venerdì 15 giugno 2012

Basta con i crimini della NATO guerrafondaia

"Vorrei sapere se tanti "compagni "italiani  favorevoli all' interventismo della NATO in Siria, Iran,....si ricordano  della strategia della tensione in Italia, delle stragi di Stato senza colpevoli, di Gladio superfinanziata per eliminare il comunismo e i comunisti, .....si, la NATO gestiva il tutto e quella che abbiamo davanti  oggi e una NATO/OTAN ancor più criminale e terrorista" (Sandino)


Sulla Siria incombe la minaccia dell'aggressione imperialista

"Avante!", settimanale del Partito Comunista Portoghese
06/2012
Il governo siriano è tornato a smentire il coinvolgimento delle sue forze armate nel massacro di Houla e ha ribadito le sue accuse ai terroristi che operano sul territorio. Mentre prosegue l'inchiesta su quanto è successo, si approfondisce la campagna a favore di un'aggressione imperialista alla Siria, ed emergono informazioni che confermano le manovre preparatorie di una guerra umanitaria sullo stile di quelle scatenate contro la Libia e l'ex Jugoslavia.
In una conferenza stampa svoltasi la settimana scorsa a Damasco, il responsabile della commissione di inchiesta sul massacro, generale Jamal Suleiman, ha sottolineato che le conclusioni preliminari confermano che i gruppi armati sono responsabili dell'attacco che ha ucciso 108 persone a Houla.
Suleiman ha chiarito che "le forze si sicurezza si trovavano lontane dal luogo del massacro" che ha colpito, in maggioranza, "famiglie che rifiutavano di unirsi o appoggiare i ribelli" (EFE, 31.05). Quella zona, ha testimoniato gente del posto ascoltata dalla commissione, si trovava sotto il controllo delle milizie (Prensa Latina, 31.05).
Il responsabile ha precisato che la maggior parte delle vittime è stata massacrata a Taldo, località dove "le truppe del governo non sono entrate né prima né dopo [il massacro]" e che "un grande numero di cadaveri appartiene a terroristi caduti nei combattimenti con le forze dell'ordine scatenati, in seguito, quando dai 600 agli 800 uomini riuniti nelle prossimità di Houla hanno attaccato le truppe governative" (AFP, 31.05). 26 militari siriani sono morti in questi attacchi (Prensa Latina, 31.05), realizzati con mortai, armi anticarro e altro armamento pesante.
Nello stesso tempo, una parte del contingente terrorista abbatteva i civili, usando in particolare armi bianche, ha sostenuto Suleiman (Prensa Latina, 31.05). Gli indizi raccolti fino ad ora rivelano che i cadaveri non presentano segni di qualsiasi bombardamento - fatto del resto constatato anche sul terreno dalla segreteria stampa dell'Alto Rappresentante del Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU (Voce della Russia, 29.05).
Un discorso orientato
Nello stesso incontro con la comunicazione sociale, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri della Siria, Jihad Maqdisi, ha criticato duramente il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, affermando che egli "ha abbandonato la sua missione di mantenere la pace e la sicurezza nel mondo per rappresentare un messaggero di guerre civili" (EFE, 01.06). Ki-moon ha ritenuto che la Siria possa entrare in una spirale di guerra civile, da cui non potrebbe riprendersi (AFP, 31.05).
Le dichiarazioni del massimo responsabile delle Nazioni Unite vanno ad integrare la campagna di intossicazione dell'opinione pubblica, il cui obiettivo è creare le condizioni per un'aggressione imperialista alla Siria.
Poiché è sempre più evidente che la mattanza di Houla non è derivata da alcun bombardamento dell'esercito siriano, il discorso prevalente attribuisce ora la responsabilità a una presunta milizia filo-governativa.
A questo proposito, è tornata a far sentire la sua voce l'Alto Commissario dei Diritti Umani dell'ONU, Navy Pillay, che pur non essendo presente alla sessione speciale del Consiglio, riunito il 1 giugno, su richiesta di Qatar, Turchia, USA, Arabia Saudita, Danimarca e UE, ha inviato una lettera in cui si fa riferimento ai "crimini commessi contro l'umanità" (Reuters, 01.06).
