"Vorrei sapere se tanti "compagni "italiani favorevoli all' interventismo della NATO in Siria, Iran,....si ricordano della strategia della tensione in Italia, delle stragi di Stato senza colpevoli, di Gladio superfinanziata per eliminare il comunismo e i comunisti, .....si, la NATO gestiva il tutto e quella che abbiamo davanti oggi e una NATO/OTAN ancor più criminale e terrorista" (Sandino)
Sulla
Siria incombe la minaccia dell'aggressione imperialista
"Avante!",
settimanale del Partito Comunista Portoghese
06/2012
Il
governo siriano è tornato a smentire il coinvolgimento delle sue
forze armate nel massacro di Houla e ha ribadito le sue accuse ai
terroristi che operano sul territorio. Mentre prosegue l'inchiesta su
quanto è successo, si approfondisce la campagna a favore di
un'aggressione imperialista alla Siria, ed emergono informazioni che
confermano le manovre preparatorie di una guerra umanitaria sullo
stile di quelle scatenate contro la Libia e l'ex Jugoslavia.
In
una conferenza stampa svoltasi la settimana scorsa a Damasco, il
responsabile della commissione di inchiesta sul massacro, generale
Jamal Suleiman, ha sottolineato che le conclusioni preliminari
confermano che i gruppi armati sono responsabili dell'attacco che ha
ucciso 108 persone a Houla.
Suleiman
ha chiarito che "le forze si sicurezza si trovavano lontane dal
luogo del massacro" che ha colpito, in maggioranza, "famiglie
che rifiutavano di unirsi o appoggiare i ribelli" (EFE, 31.05).
Quella zona, ha testimoniato gente del posto ascoltata dalla
commissione, si trovava sotto il controllo delle milizie (Prensa
Latina, 31.05).
Il
responsabile ha precisato che la maggior parte delle vittime è stata
massacrata a Taldo, località dove "le truppe del governo non
sono entrate né prima né dopo [il massacro]" e che "un
grande numero di cadaveri appartiene a terroristi caduti nei
combattimenti con le forze dell'ordine scatenati, in seguito, quando
dai 600 agli 800 uomini riuniti nelle prossimità di Houla hanno
attaccato le truppe governative" (AFP, 31.05). 26 militari
siriani sono morti in questi attacchi (Prensa Latina, 31.05),
realizzati con mortai, armi anticarro e altro armamento pesante.
Nello
stesso tempo, una parte del contingente terrorista abbatteva i
civili, usando in particolare armi bianche, ha sostenuto Suleiman
(Prensa Latina, 31.05). Gli indizi raccolti fino ad ora rivelano che
i cadaveri non presentano segni di qualsiasi bombardamento - fatto
del resto constatato anche sul terreno dalla segreteria stampa
dell'Alto Rappresentante del Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU
(Voce della Russia, 29.05).
Un
discorso orientato
Nello
stesso incontro con la comunicazione sociale, il portavoce del
Ministero degli Affari Esteri della Siria, Jihad Maqdisi, ha
criticato duramente il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban
Ki-moon, affermando che egli "ha abbandonato la sua missione di
mantenere la pace e la sicurezza nel mondo per rappresentare un
messaggero di guerre civili" (EFE, 01.06). Ki-moon ha ritenuto
che la Siria possa entrare in una spirale di guerra civile, da cui
non potrebbe riprendersi (AFP, 31.05).
Le
dichiarazioni del massimo responsabile delle Nazioni Unite vanno ad
integrare la campagna di intossicazione dell'opinione pubblica, il
cui obiettivo è creare le condizioni per un'aggressione imperialista
alla Siria.
Poiché
è sempre più evidente che la mattanza di Houla non è derivata da
alcun bombardamento dell'esercito siriano, il discorso prevalente
attribuisce ora la responsabilità a una presunta milizia
filo-governativa.
A
questo proposito, è tornata a far sentire la sua voce l'Alto
Commissario dei Diritti Umani dell'ONU, Navy Pillay, che pur non
essendo presente alla sessione speciale del Consiglio, riunito il 1
giugno, su richiesta di Qatar, Turchia, USA, Arabia Saudita,
Danimarca e UE, ha inviato una lettera in cui si fa riferimento ai
"crimini commessi contro l'umanità" (Reuters, 01.06).
Hillary
Clinton, da parte sua, è tornata a parlare di una transizione
urgente del potere, ripetendo, inoltre, il discorso relativo alla
Libia e a Muammar Gheddafi, che ha avuto le note conseguenze.
La
ricetta usata per promuovere le cosiddette guerre umanitarie contro
l'ex Jugoslavia, l'Iraq e la Libia è riscontrabile anche
nell'intervista di un presunto leader dell'opposizione siriana al
giornale israeliano Haaretz.
