dei media che, quando gli piace, si definiscono democratici, trasparenti e indipendenti. Oggi sono semplicemente un branco di disinformatori senza scrupoli, una vergognosa macchina della manipolazione al servizio degli interessi commerciali monopolistici. Insieme alla panoplia di menzogne sistematiche, dirette dalla diplomazia pubblica nordamericana, i social network adempivano al loro ruolo perverso di filtrare sproporzionatamente, sia nei contenuti che nella portata, il presunto “male masista, inclusa l’enorme broglio”, nascondendo brutalità e violenze del paramilitarismo di Santa Cruz, delle bande armate cochalas o della polizia di La Paz. Il quarto paradosso ha a che fare col ruolo della struttura monopolistica della violenza legittima progettata per proteggere lo Stato e i cittadini, mentre in realtà genera violenza, morte e terrore nel sostenere un regime illegittimo contro la volontà della maggioranza popolare. Mai prima d’ora polizia e militari, inguainati nella presunta difesa della democrazia e nel controllo delle proteste, puntarono così lontano le armi della repressione dalle “sale di guerra”.
Protetti dal nuovo regime violento, militari e polizia coesistono uniti dal sangue e lutto di decine di boliviani nel pieno del loro odio ancestrale a un comando politico transitorio che ne ignora il controverso passato. Come possiamo capire che militari e polizia, il cui reciproco risentimento di oltre un secolo di storie istituzionali distanti segnate dal fuoco, supportano oggi la struttura gelatinosa di un regime che ha causato solo morti e feriti? Al di là del surrealismo che li circonda, polizia e militari sono in una guerra silenziosa nel pieno del colpo di Stato che continua senza sosta nonostante il numero di morti suggellati delle loro armi letali. Il risentimento che circonda entrambe le istituzioni, la cui storia non era ancora chiarita nel 21° secolo, costituisce i veri limiti del regime golpista. I sintomi dell’asprezza iniziarono a emergere nelle turbolente manifestazioni sociali. Entrambi i fronti repressivi si accusavano a vicenda di aver sparato a civili indifesi, assumendosene la responsabilità tra gli sconvolgimenti sociali. La polizia che accusa i militari che accusano la polizia è una costante che tende ad approfondirsi col passare delle ore. Il ruolo tragicomico dell’ufficio del procuratore generale appare sulla scena cercando di calmare il panico delle aziende coll’argomento che le armi pesanti avevano causato le morti. Un sintomo della crisi irreversibile. Per evitare ulteriori conflitti e distrarre l”opinione pubblica, il governo golpista, consigliato dalle agenzie statunitensi, accusò degli stranieri armati come FARC, cubani, colombiani e venezuelani delle morti causate da forze repressive ufficiali. La disputa perenne per preservare il potere politico da entrambe le istituzioni produce scismi interni dalle conseguente possibile debacle del regime del golpista fascista basato su baionette, gas e piombo.