Hillary Clinton, da parte sua, è tornata a parlare di una transizione urgente del potere, ripetendo, inoltre, il discorso relativo alla Libia e a Muammar Gheddafi, che ha avuto le note conseguenze.
La ricetta usata per promuovere le cosiddette guerre umanitarie contro l'ex Jugoslavia, l'Iraq e la Libia è riscontrabile anche nell'intervista di un presunto leader dell'opposizione siriana al giornale israeliano Haaretz.
L'intervistato, che ha parlato mantenendo l'anonimato, ha assicurato che dopo la caduta di Bashar Al-Assad l'opposizione cercherà di garantirsi il controllo delle armi chimiche. Ma più che di una garanzia, riecheggia il motivo delle presunte armi chimiche detenute dal regime che ricorda le armi di distruzione di massa che gli USA affermavano esistere in Iraq.
Per questo, la fonte del giornale israeliano ha alluso anche a un coinvolgimento dell'Iran, affermando che la nazione persiana "ha inviato in Siria aerei senza pilota per collaborare nell'azione di vigilanza" e "ha aperto un fondo di milioni di dollari per aiutare Al Assad a comperare armi dalla Russia"(EuropaPress, 29.05).
Destabilizzazione di tutta la regione
Dopo l'intervista, il governo di Israele ha accusato apertamente l'Iran di coinvolgimento nel massacro di civili a Houla e di comportamento pericoloso nella regione (EuropaPress, 01.06). Nello stesso senso, un gruppo di "oppositori" chiamato Consiglio Rivoluzionario di Aleppo ha rivendicato il sequestro di 11 pellegrini libanesi. Catturati il 22 maggio nel Nord della Siria, molti di loro avrebbero partecipato alla repressione delle proteste in Siria, dice l'autoproclamato gruppo anti-Assad. Per questa ragione, saranno liberati solo quando il religioso sciita e leader di Hezbollah, Hassan Nashrallah (uomo legato a Teheran), si scuserà pubblicamente (EuropaPress, 01.06).
La Turchia e il Libano sono nodali nella scacchiera dell'aggressione. AFP riferiva alcuni giorni fa che il ministro degli Affari esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha ricevuto il capo del Consiglio Nazionale Siriano, Burhan Ghalioun, con l'obiettivo di rafforzare i legami con gli insorti.
I legami erano già stretti. In Turchia il CNS e l'Esercito Siriano Libero si muovono con disinvoltura e con l'appoggio delle autorità, compresi i militari. Alla frontiera con la Siria, le incursioni sono ricorrenti - almeno 20 soldati governativi, sei civili e sei ribelli sono morti il 28 e 29 maggio a Atareb, località della provincia di Aleppo a pochi chilometri dalla frontiera turca, hanno informato fonti della stessa "opposizione" (Reuters, 29.05).
In Libano, gli USA e l'Arabia Saudita scommettono sulla propagazione del conflitto. Ancora il 31 maggio, l'esercito siriano ha sventato un tentativo di incursione da parte di una banda terrorista nelle vicinanze di Ybak, ha riferito l'agenzia Sana.
Recentemente, l'istituto nordamericano Stratfor notava che, oltre alle incursioni a partire dal Libano, l'obiettivo è incrementare il transito delle armi verso la Siria (Prensa Latina, 29.05), il che già oggi è una realtà, secondo quanto ha appurato in interviste a trafficanti la giornalista di Russia Today Maria Finoshina.
Il coinvolgimento del Libano nel conflitto è un dato di fatto, si sottolinea. Vanno ricordati gli scontri di cui hanno riferito agenzie internazionali tra coloro che vengono denominati filo e anti-Assad.
L'esercito libanese ha sequestrato vari carichi di armamento destinato ai mercenari in azione in Siria. In maggio e aprile, una nave battente bandiera italiana e un'altra bandiera della Sierra Leone (proveniente dal porto egiziano di Alessandria) sono state sottoposte a ispezioni a Tripoli, e si è scoperto che contenevano armamento destinato agli insorti siriani. Alcune casse della prima nave portavano il sigillo del Qatari Army, secondo Press TV.