L'intervistato,
che ha parlato mantenendo l'anonimato, ha assicurato che dopo la
caduta di Bashar Al-Assad l'opposizione cercherà di garantirsi il
controllo delle armi chimiche. Ma più che di una garanzia,
riecheggia il motivo delle presunte armi chimiche detenute dal regime
che ricorda le armi di distruzione di massa che gli USA affermavano
esistere in Iraq.
Per
questo, la fonte del giornale israeliano ha alluso anche a un
coinvolgimento dell'Iran, affermando che la nazione persiana "ha
inviato in Siria aerei senza pilota per collaborare nell'azione di
vigilanza" e "ha aperto un fondo di milioni di dollari per
aiutare Al Assad a comperare armi dalla Russia"(EuropaPress,
29.05).
Destabilizzazione
di tutta la regione
Dopo
l'intervista, il governo di Israele ha accusato apertamente l'Iran di
coinvolgimento nel massacro di civili a Houla e di comportamento
pericoloso nella regione (EuropaPress, 01.06). Nello stesso senso, un
gruppo di "oppositori" chiamato Consiglio Rivoluzionario di
Aleppo ha rivendicato il sequestro di 11 pellegrini libanesi.
Catturati il 22 maggio nel Nord della Siria, molti di loro avrebbero
partecipato alla repressione delle proteste in Siria, dice
l'autoproclamato gruppo anti-Assad. Per questa ragione, saranno
liberati solo quando il religioso sciita e leader di Hezbollah,
Hassan Nashrallah (uomo legato a Teheran), si scuserà pubblicamente
(EuropaPress, 01.06).
La
Turchia e il Libano sono nodali nella scacchiera dell'aggressione.
AFP riferiva alcuni giorni fa che il ministro degli Affari esteri
turco, Ahmet Davutoglu, ha ricevuto il capo del Consiglio Nazionale
Siriano, Burhan Ghalioun, con l'obiettivo di rafforzare i legami con
gli insorti.
I
legami erano già stretti. In Turchia il CNS e l'Esercito Siriano
Libero si muovono con disinvoltura e con l'appoggio delle autorità,
compresi i militari. Alla frontiera con la Siria, le incursioni sono
ricorrenti - almeno 20 soldati governativi, sei civili e sei ribelli
sono morti il 28 e 29 maggio a Atareb, località della provincia di
Aleppo a pochi chilometri dalla frontiera turca, hanno informato
fonti della stessa "opposizione" (Reuters, 29.05).
In
Libano, gli USA e l'Arabia Saudita scommettono sulla propagazione del
conflitto. Ancora il 31 maggio, l'esercito siriano ha sventato un
tentativo di incursione da parte di una banda terrorista nelle
vicinanze di Ybak, ha riferito l'agenzia Sana.
Recentemente,
l'istituto nordamericano Stratfor notava che, oltre alle incursioni a
partire dal Libano, l'obiettivo è incrementare il transito delle
armi verso la Siria (Prensa Latina, 29.05), il che già oggi è una
realtà, secondo quanto ha appurato in interviste a trafficanti la
giornalista di Russia Today Maria Finoshina.
Il
coinvolgimento del Libano nel conflitto è un dato di fatto, si
sottolinea. Vanno ricordati gli scontri di cui hanno riferito agenzie
internazionali tra coloro che vengono denominati filo e anti-Assad.
L'esercito
libanese ha sequestrato vari carichi di armamento destinato ai
mercenari in azione in Siria. In maggio e aprile, una nave battente
bandiera italiana e un'altra bandiera della Sierra Leone (proveniente
dal porto egiziano di Alessandria) sono state sottoposte a ispezioni
a Tripoli, e si è scoperto che contenevano armamento destinato agli
insorti siriani. Alcune casse della prima nave portavano il sigillo
del Qatari Army, secondo Press TV.
E'
in allestimento una macchina mortale
Un'operazione
militare condotta da una coalizione internazionale, sotto comando
della NATO, come in Libia, è un'ipotesi molto accreditata. La
perdita dell'emirato islamico di Baba Amr, a Homs, da parte dei
gruppi siriani armati è stata un contrattempo.
Homs
non era la Bengasi siriana. Il tiro dei cecchini contro le
manifestazioni non ha raggiunto il suo obiettivo incendiario. Anche
gli attentati con le bombe contro siti civili, istituzioni dello
Stato, vie di comunicazione e infrastrutture non hanno scatenato la
reazione indiscriminata delle autorità di Damasco. Sarà che Houla è
il bagno di sangue di cui l'imperialismo ha bisogno per aggredire il
paese con il pretesto della protezione dei civili? La verità è che
le ultime informazioni segnalano manovre che vanno in questa
direzione.