Tra i militari
Sedici anni dopo aver compiuto uno dei più sanguinari massacri contro il popolo di El Alto, che portò a condanne e detenzione dei comandanti dell’epoca, le forze armate tornavano in piazza vestite con l’inconfondibile cachi statunitense con la missione di affrontare l’escalation dei conflitti sociali nel Paese. Il 10 novembre, il comandante in capo delle forze armate, il generale Ejto Kalimán, apparentemente sconcertato e con voce tremante, ordinò l’uscita delle forze armate sulle strade, il cui tragico risultato finora supera i venti morti. La metà delle vittime, per lo più giovani, furono del “massacro della Sacaba”. Nulla può suggerire che tale decisione porterà Kaliman e i suoi comandanti nello stesso posto in cui i loro predecessori, responsabili del massacro di El Alto nell’ottobre 2003, scontano la sentenza. La decisione di Kalimán, che contrastava radicalmente con quella del Presidente Morales, è una delle principali espressioni del fallimento istruttivo e pedagogico delle forze armate nelle crisi politiche. Evo Morales si dimise proprio per evitare morti inutili, contrariamente a Kalimán che ordinava ai militari di uscire, sapendo le conseguenze. Chi impose a Kalimán l’ordine di schierare i soldati per le strade? Perché tale decisione fu modificata ventiquattro ore dopo, quando promise al suo generale-capitano che non avrebbe mosso alcuna unità militare col pretesto di carenza di equipaggiamento, munizioni e agenti chimici? L’autonomia politica di Kaliman al culmine della crisi sociale e politica che precipitò quest’ultimo colpo di Stato ritrae in qualche modo non solo il fallimento del comando politico sull’esercito, ma anche l’incomprensione delle sue etica professionale, e conservativa, pragmatica, opportunistica e immediata ideologia e cultura aziendali. Anche il lavoro autonomo della scuola antimperialista non servì a moderare la decisione di Kaliman in circostanze che richiedevano un minimo di fedeltà statale. L’Alto Comando svolse il ruolo più critico secondo le precedenti conversazioni con Luis Fernando Camacho e funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti. Non va dimenticato che Kalimán fu un addetto militare a Washington per un paio d’anni e che alcuni membri della sua famiglia rimasero negli Stati Uniti.
Attualmente, i militari che occupano la catena di comando affrontano il dilemma di uscire per strada a continuare a reprimere il popolo o rimanere nelle caserme a causa delle disastrose conseguenze dell’intervento nelle strade. Ma il dubbio più forte sorge dalla responsabilità militare o della polizia una volta che la calma ritornerà nel Paese. Molti ufficiali ritengono che la polizia porrà tutta la responsabilità dei morti e feriti sulle forze armate poiché solo esse usano tali armi. I calcoli postbellici iniziano a minare la fiducia delle truppe nei loro comandanti che ritengono irresponsabili e inadeguati. La valutazione dell’amministrazione di Evo Morales attraversa i corridoi delle caserme. Sostengono che Evo li escluse da qualsiasi conflitto sociale per tredici anni, una situazione che gli permise di accrescere la loro legittimità istituzionale agli occhi del pubblico di fronte al discredito della polizia per l’evidente corruzione e indisciplina. Gli ufficiali ammisero che il loro salariale e la qualità della vita cambiarono sostanzialmente col “processo di cambiamento”, mentre l’incursione in compiti sociali gli permise di essere considerati dal governo “soldati della éatria”. I bonus “Juancito Pinto” o “Renta Dignidad” o la gestione delle catastrofi naturali affidata alle forze armate facilitò un rapporto sensibile con la società. Oltre a questo, la valutazione dell’aumento del budget della Difesa, l’acquisto di beni e miglioramento della qualità della vita del soldato sono parte della loro memoria immediata. Tuttavia, oggi, in meno di una settimana, un regime di fatto comandato da un gruppo politico radicale e da capi religiosi fanatici portava le forze armate a confrontarsi con disprezzo e condanna della società ed internazionale, i cui effetti non saranno superati nei prossimi decenni. Col grido collettivo di “militari assassini!” belle strade, i quadri intermedi temono di subire conseguenze: diserzione dei soldati nel pieno del conflitto, una sconfitta morale senza precedenti; perdita di potere negli spazi che Evo Morales costruì per garantirsi fedeltà, come nel caso della Sicurezza presidenziale (USDE), accesso a posizioni pubbliche di alto livello (gestione di società statali) e persino posizioni diplomatiche; il discredito istituzionale che comporterà la drammatica riduzione dei coscritti a servizio militare obbligatorio che in realtà giustificava l’esistenza dell’istituzione; ripudio popolare permanente sulle strade; processi.
I disordini militari di fronte agli eventi e l’elevato numero di vittime derivanti dalla repressione portava a interrogativi sull’alto comando e a una sfiducia interna senza precedenti. In un rapporto inviato alle unità militari dell’Ottava divisione dell’esercito dal comando in capo delle forze armate, il 14 novembre 2019, si affermava che il corpo degli ufficiali “osserva la condotta dei cadetti, reclute e soldati del Chapare, regione in tutte le attività erano sviluppate nelle unità”. Questa disposizione esprimeva paura viscerale nei confronti dei propri soldati, confermandone ancora una volta lo status di forza di occupazione coloniale. Questo rapporto esprime l’atroce paura del mondo indigeno, ma anche disprezzo e sfiducia generati dalla loro presenza nelle forze armate. Una vera aberrazione culturale e corporativa dopo oltre 35 anni di democrazia e 13 anni di apparente inclusione indigena nelle forze armate. Questo è il miglior esempio del fallimento della presunta democratizzazione militare e della coesistenza plurinazionale ed interculturale nel mondo in uniforme. Molti ufficiali sensibili al conflitto storico con la polizia mettevno in dubbio la decisione poco saggia e inopportuna di Kalimán, perché avrebbe “salvato” la polizia in un momento chiave di crisi operativa. Il rogo della Whipala da parte degli agenti di polizia e la rimozione di quel simbolo dalla loro uniforme provocò un profondo disordine sociale che portava ad attacchi alle loro strutture, costringendoli a chiedere supporto militare per salvarsi dalla rabbia popolare. Il risentimento contro la bandiera costituzionalmente riconosciuta causò la rottura tra polizia e popolazione rurale e indigena. La verità è che il proverbiale odio tra esercito e polizia continuava a fluire nel pieno golpe grottesco, sostenuto dall’uso irrazionale della forza e dal comportamento razzista del governo che assomiglia alle vecchie dittature militari guidate da slogan ultramontani stranieri.
Il colpo di Stato contro il processo democratico guidato da Evo Morales ha l’inconfondibile sigillo delle forze armate come attori protagonisti, sebbene fu la polizia nazionale a guidare il colpo di Stato dalla città di Cochabamba, l’8 novembre. Apparentemente, il 10 novembre 2019 passerà alla storia come uno di quei giorni tragicomici in cui un generale mediocre e opportunista come Kalimán, con uno stato maggiore pusillanime e degradante, decise di rassegnare le dimissioni per interesse di un eticamente decaduto, moralmente rovinato e patetico circo della polizia che usava la Bibbia come scudo religioso per legittimare la propria sopravvivenza. Alcuni settori delle Forze armate ritennero che l’assedio popolare contro la polizia costituisse il momento migliore per saldare i conti degli eventi del febbraio 2003. In quell’occasione, cecchini della polizia, addestrati dagli Stati Uniti, uccisero diversi soldati del Reggimento della scorta presidenziale in modo vigliacco, quando la folla tentò di entrare nel Palazzo del Governo per reazione a una misura economica anti-popolare. Secondo molti ufficiali, Kaliman divenne il proverbiale eroe dei giorni vergognosi del colpo di Stato della polizia, un fenomeno mai immaginato dalle forze armate. Un triste ruolo politico fu svolto dai militari che dovettero salvare la vita al loro aspro nemico storico quando era sull’orlo del collasso delle repressione. Il capo dipartimentale della polizia di La Paz chiedeva in lacrime l’aiuto delle forze armate per difendersi dall’assedio dei movimenti sociali che combattevano per licenziare la presidentessa autoproclamata. Il supporto militare a una languida polizia in uno scenario di controversie politiche era un episodio eccezionale. Nel 1952, l’esercito fu sconfitto dal movimento operaio che portò la polizia a cavalcare la schiuma rivoluzionaria per vendicarsi del cattivo trattamento che i militari diedero ai carabinieri dell’epoca. Normalmente, la polizia nazionale si allineava ai colpi di stato militari come un cane con la coda tra le gambe, nel tentativo di assicurarsi il banchetto burocratico. Il 10 novembre successe il contrario.
Nella polizia