E' in allestimento una macchina mortale
Un'operazione militare condotta da una coalizione internazionale, sotto comando della NATO, come in Libia, è un'ipotesi molto accreditata. La perdita dell'emirato islamico di Baba Amr, a Homs, da parte dei gruppi siriani armati è stata un contrattempo.
Homs non era la Bengasi siriana. Il tiro dei cecchini contro le manifestazioni non ha raggiunto il suo obiettivo incendiario. Anche gli attentati con le bombe contro siti civili, istituzioni dello Stato, vie di comunicazione e infrastrutture non hanno scatenato la reazione indiscriminata delle autorità di Damasco. Sarà che Houla è il bagno di sangue di cui l'imperialismo ha bisogno per aggredire il paese con il pretesto della protezione dei civili? La verità è che le ultime informazioni segnalano manovre che vanno in questa direzione.
Il 30 maggio, l'ambasciatrice nordamericana all'ONU, Susan Rice, ha fatto intendere che un intervento militare della "comunità internazionale" contro "il regime di Bashar Al-Assad" potrebbe avvenire anche senza l'appoggio del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. A tale scopo, si dovrebbe far fallire il piano di pace dell'inviato dell'ONU Kofi Annan e il conflitto dovrebbe andare oltre le frontiere siriane.
Subito dopo, l'Esercito Libero Siriano ha aggiunto che "non si vede obbligato ad alcun impegno del Piano Annan" e che il suo dovere è "difendere i civili".
Le esplosive dichiarazioni della Rice sono state, nel frattempo, smentite dal segretario della Difesa nordamericano. Leon Panetta ha garantito che qualsiasi azione militare contro la Siria presuppone l'appoggio delle Nazioni Unite, dal momento che, ha dichiarato, "gli USA non prevedono di realizzare un'azione militare senza una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU" (Lusa, 01.06).
Contorsionismi diplomatici a parte, già il 23 maggio l'agenzia di notizie israeliana Debka rendeva noto che gli oppositori siriani avevano cominciato a ricevere armi dagli USA. L'invio era stato approvato segretamente dopo che la Casa Bianca aveva concluso che, che dopo 14 mesi di tira e molla, era necessario fare dei passi avanti. E li ha fatti, inviando armi anticarro di ultima generazione e altro materiale di qualità e in quantità, assicura ancora questa fonte.
Queste informazioni acquistano maggiore consistenza con la denuncia fatta dal Washington Post la terza settimana di maggio, Secondo il quotidiano, che garantisce di avere verificato le informazioni pubblicate insieme ad alti responsabili del governo nordamericano e a diplomatici di altre potenze imperialiste, l'amministrazione Obama ha deciso di cambiare il suo livello di coinvolgimento nel conflitto, in particolare in relazione alla carattere sofisticato dell'armamento concesso all' "opposizione". Mantiene, nel frattempo, il contatto e la logistica attraverso i "paesi del Golfo". Il materiale sarà inoltrato a Damasco, Idleb, vicino alla frontiera turca e Zabadani, vicino alla frontiera libanese, sottolinea il Washington Post.
Nei primi giorni di maggio, Daniel Glaser, membro dell'amministrazione Obama con il suggestivo nome di Segretario del Tesoro per il Finanziamento del Terrorismo (Secretary for Terrorist Financing and Financial Crimes, NdT), ha trascorso 12 giorni visitando Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Israele e Emirati Arabi Uniti, incontrandosi con responsabili governativi e imprenditori (Prensa Latina, 03.05).
I preparativi per l'attacco non si fermano qui. Recentemente, attivisti siriani sono stati nel Kosovo per cercare di installarvi campi di addestramento, il che ha motivato la reazione dell'esecutivo di Mosca (Russia Today, 15.05).
L'agenzia israeliana Debka assicura anche che 12.000 militari di 19 nazioni, tra le quali gli USA, l'Arabia Saudita e la Giordania, ma pure "alleati europei" (l'Italia, NdT) hanno partecipato a esercitazioni militari nella regione. Un responsabile giordano ha chiarito che i giochi di guerra non hanno nulla a che vedere con la Siria e che la sovranità del paese viene rispettata, ma la verità è che il generale James Mattis ha chiesto a Barack Obama l'invio di un'altra portaerei nel Medio Oriente. La richiesta è stata soddisfatta (Russia Today, 29.05).