Il
30 maggio, l'ambasciatrice nordamericana all'ONU, Susan Rice, ha
fatto intendere che un intervento militare della "comunità
internazionale" contro "il regime di Bashar Al-Assad"
potrebbe avvenire anche senza l'appoggio del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite. A tale scopo, si dovrebbe far fallire il piano
di pace dell'inviato dell'ONU Kofi Annan e il conflitto dovrebbe
andare oltre le frontiere siriane.
Subito
dopo, l'Esercito Libero Siriano ha aggiunto che "non si vede
obbligato ad alcun impegno del Piano Annan" e che il suo dovere
è "difendere i civili".
Le
esplosive dichiarazioni della Rice sono state, nel frattempo,
smentite dal segretario della Difesa nordamericano. Leon Panetta ha
garantito che qualsiasi azione militare contro la Siria presuppone
l'appoggio delle Nazioni Unite, dal momento che, ha dichiarato, "gli
USA non prevedono di realizzare un'azione militare senza una
risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU" (Lusa, 01.06).
Contorsionismi
diplomatici a parte, già il 23 maggio l'agenzia di notizie
israeliana Debka rendeva noto che gli oppositori siriani avevano
cominciato a ricevere armi dagli USA. L'invio era stato approvato
segretamente dopo che la Casa Bianca aveva concluso che, che dopo 14
mesi di tira e molla, era necessario fare dei passi avanti. E li ha
fatti, inviando armi anticarro di ultima generazione e altro
materiale di qualità e in quantità, assicura ancora questa fonte.
Queste
informazioni acquistano maggiore consistenza con la denuncia fatta
dal Washington Post la terza settimana di maggio, Secondo il
quotidiano, che garantisce di avere verificato le informazioni
pubblicate insieme ad alti responsabili del governo nordamericano e a
diplomatici di altre potenze imperialiste, l'amministrazione Obama ha
deciso di cambiare il suo livello di coinvolgimento nel conflitto, in
particolare in relazione alla carattere sofisticato dell'armamento
concesso all' "opposizione". Mantiene, nel frattempo, il
contatto e la logistica attraverso i "paesi del Golfo". Il
materiale sarà inoltrato a Damasco, Idleb, vicino alla frontiera
turca e Zabadani, vicino alla frontiera libanese, sottolinea il
Washington Post.
Nei
primi giorni di maggio, Daniel Glaser, membro dell'amministrazione
Obama con il suggestivo nome di Segretario del Tesoro per il
Finanziamento del Terrorismo (Secretary for Terrorist Financing and
Financial Crimes, NdT), ha trascorso 12 giorni visitando Arabia
Saudita, Kuwait, Qatar, Israele e Emirati Arabi Uniti, incontrandosi
con responsabili governativi e imprenditori (Prensa Latina, 03.05).
I
preparativi per l'attacco non si fermano qui. Recentemente, attivisti
siriani sono stati nel Kosovo per cercare di installarvi campi di
addestramento, il che ha motivato la reazione dell'esecutivo di Mosca
(Russia Today, 15.05).
L'agenzia
israeliana Debka assicura anche che 12.000 militari di 19 nazioni,
tra le quali gli USA, l'Arabia Saudita e la Giordania, ma pure
"alleati europei" (l'Italia, NdT) hanno partecipato a
esercitazioni militari nella regione. Un responsabile giordano ha
chiarito che i giochi di guerra non hanno nulla a che vedere con la
Siria e che la sovranità del paese viene rispettata, ma la verità è
che il generale James Mattis ha chiesto a Barack Obama l'invio di
un'altra portaerei nel Medio Oriente. La richiesta è stata
soddisfatta (Russia Today, 29.05).
Ad
avvalorare le preoccupazioni di un'azione militare imperialista su
larga scala, il 31 maggio Reuters informava che le riserve di
petrolio degli USA sono aumentate per la decima settimana consecutiva
e hanno raggiunto il maggior livello dal 1990, quando, ricordiamo,
George W. Bush padre affilava i denti per la cosiddetta Prima Guerra
del Golfo.
Invasione
di droni nei cieli della Sicilia
di
Antonio Mazzeo
12/06/2012
Droni,
droni e ancora droni. Sarà intensissimo, in estate, il via vai di
aerei militari senza pilota sui cieli siciliani. Decine di decolli ed
atterraggi nella base USA e NATO di Sigonella che faranno impazzire
il traffico aereo nel vicino scalo civile di Catania Fontanarossa.
Grandi aerei spia del tipo Global Hawk e i Predator e i Reaper
carichi di bombe e missili che sorvoleranno l'isola e solcheranno i
mari, pregiudicando la sicurezza dei voli e delle popolazioni.