Il colpo di Stato promosso dalle forze di polizia della città di Cochabamba contro il governo di Evo Morales era un non segreto maliziosamente ignorato dal Ministero, abilmente gestito dal comandante generale della polizia e articolato in modo efficiente dalle forze di opposizione di destra che sapevano da anni che la polizia nazionale costituiva un formidabile alleato dei loro piani destabilizzanti. L’opposizione, consigliata da agenti esteri, iniziò a lavorare interno della polizia mentre il governo li ignorava o vi si appellava solo in caso di conflitto sociale. Non vi è dubbio che nella catena geografica di controllo e comando della struttura di polizia, il dipartimento di Santa Cruz, e in particolare la città di Santa Cruz, costituiva l’anello più debole in cui fu costruita una sorta di patto delle complicità tra ministero e forze di polizia guidate da ufficiali collegati alla costellazione criminale regionale. Paradossalmente, il luogo in cui il crimine acquisiva dimensioni transnazionali era precisamente il luogo in cui fu costruita l’architettura della regolamentazione della polizia del crimine, come nel caso del carcere di Palmasola. Allo stesso modo, tale rete di complicità politico-poliziesca si estese ai circuiti mafiosi del traffico di droga, traffico di armi, case da gioco o traffico di terre a favore di stranieri le cui attività erano gestite da agenti di polizia dalle sponsorizzazioni politiche. Santa Cruz era una specie di territorio della polizia autonomo abilmente utilizzato dalle forze d’opposizione che vedeva nei suoi margini di autonomia statale le migliori condizioni per la cospirazione armata e sediziosa. Nei tredici anni del governo di Evo Morales non ci fu la capacità di generare una politica di istituzionalizzazione, modernizzazione o disciplina professionale delle forze di polizia. Al contrario, i capi della polizia, incoraggiati da continue rotazioni, beneficiarono di privilegi inimmaginabili cui si aggiunse una cultura della corruzione scandalosa, goffa o deliberatamente trascurata. Solo alla fine del mandato di Morales la polizia ebbe un moderno sistema di controllo territoriale nel quadro della sicurezza dei cittadini noto come BOL 110, che aumentò la capacità di produrre informazioni a fini informali. Il supporto tecnologico servì da cortese concessione elettorale che la polizia accolse senza l’entusiasmo previsto. Il rapporto tra governo e polizia in oltre un decennio soffrì di difetti strutturali, ma il peggio era affidare a un alto funzionario una responsabilità centrale quando le sue priorità erano guidare le squadre di calcio.
Morales affrontò diversi episodi di insubordinazione, rivolte e sedizione della polizia placati dopo complesse trattative, ma non si risolsero mai strutturalmente. Le radici del malcontento della polizia furono alimentate internamente, mantenendo tale clima invariabile e cumulativo nel tempo. Allo stesso tempo, la colossale corruzione della polizia non fu trattata in modo adeguato e proporzionato dal governo. Privilegi di polizia, corruzione e ampi margini di criminalità aziendale operavano e funzionavano a livello di comando lasciando ai subordinati solo le briciole, una situazione che aggravava il malessere dei poliziotti subordinati di cui era responsabile il governo nazionale. D’altra parte, il rapporto politico-militare privilegiato generò un profondo risentimento nella polizia nazionale. La polizia si vide come cittadini di seconda classe di fronte al trattamento del governo dei militari come cittadini di prima classe. La presenza del Presidente Evo Morales in occasione degli anniversari militari, i discorsi solleciti che valutano il lavoro militare, nonché privilegi e prerogative concesse periodicamente, costituivano “sistematiche offensive” contro una polizia che operava quotidianamente in condizioni deplorevoli. La disparità di trattamento del governo nazionale a favore delle forze armate, costruzione di edifici, campi sportivi, acquisto di attrezzature e materiali militari, costosi investimenti in tecnologia come radar, ecc., alimentò un forte rancore anti-militare e anti-governativo nella polizia. L’espressa propensione del governo Morales a favorire le forze armate fu presa come un’umiliazione persistente che fu tradotta in una narrazione antigovernativa dagli ufficiali in merito ai loro subordinati con informazioni sfavorevoli. Oltre allo sdegnato rapporto tra Evo Morales e Polizia, il governo nazionale attuò tagli alle principali fonti di entrate istituzionali. Sebbene le decisioni fossero corrette, volte ad eliminare la corruzione, furono interpretate diversamente dalla polizia nel desiderio di preservare nicchie di privilegio burocratico. Morales andò molto oltre nel ridurre le prerogative della polizia assegnando alle forze armate il compito di combattere il contrabbando. Le unità anti-contrabbando della polizia furono sciolte e sostituite da unità militari. I militari occuparono il confine, spezzando le reti dell’illegalità e del controllo territoriale, il che significava doppia amputazione: per i gruppi criminale che vivevano della fertile attività del contrabbando, e per la polizia che viveva proteggendo le reti dell’illegalità a cui garantiva protezione e impunità. Fu tale polizia sediziosa che affrontò il governo di Evo Morales e ottenne direttamente o indirettamente le sue dimissioni. Mai prima d’ora la polizia era riuscita a rovesciare un governo democratico come fece tale organizzazione indisciplinata e politicamente malata.
Il colpo di Stato civile non aveva solo una componente politica ma anche vendicativa alimentata dal ricordo di presunti obbrobri, privazione e maltrattamenti. Le rivolte della polizia riflettevano l’odio atroce contro il governo, che si era contenuto e che poi esplodeva in ondate successive sostenute da una classe media che si esprimeva nelle strade lasciando che i suoi profondi malcontento e disprezzo corressero contro un governo in piena ritirata. Il colpo di Stato della polizia, sostenuto e guidato nelle strade dalle proteste della classe media, permise d’intravederne lo sfaccettato scopo. In primo luogo fu la migliore occasione per vendicarsi del governo per maltrattamenti e sfratti istituzionali, una sorta di catarsi corporativa infiammata da una retorica di odio e religiosità esplosa senza che nessuno ne capisse il potenziale effetto. Le rivolte incarnarono il compito di riguadagnare i privilegi corporativi recisi per motivi politici e ceduti alle forze armate dal governo. Il primo obiettivo che la polizia recuperò, per i suoi effetti simbolici, fu l’unità della sicurezza presidenziale (USDE) dalle mani dell’esercito. Una volta completate le dimissioni di Evo Morales, la polizia nazionale non tardò un minuto nel prendersi carico del dispositivo di sicurezza della Casa Grande del Pueblo, costringendo il corpo di sicurezza presidenziale a liberare immediatamente l’edificio. Gli oltre settanta membri di questa squadra speciale, che aveva protetto Morales per più di un decennio, furono costretti a ritirarsi, umiliati, dallo stato maggiore delle forze armate, per ricevere nuovi incarichi. Allo stesso modo e con un assalto, la polizia nazionale si riprese il controllo degli edifici del Servizio di identificazione personale (SEGIP) istituzionalizzati dal governo Morales per stroncare sul nascere una delle principali fonti della corruzione della polizia. La presa della polizia di istituzioni, spazi e prerogative faceva parte delle promesse del caudillo di Santa Cruz Luis Fernando Camacho, per portarla al colpo di stato, obiettivo raggiunto quasi chirurgicamente. In uno dei consigli tenuti a Santa Cruz, Camacho promise di restituire tutte le istituzioni “ingiustamente portate via dal governo nazionale” e di concedergli un trattamento salariale e pensionistico simile a quello delle Forze armate, un incentivo inconfutabile.
Oltre ai complessi problemi affrontati dal nuovo comando di polizia, gli agenti subiscono pericolosi segni di esaurimento fisico dopo oltre venti giorni di lavori per strada e repressione. Tuttavia, li rafforzamento della polizia in questo contesto di crisi si traduceva in azioni pericolose di piccoli gruppi che operavano indipendentemente dal comando centrale. Tale clima incerto, con un governo che faceva appello a un discorso recalcitrante e un ministro governato dall’odio atroce contro i funzionari governativi, promuovevano la formazione di gruppi di poliziotti e paramilitari che agivano secondo una logica vendicativa e mercenaria. Tra le turbolenze politiche, era sorto un nuovo fattore di disordini tra la polizia, generato dalla concessione di 34 milioni di bolivianos alle forze armate per coprire i costi della logistica della repressione. I membri della polizia nazionale sospettavano che tali risorse servissero a favorire i capi militari come “bonus fedeltà”. Allo stesso tempo, si aggravavano i disordini contro il governo golpista e le forze armate, coll’approvazione del DS 4078, il cui obiettivo era autorizzare l’uso di militari, attrezzature e armi garantendone l’immunità, una condizione non goduta dalle forze di polizia.
Conclusioni
È chiaro che militari e polizia sono i pilastri su cui si basa il potere del governo golpista. Sembra anche chiaro che tali pilastri contengano controversie storicamente irrisolte e inconciliabili che col passare del tempo creeranno maggiori frattura e polarizzazione. Al di là del carattere provvisorio, un governo con buon senso dovrebbe conoscere le profonde fratture tra enti al fine di evitare di essere sconfitto dalle conseguenze. Fortunatamente, il governo golpista guarda solo all’ombra e non alla realtà e quindi durerà poco, quanto l’esplosione convulsa di entrambi gli enti che iniziano a contorcersi per annullarsi o distruggersi a vicenda. Se il sangue sarà a fiumi non dipenderà dai complotti golpisti, ma dalle profonde ferite riaperte da un comando politico ignorante, arrogante, rabbioso e suicida. Il colpo di Stato ha i suoi limiti paradossali nell’uso della polizia e dei militari e questo dipende dal come tale duello storico sarà risolto nelle viscere del potere fascista. Con una polizia nazionale alienata dalle molteplici contraddizioni interne e dalle forze armate sconcertate dalla dimensione del conflitto e dalle future responsabilità politiche, legali e istituzionali, i boliviani vivono in un panorama desolato.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
Ernesto Eterno, Internationalist 360º