Le
notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) emesse lo scorso 4
giugno lasciano presagire tragici scenari di guerra in Siria e
nell'intero scacchiere mediterraneo e mediorientale. Tre riguardano
lo scalo di Fontanarossa e sono distinti dai codici B4048, B4049 e
B4050. Impongono la sospensione delle procedure strumentali standard
nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aerei, tutti i giorni
sino al prossimo 1 settembre, "causa attività degli Unmanned
Aircraft", i famigerati aerei senza pilota in dotazione alle
forze armate statunitensi e italiane. "Le restrizioni sopra
menzionate verranno applicate su basi tattiche dall'aeroporto di
Catania", specificano i NOTAM. Che le operazioni dei droni
riguardino la stazione aeronavale di Sigonella, lo si apprende da un
altro avviso, codice M3066/12, che ordina la sospensione di tutte le
strumentazioni standard al decollo e all'atterraggio nel Sigonella
Airport, dal 4 giugno all'1 settembre 2012, "per l'attività di
Unmanned Aircraft militari". Il grande scalo delle forze USA e
NATO subirà inoltre "restrizioni al traffico aereo", nei
giorni 19 e 20 giugno, per una vasta esercitazione aeronavale nel
Mediterraneo. Gli ennesimi giochi di guerra alleati che potrebbero
annunciare l'attacco finale al regime di Assad.
"Quelle
oggetto nei NOTAM relativi all'aeroporto di Catania, sono di aerei
militari senza pilota italiani o americani a Sigonella?", chiede
l'Associazione Antimafie "Rita Atria" che per prima ha
rilevato l'intensissima attività dei droni in Sicilia.
"L'Amministrazione Obama usa questi velivoli anche per uccidere
presunti terroristi e in queste missioni ci sono sempre i cosiddetti
effetti collaterali: uccisioni di bambini, donne e uomini innocenti
civili. Conta ancora qualcosa la volontà popolare in Italia? Noi non
abbiamo dato mandato a nessuno in Parlamento di autorizzare gli aerei
senza pilota a fare quello che vogliono in occasione di guerre come
quella in Libia e in Afghanistan, volando nel nostro spazio aereo e
ponendo gravi limitazioni al traffico aereo civile. Per questo
dobbiamo mobilitarci contro i droni, per smilitarizzare i nostri
territori e riprenderci la nostra sovranità che ci hanno dato i
Padri Costituenti".
"Con
la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale degli aerei senza
pilota e l'installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS,
il nuovo sistema satellitare della marina militare USA, la Sicilia
diviene l'epicentro delle guerre globali e permanenti del XXI
secolo", commenta Alfonso Di Stefano della Campagna per la
smilitarizzazione. "Attualmente sono schierati a Sigonella due o
tre Global Hawk dell'US Air Force. Entro il 2015, però, diverranno
operativi l'AGS, il sistema di sorveglianza terrestre della NATO e il
Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e i grandi
aerei-spia saranno più di una ventina. Che ne sarà allora del
traffico aereo civile nell'isola che già oggi è pesantemente
limitato dalle spericolate operazioni belliche dei droni italiani e
stranieri?".
Due
anni fa, l'Aeronautica militare e l'ente nazionale per l'aviazione
civile (Enac) siglarono un accordo tecnico per l'attività di
aeronavigazione nello spazio aereo italiano dei Global Hawk schierati
a Sigonella nell'ambito dell'accordo Italia-Stati Uniti del 2008.
Senza attendere una normativa europea che disciplini in via
definitiva l'impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema
del traffico aereo generale, l'accordo ha consentito l'impiego dei
droni nell'ambito di spazi aerei "determinati" e con
l'adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e
militari "tese a limitare al massimo l'impatto sulle attività
aeree civili". All'Aeronautica militare è stata attribuita la
"predisposizione degli spazi aerei necessari all'impiego
operativo ed addestrativo dei velivoli militari a pilotaggio remoto",
mentre l'Enac dovrebbe curare in coordinamento con l'Enav (ente
nazionale per l'assistenza al volo) gli aspetti di gestione e
controllo del traffico aereo generale.
Il
testo del documento è simile a quello che era stato siglato nel
novembre 2008 per le operazioni di volo dei Predator in dotazione al
32° Stormo Ami di Amendola (Foggia), utilizzati nella guerra in
Afghanistan e più recentemente in Libia. Secondo gli accordi, i
profili delle missioni, le procedure operative, le aree di lavoro e
gli equipaggiamenti, dovrebbero essere stabiliti "nel rispetto
dei principi della sicurezza del volo", anche se è poi
precisato che in caso di "operazioni connesse a situazioni di
crisi o di conflitto armato" l'impiego dei droni non può essere
sottoposto a limitazioni di alcun genere. E questo nonostante i
velivoli telecomandati rappresentino un rischio insostenibile per il
traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli
scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio.
"Effettivamente
il rateo d'incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è
incoraggiante per poter essere ottimisti sui tempi di integrazione di
questi sistemi nello spazio aereo nazionale", ammette il
maggiore dell'aeronautica Luigi Caravita in una recente ricerca sui
droni pubblicata per il Centro Militare di Studi Strategici (Cemis).
"Da fonti ufficiali si apprende che nelle prime 100.000 ore di
volo il tasso d'incidente del MQ-1 Predator ammontava a 28, oltre il
doppio del cacciabombardiere F16. Altri sistemi a pilotaggio remoto
come il Pioneer, l'Hunter e l'RQ-7 Shadow hanno invece un rateo di
incidenti di almeno uno-due ordini di grandezza superiore".
"La
mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed
evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se
associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra
segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un
Predator è stato perso a seguito d'interruzione del data link",
aggiunge il maggiore Caravita. "Ad oggi gli UAS militari non
sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché
non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati
sufficientemente affidabili, non sono dotati di una tecnologia sense
& avoid matura, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di
volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e
convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da
attacchi di cyber warfare".
Analoghe
considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force
nel documento che delinea la visione strategica sull'utilizzo di
questi sistemi di guerra(The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft
and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). "I velivoli
senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e
vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non
cinetiche", scrivono i militari USA. "Il rischio
d'incidente del Predator e del Global Hawk è d'intensità maggiore
di quello dei velivoli con pilota dell'US Air Force, anche se al di
sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa
per questi sistemi".
In
verità, gli incidenti che vedono protagonisti gli aerei senza pilota
stanno crescendo in numero e gravità. In particolare si annoverano
due collisioni nei cieli dell'Afghanistan, la prima nel 2004 tra un
drone ed un Airbus 320 e più recentemente (agosto 2011) tra un aereo
da trasporto militare C130 statunitense ed un RQ-7 Shadow. I Predator
e i Reaper sembrano avere una certa predisposizione a perdere il
controllo e precipitare rovinosamente al suolo o nei mari. E
precipitano pure i Global Hawk: nel marzo 1999 un velivolo dell'US
Air Force si è schiantato in California da un'altitudine di 12.500
metri dopo aver ricevuto un segnale spurio di "termine missione"
dalla base aerea di Nellis. Ieri 11 giugno, è toccato a un
dimostratore BAMS di US Navy ad essere inghiottito dalle acque del
Nanticoke River, vicino l'isola di Bloodsworth, Maryland. Il
velivolo, una versione modificata del Global Hawk RQ-4 operativo con
l'aeronautica militare, era stato schierato nella stazione aeronavale
di Patuxent River, nell'ambito del cosiddetto programma di sviluppo
Broad Area Maritime Surveillance che prevede il trasferimento a breve
di cinque aerei UAV di US Navy nella base di Sigonella.
Massacri
attiraNato, Cuba, Miami, il Cns
di
Marinella Correggia
09/06/2012
Come
in un ritornello ogni giorno da mesi la più grande agenzia stampa
del mondo - la Reuters- ritualmente travisa le dichiarazioni
dell'Onu, pure non certo favorevoli al regime siriano. Facendo di
tutto per indurre l'opinione pubblica mondiale ad accettare o meglio
a chiedere un intervento armato in Siria, continua a ripetere che
"secondo l'Onu" le forze di Assad hanno ucciso diecimila
persone, e che, "secondo il governo di Damasco", sono stati
uccisi anche 2.600 fra soldati e altre forze dell'ordine. In realtà
la stessa Onu non si è mai espressa in questi termini, parlando
sempre di "vittime della violenza in Siria"; dove con tutta
evidenza gli scontri non sono fra un regime e manifestanti pacifici
ma fra due (o più) parti armate, e a questi si aggiungono attentati
e stragi.
Con
questo depistamento quotidiano che vede Reuters in prima fila, di
fronte a ogni nuovo massacro in Siria - l'ultimo nella località Al
Kubeir, villaggio di Mazraf, regione di Hama, non è chiaro il numero
dei morti ma fra di loro donne e bambini - nessuno si chiede a chi
giovi, nessuno si chiede se non sia espressione di un tragico odio
settario, o se ci siano squadroni della morte, e tutti continuano a
dare per buona una sola delle due versioni: quella dell'opposizione
armata e del Cns (Consiglio nazionale siriano) che continuano a
chiedere interventi militari dall'esterno (questo ha ri-chiesto a
Obama giorni fa un colonnello delle forze "ribelli"
siriane, parlando da località non precisata all'Independent e
ribadendo di aver rotto il cessate il fuoco. Del resto Qatar e Arabia
Saudita, e gli occidentali, che sostengono l'opposizione anche
armata, non hanno mai sostenuto davvero il piano di Annan).