 



Fotos da resumenlatinoamericano.org

venerdì 15 novembre 2019

CONTRO IL COLPO DI STATO MILITARE IN #BOLIVIA. RISPARMIATECI LE VOSTRE ‘CRITICHE’



Sarebbe difficile indicare un paese il cui presidente abbia più legittimità democratica di Evo Morales. Nessuno può seriamente contendere che egli abbia vinto a valanga la prima tornata delle elezioni presidenziali il 20 ottobre. Ha controllato il 47 per cento dei voti in un’elezione con un’affluenza dell’88 per cento, come aveva previsto la maggioranza dei sondaggi. Ciò raddoppia la percentuale dei voti idonei ricevuti generalmente dai presidenti statunitensi. Dirò più avanti qualcosa di più al riguardo, ma è cruciale notare che è stato eletto al suo presente mandato (che non scade fino a gennaio) con il 61 per cento dei voti in un’elezione con circa la stessa affluenza.
Le recenti “dimissioni” di Morales sono avvenute con il fucile puntato. E’ fuggito in Messico, il cui governo gli ha offerto asilo. L’esercito e la polizia non eletti lo hanno costretto ad andarsene. I generali hanno “suggerito” apertamente che si dimettesse e sia la polizia sia l’esercito hanno chiarito che non lo avrebbero difeso da avversari armati. La maggior parte dei membri democraticamente eletti del Congresso sono ora in clandestinità. Come in tutti i colpi di stato militari, la cosa è avvenuto con un blackout mediatico per aiutare le forze di polizia a reprimere brutalmente le proteste.
Se sostenete la democrazia, allora chiedete alle forze di polizia della Bolivia di consentire a Morales di tornare a completare il suo mandato. Chiedete loro di fare il loro lavoro, che consiste nel proteggere tutti i rappresentanti eletti e il diritto di tutti alla libertà di espressione e alla protesta pacifica. Questa è la loro funzione legittima. Dovreste anche chiedere al vostro governo di rifiutarsi di riconoscere qualsiasi “autorità” in Bolivia che ostacoli il ritorno di Morales e che cerchi di criminalizzare il suo movimento politico.
Indipendentemente da quanto un presidente sia popolare, ci sarà un segmento della popolazione che non lo ama e un segmento di duri disposto a linciare il presidente se la polizia e l’esercito glielo consentono. Se pensate che i presidenti statunitensi siano protetti da questo scenario da incubo perché hanno più legittimità di Morales allora non capite il vostro paese. Il fatto che persone di spicco tanto apparentemente diverse quali Trump, il comitato editoriale del New York Times e Human Rights Watch (con vari gradi di franchezza) abbiano contribuito ad appoggiare il colpo di stato in Bolivia è un’indicazione di quanto vuoto sia realmente il sostegno alla democrazia nella cultura politica statunitense. Alan McLeod ha segnalato su FAIR che i media occidentali hanno fatto la loro parte nell’appoggiare il colpo di stato rifiutandosi di chiamarlo quello che è. Qui c’è una petizione al New York Times con la richiesta di ritirare un editoriale che ha avallato il colpo di stato.
Ma Morales non ha fatto ‘mosse sbagliate’?
Nel 2016 Morales ha tentato di abolire i limiti di mandato mediante un referendum, ma l’ha perso per due punti percentuali. Un anno dopo la Corte Suprema eletta della Bolivia (che è letta con un mandato di sei anni) ha deciso che i limiti di mandato sono incostituzionali e perciò ha annullato i risultati del referendum. La decisione è stata discutibile, ma non scandalosa come sono state molte decisioni di Corti Supreme in tutto il mondo. Viene in mente la sentenza Citizen United. La sentenza della Corte Suprema che ha consegnato la presidenza degli Stati Uniti a George W. Bush nel 2000. La sentenza della Corte Suprema honduregna del 2009 che ha in effetti messo fuorilegge un sondaggio d’opinione non vincolante e in tal modo ha innescato un colpo di stato militare da cui l’Honduras deve ancora riprendersi.
Inoltre i boliviani in disaccordo con quella sentenza avevano molti modi democratici e costituzionali per cancellarla. Potevano votare una nuova Corte Suprema (i cittadini statunitensi non possono farlo) o semplicemente votare contro Morales e contro i suoi alleati al governo; cosa che non hanno fatto.
Principi a parte, è stato tatticamente stupido da parte di Morales candidarsi di nuovo? Forse, ma è più facile sollevare altre questioni tattiche che sono molto più importanti.
Perché ha consentito ai burocrati dell’OAS, che sono finanziati al 60 per cento dagli Stati Uniti, di aver un ruolo nel controllo dell’elezione? Un’analisi del Center for Economic and Policy Research (CEPR) ha mostrato che l’OAS non ha nessuna base per impugnare i risultati. Kevin Cashman ha approfondito il perché l’”audit preliminare” diffuso dall’OAS settimane dopo è stato analogamente privo di basi.
Non è la prima volta che i burocrati dell’OAS hanno impugnato un’elezione pulita con effetti devastanti, come ha segnalato Mark Weisbrot su Nation. Nel 2000 ha contribuito a screditare ingiustamente elezioni legislative ad Haiti. Ciò ha contribuito a giustificare pesanti sanzioni statunitensi cui ha fatto alla fine seguito un colpo di stato militare perpetrato dagli USA nel 2004. Da allora Haiti non ha mai avuto elezioni libere ed eque come quelli che aveva avuto nel 2000. Nel 2011 l’OAS ha colpito di nuovo e inescusabilmente cambiato i risultati elettorali a Haiti.
Perché Morales ha consentito loro di avvicinarsi all’elezione? Se non l’avesse fatto ciò avrebbe fornito motivi ai suoi nemici – con l’appoggio di Washington – di affermare che voleva manipolare l’elezione. Sanzioni statunitensi – che non hanno bisogno di pretesti credibili o di rispetto della legge internazionale – sarebbero probabilmente seguite. Può ben aver calcolato che la sua popolarità e i suoi risultati in carica sarebbero stati più che sufficienti per compensare la corruzione dell’OAS. In tal caso, si è sbagliato.
Perché non ha fatto meglio nel mettere sotto controllo l’esercito? Ovviamente avrebbe dovuto far meglio su quel fronte, ma merita di essere ricordato che tali mosse sono demonizzate nei media occidentali e dagli avversari locali. Ciò sarebbe stato particolarmente vero se avesse fatto usa della competenza cubana, ad esempio. E se avesse armato i suoi sostenitori in milizie? Stesso problema.
Il problema siamo noi
Citate un presidente democraticamente eletto rovesciato da un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti che non abbia avuto qualche difetto o i cui avversari, anche se chiaramente una minoranza, non siano stati in grado di portare in piazza un mucchio di dimostranti. Quella lista potrebbe ovviamente non includere Goulart, Allende, Aristide, Arbenz, Chavez, Zelaya o chiunque non sia riuscito a camminare sull’acqua.
Uno sguardo onesto ai dilemma tattici di Morales mostra che la cultura politica degli Stati Uniti e dei loro alleati di vertice sono il grande problema che affronta ogni democrazia del Sud Globale. La Legittimità democratica fa molto poco per proteggervi quando gli USA e il loro apparato di propaganda vi prende di mira per distruggervi. Il colpo di stato contro Morales dovrebbe essere incredibilmente facile da contrastare senza riserve da parte di qualsiasi “progressista” e con contrastare io intendo pretendere che Morales completi il suo mandato. Le persone ansiose di sottolineare le loro “critiche” di Morales sono parte del problema.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
OriginaleCounterpunch
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

domenica 13 ottobre 2019

Trump e il suo cortile in profonda crisi: controrivoluzione, ciclo breve e pericoloso