I
"ribelli" fanno davvero di tutto per attirare le bombe, o
almeno ancora più aiuti. Il giornalista britannico Alex Thomson che
è a capo dei corrispondenti di Channel 4 (non certo amica del
regime: qualcuna ricorda il video fabbricato sui "medici siriani
che torturano manifestanti feriti"?) sostiene che durante il suo
viaggio in Siria i ribelli siriani lo hanno lasciato in una zona
considerata terra di nessuno vicino al confine libanese, sperando che
le forze del governo gli sparassero. Thomson ha scritto su un blog
che una scorta ribelle ha guidato lui, il suo autista e il suo
traduttore in un vicolo cieco in una "free-fire zone"
vicino alla città di Qusair. Thomson sostiene che era "piuttosto
chiaro che i ribelli ci avessero deliberatamente messo in posizione
per essere bersagliati dall'esercito siriano", aggiungendo che
se lui e i suoi colleghi fossero stati colpiti tale episodio si
sarebbe rivelato uno strumento di propaganda per i ribelli. In una
e-mail, Thomson ha scritto che "in alcun modo" è possibile
scambiare i fatti di oggi per un incidente (LaPresse News, riportato
da
http://economia.virgilio.it/notizie/economia/siria_giornalista_gb_ribelli_volevano_farci_sparare_da_esercito,35227622.html
Forse
occorrerebbero ascoltare i consigli di Cuba. L'isola ha una certa
esperienza di lotta al terrorismo (del quale è stata vittima) e di
opposizione alle guerre occidentali (nel 1990 fu l'unico paese,
membro di turno del Consiglio di Sicurezza, a votare contro
l'ultimatum all'Iraq). E il suo rappresentante permanente all'Onu,
ambasciatore Rodolfo Reyes Rodriguez, il primo giugno durante la 19ma
sessione speciale del Consiglio dei diritti umani (Cuba è membro di
turno) ha parlato chiaro
www.granma.cu/italiano/esteri/4-junio-intervento.html
.
Ecco le sue parole: "Cuba condivide la preoccupazione per la
perdita di vite innocenti in qualsiasi parte del mondo. In accordo
con la posizione cubana di condanna del terrorismo in tutte le sue
forme e manifestazioni, abbiamo condannato gli attentati terroristici
perpetrati contro il popolo della Siria, che hanno provocato decine
di morti e centinaia di feriti, ma sui quali questo Consiglio per i
diritti umani non ha detto una sola parola. (…) Cuba esprime la sua
solidarietà con le vittime e i loro familiari per i fatti di
El-Houlah (l'ultimo massacro non era ancora avvenuto, ndr), ma il più
elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano
responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti
interessate a promuovere la destabilizzazione e l'intervento militare
straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli
risorse, finanziando e armando un'opposizione che soddisfi le loro
ansie di cambio di regime in questo paese. (…) Una guerra civile in
Siria o un intervento di forze straniere seminerebbero una maggior
distruzione e moltiplicherebbero i morti, destabilizzerebbero tutta
la regione e avrebbero gravi conseguenze per i popoli del Medio
Oriente. (…) Sono allarmanti i richiami di coloro che vogliono
l'uso della forza, la violenza e l'intervento militare straniero in
Siria e sono necessari più dialogo e una maggior volontà di
negoziato. (…) La condotta di alcuni membri della NATO nella
regione dell'Africa del nord e del Medio Oriente, i loro
ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e
il silenzio complice di fronte alle azioni d'Israele contro il popolo
palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione
e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del
dibattito che oggi ci occupa. (…) Per questo la nostra più ferma
posizione è che l'investigazione che si deve realizzare sul massacro
di El-Houlah dovrà essere seria, credibile, trasparente e senza
pregiudizi e non dovrà essere inquinata da motivazioni politiche:
questa sarà l'unica forma per conoscere la verità. (…) Il ruolo
della comunità internazionale è appoggiare ogni sforzo che
contribuisca alla salvaguardia della pace e della stabilità in
Siria".
Va
in ben altra direzione il patto stretto fra opposizione cubana e
quella siriana, con un seminario al Biltmore Hotel di Coral Gables
dell'1 all'8 maggio, scrive Jean Guy Allard (riportato su
http://www.peacelink.it/sociale/a/36322.html
:
"La Cia ha messo in atto un dispositivo di sabotaggio contro il
piano di Annan e qualsiasi altro tentativo di pace in Siria. (…)
Ricorrendo alla comunità cubano-americana che controlla a Miami, e
agli oppositori siriani che vivono nello stesso territorio, i servizi
di intelligence degli Stati Uniti hanno tentato di collegare Cuba ai
disordini in corso in Siria, come "rivela" un dispaccio da
Miami dell'agenzia di stampa spagnola Efe sui "dissidenti
siriani e cubani che stanno creando un fronte per combattere Castro e
El-Assad".
L'ultimo
massacro a al Kubeir è un fatto. Ma dovrebbe essere considerato un
fatto importante anche chi l'ha fatto, alla vigilia di una riunione
all'Onu e a due settimane da quando un altro massacro è stato
attribuito dal coro mondiale all'esercito e a forze paramilitari. Il
poligono (di tiro) dei buoni ha già emesso il verdetto. Le tivù
internazionali trasmettono video e interventi di "testimoni"
del massacro e ne chiamano altri al telefono: questi accusano
esercito e shabiha (gli ormai famosi "miliziani pro-Assad")
di bombardamenti ed esecuzioni. Un uomo curiosamente precisa che nel
villaggio "non c'erano mai state manifestazioni contro il
regime". E proprio il regime ne avrebbe ordinato la morte…
Però
la tivù privata siriana Addunia ha intervistato
http://www.youtube.com/user/SyriaTruthNetworkEN?feature=watch
il
medico legale che esaminando i corpi degli uccisi ha stabilito il
momento probabile del decesso: quattro o cinque ore prima che le
forze armate arrivassero sul luogo e ingaggiassero scontri con i
gruppi armati, dopo essere state chiamate dagli stessi abitanti. Alla
tivù siriana alcuni degli abitanti della fattoria al Qubeyr e del
villaggio di Maarzaaf hanno detto: "i terroristi armati hanno
attaccato il villaggio alle dieci di mattina di mercoledi (6 giugno)
sgozzando i bambini e le donne, il che ci ha spinti a fuggire al di
fuori del villaggio". Un'altra testimone ha affermato che gli
uomini armati hanno terrorizzato gli abitanti del villaggio e li
hanno scacciati dalle loro terre, distruggendo i loro raccolti
agricoli, saccheggiandoli, e sgozzando i bambini e le donne.
Quanto
al massacro di al Houla (due settimane fa), un giornalista russo
della Anna News che si trovava nella zona durante il massacro ha
raccontato quanto segue: "alle due di notte fra il 25 e il 26
maggio un grosso gruppo di armati catturano la cittadina di al Houla
dopo averla attaccata da nordest. Vengono da Ar-Rastan, da Farlaha,
da Akraba e da al Houla e sono aiutati da gangster locali. Una volta
presi i checkpoint nel centro della cittadina, uccidono membri di
famiglie non schierate con l'opposizione e fra queste molte del
gruppo Al-Sayed, fra i quali 20 bambini; e la famiglia degli Abdul
Razzak, usando coltelli e pistole. Poi l'opposizione accusa
l'esercito. Durante l'attacco, gli armati perdono 25 uomini"
Se
la guerra è alle porte di casa
di
Sergio Cararo 12/06/2012
Prosegue
la campagna "Mediterraneo mare di guerra" della Rete dei
Comunisti per comprendere e combattere il nesso tra crisi e guerra.
L'escalation in Siria, la minaccia di guerra nucleare all'Iran, gli
esiti non positivi della stagione delle rivolte arabe, scuotono
quello che l'Europa considera "il cortile di casa" e gli
Usa un'area di interesse strategico.
Mercoledì
ad Aversa e venerdi a Bologna, si terranno altre due iniziative della
campagna "Mediterraneo mare di guerra" che la Rete dei
Comunisti sta promuovendo in questi mesi nel tentativo di rimettere
al centro dell'agenda politica le conseguenze del nesso tra crisi e
guerra, in particolare nell'area mediterranea-mediorientale. La
campagna ha inteso e intende coinvolgere altre realtà politiche o
personalità che in questi anni - e soprattutto in questi mesi - non
hanno esitato a schierarsi contro l'escalation della guerra
umanitaria con cui l'alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie
del Golfo, stanno cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente
e del Mediterraneo Sud. Interessi convergenti e prospettive
divergenti convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze
imperialiste dell'occidente e le potenze che paiono governare l'islam
politico.
"Una
sorta di compromesso storico" lo definì in modo lungimirante
due anni un comunista libanese. E' difficile non vedere il nesso tra
l'invasione/disgregazione della Libia, l'escalation in Siria, la
repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di
normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più
impetuose (Tunisia, Egitto). "Evolution but not revolution"
aveva decretato il Dipartimento di Stato Usa come sbocco obbligato
della Primavera Araba. Ma da queste responsabilità è impossibile
tenere fuori l'imperialismo europeo, in particolare di Francia, Gran
Bretagna e Italia, che hanno condiviso l'aggressione alla Libia ed
oggi condividono lo stessa prospettiva per la Siria.
I
movimenti che si oppongono alla guerra in questi mesi hanno dovuto
fare i conti con due difficoltà. La prima è stata la rimozione
della questione guerra dall'agenda politica dei movimenti o, peggio
ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come
quella in Libia e la subordinazione nella lettura della crisi e della
guerra civile in Siria. Le iniziative che ci sono state, seppur
minoritarie, hanno però ostacolato l'arruolamento attivo di alcuni
settori pacifisti nella guerra umanitaria creando una polarizzazione
che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla
capitolazione politica, culturale e internazionalista.