Clodovaldo Hernández, Laiguana TVHistoire et Societé,

Trump, Ecuador, Argentina, Perù e l’opposizione venezuelana soffrono di crisi simultanee: un momento di grande pericolo
Donald Trump deve affrontare l’impeachment. Ivan Duque è stato ridicolizzato col suo dossier contro il Venezuela. Jair Bolsonaro ha dato il peggior discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (anche se aveva seri concorrenti dai due che lo precedevano). L’élite politica del Perù, sede del gruppo infuriato di Lima, continua a collassare. Macri (Argentina neoliberista) è al conto alla rovescia con una crisi economica monumentale. Il presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernández, è stato smascherato come narcos. Il cileno Sebastien Piñera è screditato. E, per completare, l’Ecuador del rinnegato Lenin Moreno è entrato nel vortice del conflitto economico, sociale e politico e ha deciso di affrontare questa situazione con la risposta classica dei governi di destra: dichiarare lo stato d’emergenza. In sintesi, tutto ciò dà l’impressione che Trump e l’appendice della sua politica contro il Venezuela, cioè il gruppo di Lima, attraversano crisi simultanee, alcune più intense di altre, ma tutte legate ai loro scenari interni, di quelli di cui parlano così raramente quanto persistono nel dimostrare che l’unica questione urgente del continente è rovesciare Nicolas Maduro. La crisi è anche quella subita dall’opposizione venezuelana, in particolare la parte che cercava di assumere il controllo da mesi contro la volontà del popolo e prima di tutto la giustizia. Ciò configura un momento di grande pericolo per i popoli dei Paesi citati e anche per il Venezuela, perché è sempre stato il sotterfugio di tali capi distogliere l’attenzione e cercare di sfuggirvi incolumi. Nella trance in cui si trovano, non sarebbe strano che essi provino a riutilizzarlo come distrazione.
Opposizione in rotta completa
Il settore dell’opposizione più direttamente collegato agli Stati Uniti e al gruppo di Lima ha appena subito sconfitte consecutive e devastanti, come la trasmissione delle foto di Juan Guaidó coi capi dei gruppi narcoparamilitari e la confessione di Lilian Tintori su tali relazioni vergognose. In precedenza, c’erano state le insolite dichiarazioni dello pseudoambasciatrice nel Regno Unito, Vanessa Neumann, in cui raccomandava di rinunciare al territorio esequibo in cambio del sostegno politico internazionale al “presidente ad interim”. Durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, i risultati furono disastrosi per il campo antichavista, perché ancora una volta creavano aspettative tutt’altro che soddisfatte. Loro, che vantano così tanto il controllo della scena internazionale, uscivano dai forum diplomatici con la coda tra le gambe. La crisi interna fu espressa anche da sintomi come le dimissioni (non a Guaidó, ma al suo capo politico Leopoldo Lopez) del presunto rappresentante della Banca interamericana di sviluppo Ricardo Hausmann che, secondo alcuni analisti, doveva dimostrare fino a che punto Guaido è riconosciuto a livello internazionale secondo la borghesia venezuelana. Le crisi di Centro imperiale, suoi satelliti e classe politica dell’opposizione venezuelana sono simultanee, anche se è forse la stessa crisi espressa in sintomi specifici in ciascun caso.
Trump nelle corde
L’apertura dell’impeachment di Trump avveniva subito dopo il suo famigerato discorso all’ONU in cui, ancora una volta, cercava di attribuire tutti i mali del pianeta ai Paesi che definisce nemici, un elenco in cui c’erano superpotenze come Cina e Russia e nazioni più piccole ma ribelli al suo comando, come Iran, Corea democratica, Cuba e Venezuela. Messo personalmente alle corde, la pericolosità di tale personaggio aumenta esponenzialmente.
Macri in spirale
Il governo di Mauricio Macri, in Argentina, era sopravanzato sin dalle ultime elezioni, in cui chiaramente affermava lo status di minoranza contro l’opzione Alberto Fernández e Cristina Fernández. Questo fatto politico scatenava la peggiore crisi economica ed perciò l’Argentina arriverà alle elezioni presidenziali in un quadro che ricorda alcuni dei suoi periodi peggiori, prima della leadership dei Kirchner.
Il ridicolo Duque
La crisi colpiva l’élite al potere della Colombia da mesi, a causa delle politiche dannose del governo di Ivan Duque. Da lì, i suoi grandi sforzi per distogliere lo sguardo sul Venezuela. Ma i suoi tentativi erano anche molto goffi, specialmente quello di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, usando foto che non corrispondevano alle accuse che avrebbero dovuto supportare. Tale scandalo causava gravi danni alla sua immagine già fortemente oscurata e ciò mentre si trovava all’antivigilia delle elezioni regionali e municipali. Questa situazione, come nel caso di Trump, rende la Colombia un avversario particolarmente pericoloso per il Venezuela.
Lima decapitata di nuovo
Se qualcosa mostra la crisi del gruppo di Lima (che la diplomazia venezuelana chiama “manifesto di Lima”) è l’instabilità del Paese assediato. Questa caratteristica fu già stata evidenziata quando fu licenziato, per corruzione, il presidente Pedro Pablo Kuzcinski, persona particolarmente ligia agli ordini di Washington. Al suo posto fu chiamato Martin Voyer, che mantenne la linea antichavista e la subordinazione agli Stati Uniti. I problemi interni esplosero e Voyer scelse di sciogliere il Parlamento, provocando la lotta di potere che la stampa globale, al servizio del capitalismo egemonico, cerca di mascherare a tutti i costi.
Narcopolítica a fior di pelle
Il discorso degli Stati Uniti e dei suoi sostenitori contro l’influenza del traffico di droga nei governi latinoamericani andava a benedirsi nei giorni scorsi. Alle accuse diffamatorie di Duque (smentite dalla stessa stampa colombiana) si aggiungono le vere foto di Guaidó coi capi del narcoparamilitarismo. Inoltre, è ormai chiaro il rapporto di Juan Orlando Hernández, imposto dagli Stati Uniti all’Honduras, col maggior narcotrafficante dell’emisfero negli ultimi tempi, il messicano Joaquín “El chapo” Guzman. È ovvio che chi insulta costantemente il governo venezuelano con la falsa pretesa che sia una narcodictadura sono proprio quelli che hanno più spiegazioni da dare sui loro legami coi grandi capi del traffico di droga.
Ecuador, cambia rotta
Nelle ultime ore, un altro allarme si accedeva per la destra dell’emisfero. L’Ecuador, il cui popolo si ribella al governo sempre più neoliberista di Lenin Moreno. Le ultime misure economiche, chiaramente ispirate dal Fondo Monetario Internazionale, esaurivano la pazienza delle masse, in particolare di chi aveva votato Moreno nella convinzione che continuasse, in linea generale, le politiche economiche di Rafael Correa. Di fronte alle manifestazioni popolari, Moreno reagiva nel migliore stile dei regimi di destra dell’America Latina nella storia, decretando lo stato di eccezione e ordinando l’escalation della repressione. Questa è una risposta che, in Venezuela, fu nota in tutta la sua drammatica intensità nel febbraio 1989, col secondo governo di Carlos Andrés Pérez. Ancora una volta, ci si chiede quale sarebbe stato l’atteggiamento degli altri governi nella regione se Maduro avesse dichiarato uno stato di emergenza o la sospensione delle garanzie costituzionali, in circostanze in cui molte persone lo raccomandavano, come nel caso dei quattro mesi di violenze terroristiche nel 2017 o dopo l’attentato del 2018.
Traduzione di Alessandro Lattanzio

martedì 24 settembre 2019

Jean Ziegler: La rivolta diventa un fronte attivo delle resistenze



“Il capitalismo finanziario e' responsabile dell'insicurezza sociale ed ecologica delle popolazioni” asserisce Jean Ziegler, ex Relatore speciale dell’ONU sui diritti alla alimentazione. Lo scrittore svizzero e' uno dei critici lucidi della globalismo, nel corso di un'intervista concessa a Ipar Dieter Hintermeier di Junge Welthe, sostiene che non tutto e' nero in questo quadro presente in cui sopravviviamo con maggiori stenti e paure. J.Ziegler percepisce e segnala la moltiplicazione di fronti di resistenza, e reti critiche ed
attive contro l'imperio autoritario dell'economia monopolizzata. Sotto la superficie dell'ovvieta' esiste e resistono forze critiche, che attingono ad altre visioni ed anno trafitto la “fine della storia”. Qui ci soffermiamo particolarmente sulle considerazioni di J. Ziegler riguardanti la NATO, Cuba e il Venezuela. L'intervento della NATO nel conflitto dell'Ucrania e' parte della politica di “accerchiamento della Russia” e costituisce una aggressione per quel paese.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha generosamento elargito ben 4,5 miliardi di dollari alla Giunta golpista di Kiev: finanziamento avente una prevalente e squisita motivazione “politica”, non certo economica. “Bisogna dissolvere la NATO. Oggi non serve piu' e si limita a essere uno strumento delle grandi imprese nord-americane. Vi ricordo che il Patto di Varsavia venne ugualmente sciolto. L'Occidente dovrebbe seguire questo esempio, dopotutto la Russia fa parte del continente europeo. Le sanzioni e le provocazioni contro questo paese devono finire” dice con forza l'ex deputato svizzero.

La Russia, con la Cina e Cuba difendono il legittimo presidente venezuelano Maduro, mentre l'Occidente lo avversa con chiaro risentimento camuffato, sul punto di tracimare in colpi bassi intinti di llegalita' e ferocia contro la popolazione civile. Questa, in una unione “civico-militar” con le forze armate, ha scelto di seguire l'esempio di Simon Bolivar, precorrendo i sentieri della battaglia antimperialista e anticolonialista, che oggi passa attraverso la sovranita' popolare e l'antiberismo.

Jean Ziegler coglie la similitudine con il Cile del 1973, dove il presidente Salvador Allende venne assassinato. Dopo una preventiva campagna di sabotaggi pianificati dalla CIA, puntuali arrivarono le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti, culminati con uno sciopero generale dei camionisti che mise in ginocchio il paese. “tutto questo e' avvenuto sotto l'egida di Richard Nixon e del suo consigliere Henry Kissinger” chiarisce Ziegler. “Perche'? Semplicemente per permettere alle grandi imprese USA di recuperare il rame cileno che Allende aveva preso (nazionalizzato)”. Una situazione simile si sta inscenando in Venezuela.

L'offensiva della Casa Bianca per imporre il ritorno di qualche tipo di “neo-pinochetismo” ha investito ora anche Cuba, colpevole di esistere e di permanere come l'invitto “bastione socialista” sul contenente americano. La clava di Trump e' calata con forza contro l'isola che oggi e' teatro di un fiorente turismo internazionale, e che ha aperto ad alcune forme di proprieta' privata. J. Ziegler si dichiara favorevole alla possibilita' che i “cubani possano formare piccole imprese..ma la gente riconosce il valore di quel che hanno positivamente realizzato. “Penso, per esempio, all'eccellente servizio sanitario, alla riforma agraria e all'abolizione delle leggi razziste, immediatamente dopo la vittoria di 60 anni fa” manifesta l'ex relatore dell'ONU sui diritti alimentari.

Sulle nuove formazioni politiche e movimenti che agitano l'Europa a versione unica di Bruxelles, demonizzati come “pernicioso populismo”, l'ex deputato socialista svizzero originario di Ginevra fa una lettura differente. “La rivolta si rinfocola dappertuttto, anche all'esterno della sinistra organizzata.. assistiamo a una moltiplicazione dei fronti di resistenza in tutti gli aspetti della vita. Un nuovo soggetto storico sta emergendo e include milioni di donne e uomini appartenenti a popoli, culture, classi sociali animate da una stessa idea ”io sono l'altro, l'altro è me”.

Sotto la superficie, nelle pieghe nascoste in cui e' relegata e silenziata la critica pratica delle forze agenti, Jean Ziegler evidenzia che “non cisono comitati centrali ne' linee di partito.. La societa' civile internazionale e' composta da innumerevoli fronti di resistenza attivi in tutti i continenti, nei punti piu' sorprendenti, contro l'ordine mondiale cannibale..si tratta di movimenti sociali molto diversi: Via Campesina e' una federazioneinternazionale che rappresenta piu' di 120 milioni di affittuari, giornalieri agricoli, piccoli proprietari e assegnatari; i movimenti femministi che lottano contro la discriminazione e la violenza ai danni delle donne e giovani..Greenpeace, i cui membri tentano di evitare i pericoli per la natura e la bio-diversita'...o il movimento di studenti « Fridays for Future » in lotta contro il cambiamento climatico. Esistono migliaia di movimenti sociali, anticapitalisti, grandi e piccoli, locali e internazionali. Insieme formano un tutto in lotta contro la barbarie capitalista”.

Source

Jean Ziegler, nato nel 1934 à Thoune, in Svizzera, con il nome di Hans Ziegler. E' uno dei principali critici contemporaneiI della mondializzazione. E' professore emerito di sociologia, Relatore speciale dell'ONU sui diritti all'alimentazione. Ha scritto numerosi libri. Giovanissimo, stringe un'amicizia con Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, tra altri, incontro' Che Guevara a Ginevra.

Jean Ziegler, Le capitalisme expliqué à ma petite-fille (en espérant qu’elle en verra la fin), éd. Seuil, 2018

lunedì 22 aprile 2019

I missionari che predicano la restaurazione capitalista in Cuba.