La
seconda difficoltà è stata quella di una lettura superficiale del
nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste
del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea) e il ricorso alla guerra
come strumento naturale della concertazione/competizione tra le varie
potenze e i loro interessi strategici. Concertazione quando si tratta
di attaccare e disgregare gli stati deboli, competizione quando si
tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle
aggressioni militari. L'alleanza - non certo inedita - tra potenze
occidentali e potenze dell'Islam politico ha rimesso in discussione
molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua
mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le
tendenze è un errore che rischia di paralizzare l'analisi e l'azione
politica.
La
campagna "Mediterraneo mare di guerra" in qualche modo
intende socializzare alla discussione (e ad una azione politica
conseguente) l'elaborazione che la Rete dei Comunisti ha costruito in
questi anni sul versante di una analisi aggiornata dell'imperialismo
del XXI° Secolo e del suo agire concreto dentro le contraddizioni
deflagranti e ormai evidenti del mondo in cui abbiamo vissuto fino ad
oggi. L'Europa, nella sua dimensione di Unione Europea come polo
imperialista, ha perso la sua innocenza e sta ben dentro una partita
tragica che ha avuto come prime vittime i popoli del Maghreb e del
Medio Oriente e adesso si sta scatenando sulle classi popolari
dell'Europa mediterranea, quella che i grandi gruppi capitalisti
definiscono non senza manifesto disprezzo i Piigs. La guerra dentro
questo scenario ormai ci sta tutta sia come distruzione di capitali
in eccesso, sia come guerra valutaria ed infine come guerra
guerreggiata. C'è urgenza di discutere tutto questo.
Occidente
cerca risposta contro appoggio russo a Siria
Damasco,
12 giu (Prensa Latina) L'attacco mediatico contro il popolo siriano
pianificato dalle potenze occidentali per il venerdì 15 è una
risposta alle posizioni della Russia di raggiungere un accordo
pacifico della crisi in Siria, considerano oggi gli analisti.
Mezzi
di stampa siriani ed internazionali hanno denunciato una presunta
trama pianificata dagli Stati Uniti ed i loro alleati per provocare
azioni violente ed il rovesciamento del governo del presidente
siriano, Bashar al-Assad, attraverso la manipolazione mediatica.
Secondo
gli attori occidentali, nella crisi bisogna fare un cambiamento della
storia, o in altre parole, il processo di destabilizzazione che
doveva aprire la strada ad un intervento militare della NATO
appoggiato dall'ONU è terminato in un fallimento.
Il
canale Addounia divulgò che gli organizzatori della campagna
mediatica contro Siria scelsero il prossimo 15 giugno per occultare i
mezzi televisivi locali negli spazi che occupano con le loro
trasmissioni via satellite con altri prefabbricati.
In
realtà, la gerarchia della Lega Araba, dominata dalla
petrol-monarchia del Golfo Persico, oggi acerrima nemica di Damasco,
ha proposto di occultare le trasmissioni dei canali siriani dai
satelliti Nilesat ed Arabsat, precisamente il 15 giugno.
Quando
questo succederà, secondo la fonte, invece dei canali siriani si
vedranno trasmissioni pirata, mostrando il popolo attaccando le
installazioni del governo ed elementi virtuali della caduta del
presidente Al-Assad.
Se
succedesse quello che si annuncia per il prossimo venerdì, giorno
della preghiera musulmana, questo dimostrerebbe che Washington
disattese avvertenze lanciate da Mosca, e che presumibilmente hanno
l’appoggio della Cina, sulle implicazioni della crisi nello
scatenamento di un conflitto mondiale.
In
realtà, è un'intensificazione della guerra mediatica fino ad
estremi mai visti prima. Il presidente Vladimir Putin ha assicurato
che Siria è la linea rossa che Occidente non deve oltrepassare e non
è stato casuale l'ampio spiegamento del potere militare russo
osservato nei giorni recenti in atti pubblici e la prova di
proiettili balistici per confermare una superiorità in questo
terreno, definitivo di qualunque conflitto tra le grandi potenze.
Il
giornalista ed investigatore francese, Thierry Meyssan, segnala che
Mosca ha appena proposto la creazione di un Gruppo di Contatto con
Siria che riunirebbe nel suo seno tutti gli Stati implicati, cioè,
tanto i paesi vicini come le potenze regionali ed internazionali.
“Si
tenta di creare un forum di dialogo invece dell'attuale dispositivo
bellico instaurato dagli occidentali sotto la denominazione della
Conferenza degli Amici della Siria”, ha affermato.
Per
alcuni commentatori politici, se la Casa Bianca e suoi alleati
occidentali proseguono cercando risposte all'iniziativa di Mosca per
una sistemazione pacifica della crisi, potrebbero dover affrontare
decisioni che i russi sembrano disposti ad assumere, perfino al
prezzo di un conflitto maggiore.
Ig/lb
documenti tratti da
Immagini tratte da Internet
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