Da Sinistra :
Vedo in rete missionari reali  o virtuali che ci vengono a portare “ la novità” che la soluzione per Cuba è semplicemente, abbandonare gli ideali socialisti e ritornare come  i figli prodigi, penitenti, piangenti al caldo seno materno  del capitalismo.
Secondo loro, il socialismo è un sistema fallito e, invece, il capitalismo ha saputo portare una sostanziosa e gloriosa marcia trionfale […] fino a questo XXI secolo…Considerare il capitalismo un sistema trionfante equivale a ignorare una infinità di realtà di oppressioni di cui si potrebbe parlare a tempo indeterminato :
- La diseguaglianza sociale crescente, di una crudeltà senza limiti. Una elite che vive nell’opulenza, in grattacieli e palazzi con servitori, prostitute di lusso, guardaspalle, cliniche esclusive, limusine, aerei privati. Milioni  che sopravvivono nelle strade […] o se vivono nei paesi del Sud, cercano di arrivare al nord con fragili barche o in carovane senza futuro che cozzeranno con muri del razzismo, insensibilità e disprezzo.
- La crisi medio ambientale, che può provocare la estinzione della specie umana. Tale aggressione incontrollata e a giudizio irreversibile  contro l’ambiente, ha,  a che vedere con la corsa suicida di promuovere instancabilmente il consumo irrazionale, qualcosa che sta nell’essenza stessa del sistema [...]    E’ difficile considerare trionfatore chi va a distruggere l’Habitat della specie umana e a liquidarla.
- La crisi del sistema politico predominante nel mondo capitalista. Dipendenza dai monopoli, corruzione, indifferenza totale verso gli interessi della gente, sono i distinguo che caratterizzano la politica capitalista. Oggi la manipolazione dell’elettorato è arrivata a un livello di sofisticazione realmente allucinante. A partire dai dati accumulati attraverso internet e reti sociali, si disegnano i profili dei possibili votanti […] i politici rispondono direttamente agli interessi delle grandi multinazionali, che nel sistema capitalista sono il vero padronato del mondo. Questa è democrazia?’ Questo ha qualcosa a che vedere con la libertà??
- Domandiamo inoltre come i paesi capitalisti riuscirono a svilupparsi e accumulare ricchezza. La manodopera schiava portata dall’ Africa , uomini ,donne e bambini strappati dalle proprie comunità, sequestrati, venduti, torturati, da li nacque gran parte della ricchezza capitalista così come anche dai cinesi che vennero in America in condizioni di semischiavitù.  Da tanti immigrati mal pagati, dormendo ammucchiati come animali o anche peggio. Dalla  espropriazione della classe operaia privata di tutti i diritti. Dal lavoro dei bambini, dal salario infimo delle donne. Dallo sfruttamento delle sue colonie. Dalla miseria , dalle umiliazioni, dalla spoliazione, è nato, cresciuto e si mantiene il capitalismo.
Pag .4 Granma 8 di aprile (Abel Prieto)
P.S.
Vivendo qua in Cuba a volte  mi ritrovo in negozi di Stato a fare file, magari come l’ultima per comprare due confezioni di pollo ,al dire il vero forse per fortuna sono state  code abbastanza scorrevoli, comunque sia, mai mi sono permesso di tirar fuori il cellulare per scattare una foto, però so per certo che ci sono gusanos che approfittano dei disagi (che possono succedere in un paese aggredito da un criminale  Bloqueo  imperialista  o magari semplicemente  per  colpa di calamità o infestazioni in  settori agricoli o zootecnici), per scattare foto e  diffondere  poi nelle reti sociali una Cuba non confacente alla realtà,  questi controrivoluzionari sensibili al fascino del soldo imperialista  talvolta si mescolano nelle file solo per innescare malcontento tra la gente, “lavorano” per creare un malcontento che con il tempo crei le condizioni per porre fine al processo Rivoluzionario  e il ritorno al capitalismo. Il fatto  è che la maggioranza di  persone cubane sono abituate a vivere  e resistere ai momenti di disagio, quindi tali vendi patria di  solito non trovano molte attenzioni, ma  sono successi casi che hanno visto momenti di rabbia e tensione magari proprio per  lo scattare di una foto,  in questi casi il verme o i vermi infami urlano un poco poi abbandonano la scena .
Cuba non è il Paradiso ha i suoi problemi da risolvere, però per fortuna ha ancora un livello di cultura elevato che la distanzia anni luce  da Paesi come Brasile, Argentina, Chile, Paraguay, Colombia,.. dove la manipolazione reazionaria attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali, le reti sociali,.. sono riusciti a portare i poveri a destra,purtroppo abbiamo visto gente che vota contro de stessa, contro la propria famiglia,contro i propri interessi … incredibile dover prendere atto che in America latina i settori popolari  più sofferenti hanno votano per i loro malfamati oppressori di estrema destra ,gli stessi  che nel tempo li hanno espropriati di tutto e da sempre gli rendono la vita impossibile e li disprezzano. Ciò pone in evidenza il pensiero di Fidel e Martì quando dicevano: “Sin cultura no hay libertad posible”. Verissimo! L’ignoranza, la superficialità, l’indifferenza,l’ebetismo creato, maturato dalla dipendenza delle reti sociali, pone l’essere indifeso dalle manipolazioni, incapace di anteporsi alla “Globo colonizzazione”
M.C. Sandino



giovedì 18 aprile 2019

Sulla legge Helms Burton, andiamo a parlare ai cubani -(e al Mondo intero)



Si  tratta di uno strumento giuridico fondamentale del governo della Casa bianca contro Cuba, con la pretesa di convertirci in una loro dipendenza coloniale .
 La legge per la libertà e la solidarietà democratica Cubana è uno strumento vendicativo che va diretto a rompere l’anima di Cuba…E’ il progetto di sterminio di una nazione.
Andiamo a immaginare due ipoteteci scenari ,diciamo impossibili per la fede che teniamo nella capacità di resistenza e valore  del nostro popolo.
1° Il nemico imperialista e suoi alleati, facendo uso del loro potere militare, riescono a occupare la maggior parte dei paesi e stabilire un governo di transizione per poi proclamare la fine della Rivoluzione.
2° La disunità, l’inganno seminati dal nemico, il tradimento, fanno si che “ lasciamo cadere la spada” come nel 1878 – non si scarta un Baraguà- . Si stabilisce un governo di transizione e le truppe statunitensi occupano il paese per garantire l’arrivo di “aiuti umanitari”
Avremo insomma elezioni “libere e democratiche? No, questo governo di transito, nominato con il dito dalle truppe interventiste, no può convocare elezioni fino a che non sia approvato dal Congresso USA.
Il Presidente degli USA o il suo proconsole nominato a tutti gli effetti, deve elaborare ogni 6 mesi un rapporto al Congresso su come marcia il processo di transizione dell’isola occupata. Ci assale un dubbio, quanto tempo durerà questo processo se è stabilita la necessità di rapporto ogni 6 mesi? Quanto tempo rimarranno nel territorio nazionale le truppe yankes? Risposta ad entrambe le domande : Non si sa (si raccomanda di leggere il Piano Bush). Vai a sapere dopo quanti anni il Congresso approva  la realizzazione di elezioni? Che succede in merito al Bloqueo economico commerciale e finanziario? Per caso fu tolto al momento che si proclamò la fine della Rivoluzione? NO, niente fine del bloqueo questo non è il piano, si mantiene intatto durante la transizione, come ferreo meccanismo di pressione.
Ok, già la transizione è finita, già teniamo un presidente e un governo al gusto yankees. Toglieranno il Bloqueo? Verrebbe da pensare si, invece è NO, questo non è quello che  stabilisce l’aberrazione che porta la firma  di Helms – Burton. Il presidente o il suo proconsole devono certificare al Congresso che sia stato devoluto o pagato il suo valore e indennizzati “i vecchi proprietari” statunitensi inclusi i cubani convertiti dopo il 1959 in cubani-americani, tutte e ognuna delle proprietà nazionalizzate ….
Le”indennizzazioni” o “compensazioni secondo esperti statunitensi nel 1997, avevano un valore approssimato di 100.000 milioni di dollari. Si contempla anche la rinegoziazione  dell’accordo sulla Base  naval di Guantanamo, senza garanzia di restituzione[....]
Per pagare i processi, le indennizzazioni, y debiti, i governi cubani dovranno ricorrere a prestiti, per esempio il FMI, che genera interessi ogni volta maggiori che produrranno una spirale di saccheggio.
Esistono persone negli USA, imprese e gruppi di affari che hanno comprato “proprietà” in Cuba dai “vecchi proprietari”, persone che trafficano con il valore di queste proprietà reali o falsificate, che si muovono in uno strano mercato illegale con tutti i sentimenti.
Speculatori immobiliari hanno venduto  parcelle a futuri costruttori,esistono disegni dell’”Havana futura”, un gran affare ,non poche iene affilano i denti e sognano di spazzare via municipi interi e costruire supermercati, Walmart, MC Donald’s, casinos de juego, enormi edifici per uffici, quartieri cari per gente molto ricca e condannare la maggioranza della popolazione della capitale alla miseria.
Cadremo in mano dei fondi distressed o holdhouts,meglio conosciuti come fondi butrie. I cubani tarderanno anni per pagare un debito impagabile, poi, come può pagarlo un paese raso al suolo, impoverito dalla guerra e occupazione, un paese che avrebbe perso una buona parte dei suoi figli in età  di lavoro e produzione?
Rimaniamo nelle mani di randellatori disposti a “succhiare” fino alla ultima goccia della ricchezza nazionale.
Parliamo chiaro al cubano, non  riusciranno, come disse Fidel, il pensiero e la opera dei comunisti cubani  perdureranno . Cuba continuerà “i cubani siamo di ferro e possiamo resistere anche alla più dura prova”
Ci alzeremo una e più volte a difendere la libertà generazione dopo generazione.

Sunto  di un articolo Raul Capote dal Granma del 17 aprile pag .5
Traduzione di Maurizio Cerboneschi
Prego scusare errori di traduzione


martedì 16 aprile 2019

LA LEGGE HELMS – BURTON CHE SOGNA LA DISTRUZIONE DELLA RIVOLUZIONE CUBANA MEDIANTE ASFISSIA ECONOMICA.



La legge Helms – Burton  al momento si eleva  come lo strumento fondamentale del governo della Casa Bianca contro Cuba, e costituisce il principale ostacolo per una relazione normale tra le due nazioni, lo ha dichiarato Carlos Fernandez Cossio, direttore generale della direzione degli USA del Ministero delle relazioni estere di Cuba, davanti ai deputati della Commissione su temi  internazionali dell’Assemblea Nazionale del Poder Popular, che giovedi 11 aprile hanno discusso sull’incremento delle ostilità degli Stati Uniti verso Cuba.
Nella sua spiegazione, il funzionario ha rimarcato che si tratta di un testo legislativo che vorrebbe  convertire Cuba in una dipendenza coloniale sotto il giogo USA, Paese che  oltre ad essere una minaccia reale sul terreno militare con la sua egemonia tecnologica ha la capacità di manipolare i mezzi di comunicazione e imporre un’informazione basata su  menzogne. La legge Helms Burton intende rinforzare il Bloqueo con l’aspirazione di riuscire a che altri Paesi si aggiungano alla sanzioni contro Cuba, causare danni al popolo, danneggiare gli investimenti e disincentivare gli affari  in generale.
Dall’ amministrazione di Donald Trump il prossimo 17 aprile sono attese comunicazioni riguardo all’inasprimento del bloqueo.
Le fondamenta per stabilire la legge del 1996 , si basano su un insieme di bugie che vogliono dimostrare  Cuba come una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti e che le nazionalizzazioni portate avanti dopo il trionfo della rivoluzione furono illegali e illegittime.
In questi giorni a Cuba il governo, le istituzioni,il popolo ricordano la vittoria a Playa de Giron contro l’aggressione USA, il prossimo 1° maggio Trump vedrà con i suoi occhi che il popolo cubano attraverso manifestazioni oceaniche sta con la Rivoluzione, così come sta al fianco del fratello Venezuela bolivariano, al fianco Lula incarcerato ingiustamente per ordine dell’impero , al fianco di Assange che l’impero vuole punire per aver detto che” IL RE ERA NUDO”….


Il segretario di Stato  Mike Pompeo membro del pericoloso staff  dei fuori di testa del governo  (fascista ) degli Stati Uniti guidato dalla follia di Trump, ha girato e gira il Europa come in America Latina per incontrare i soliti squallidi cortigiani disposti a sostenere un’ intervento militare in Venezuela  e allinearsi alla legge Helms – Burton che vorrebbe strangolare Cuba e annientare la rivoluzione Cubana.

lunedì 25 marzo 2019

#Cuba è il paese più salutare dell' #AmericaLatina: non era un modello fallito? VIDEO / Cuba, país más saludable de América Latina: ¿no era un modelo fracasado?



CubainformaciónTV Basato su un testo di Cubadebate.- L'agenzia statunitense Bloomberg ha appena pubblicato la lista dei paesi più salutari del mondo.

Presi in conto le variabili come la speranza di vita, l'accesso all'acqua potabile e l'attenzione medica, partendo di dati apportati da organizzazioni come l'OMS o la Banca Mondiale.
In tale lista, sapete quale è il paese più salutare dell'America Latina? Cuba la cui economia è bloccata dalla maggiore potenza del pianeta. Gli USA, che ricordiamo ricordiamo attaccano senza pietà le sue fonti di entrate: il turismo, i servizi medici esterni e l'investimento straniero.
Incredibilmente, Cuba si colloca cinque posizioni al di sopra degli USA ed solo una posizione sotto al Canada. Il suo successo, dice la relazione, si deve all'enfasi delle autorità sulla prevenzione della salute, mentre gli USA si incentrano nella diagnosi ed i trattamenti.
Cuba è l'unico paese con alta classificazione secondo Bloomberg che non è considerato di "alte entrate" per la Banca Mundial.
Ma non leggiamo nei giornali, nei mezzi corporativi, che Cuba è un modello fallito ed incondizionato, generatore di povertà? Non vi sembra che qua ci sia qualcuno che ci mente?



 Cuba, país más saludable de América Latina: ¿no era un modelo fracasado?

Cubainformación TV – Basado en un texto de Cubadebate.- La agencia estadounidense Bloomberg acaba de publicar la lista de los países más saludables del mundo.
Toma en cuenta variables como la esperanza de vida, el acceso al agua potable y la atención médica, partiendo de datos aportados por organizaciones como la OMS o el Banco Mundial.
Y en dicha lista, ¿saben cuál es el país más saludable de América Latina? Cuba, cuya economía está bloqueada por la mayor potencia del planeta. EEUU –recordemos- ataca ahora sin piedad a sus fuentes de ingresos: el turismo, los servicios médicos externos y la inversión extranjera.
Increíblemente, Cuba se ubica cinco posiciones por encima de EEUU y solo una por debajo de Canadá. Su éxito, dice el informe, se debe al énfasis de las autoridades en la prevención de salud, mientras EEUU se centra en el diagnóstico y los tratamientos.
Cuba es el único país con alta clasificación –según Bloomberg- que no está considerado como de “altos ingresos” por el Banco Mundial.
Pero ¿no leemos a diario, en los medios corporativos, que Cuba es un modelo fracasado e inviable, generador de pobreza? ¿No les parece que aquí hay alguien que nos miente?

Edición: Ana Gil. Presentación: Lázaro Oramas.