 Ad avvalorare le preoccupazioni di un'azione militare imperialista su larga scala, il 31 maggio Reuters informava che le riserve di petrolio degli USA sono aumentate per la decima settimana consecutiva e hanno raggiunto il maggior livello dal 1990, quando, ricordiamo, George W. Bush padre affilava i denti per la cosiddetta Prima Guerra del Golfo.

Invasione di droni nei cieli della Sicilia
di Antonio Mazzeo
12/06/2012
Droni, droni e ancora droni. Sarà intensissimo, in estate, il via vai di aerei militari senza pilota sui cieli siciliani. Decine di decolli ed atterraggi nella base USA e NATO di Sigonella che faranno impazzire il traffico aereo nel vicino scalo civile di Catania Fontanarossa. Grandi aerei spia del tipo Global Hawk e i Predator e i Reaper carichi di bombe e missili che sorvoleranno l'isola e solcheranno i mari, pregiudicando la sicurezza dei voli e delle popolazioni.
Le notificazioni ai piloti di aeromobili (NOTAM) emesse lo scorso 4 giugno lasciano presagire tragici scenari di guerra in Siria e nell'intero scacchiere mediterraneo e mediorientale. Tre riguardano lo scalo di Fontanarossa e sono distinti dai codici B4048, B4049 e B4050. Impongono la sospensione delle procedure strumentali standard nelle fasi di accesso, partenza e arrivo degli aerei, tutti i giorni sino al prossimo 1 settembre, "causa attività degli Unmanned Aircraft", i famigerati aerei senza pilota in dotazione alle forze armate statunitensi e italiane. "Le restrizioni sopra menzionate verranno applicate su basi tattiche dall'aeroporto di Catania", specificano i NOTAM. Che le operazioni dei droni riguardino la stazione aeronavale di Sigonella, lo si apprende da un altro avviso, codice M3066/12, che ordina la sospensione di tutte le strumentazioni standard al decollo e all'atterraggio nel Sigonella Airport, dal 4 giugno all'1 settembre 2012, "per l'attività di Unmanned Aircraft militari". Il grande scalo delle forze USA e NATO subirà inoltre "restrizioni al traffico aereo", nei giorni 19 e 20 giugno, per una vasta esercitazione aeronavale nel Mediterraneo. Gli ennesimi giochi di guerra alleati che potrebbero annunciare l'attacco finale al regime di Assad.
"Quelle oggetto nei NOTAM relativi all'aeroporto di Catania, sono di aerei militari senza pilota italiani o americani a Sigonella?", chiede l'Associazione Antimafie "Rita Atria" che per prima ha rilevato l'intensissima attività dei droni in Sicilia. "L'Amministrazione Obama usa questi velivoli anche per uccidere presunti terroristi e in queste missioni ci sono sempre i cosiddetti effetti collaterali: uccisioni di bambini, donne e uomini innocenti civili. Conta ancora qualcosa la volontà popolare in Italia? Noi non abbiamo dato mandato a nessuno in Parlamento di autorizzare gli aerei senza pilota a fare quello che vogliono in occasione di guerre come quella in Libia e in Afghanistan, volando nel nostro spazio aereo e ponendo gravi limitazioni al traffico aereo civile. Per questo dobbiamo mobilitarci contro i droni, per smilitarizzare i nostri territori e riprenderci la nostra sovranità che ci hanno dato i Padri Costituenti".
"Con la trasformazione di Sigonella in capitale mondiale degli aerei senza pilota e l'installazione a Niscemi del terminale terrestre del MUOS, il nuovo sistema satellitare della marina militare USA, la Sicilia diviene l'epicentro delle guerre globali e permanenti del XXI secolo", commenta Alfonso Di Stefano della Campagna per la smilitarizzazione. "Attualmente sono schierati a Sigonella due o tre Global Hawk dell'US Air Force. Entro il 2015, però, diverranno operativi l'AGS, il sistema di sorveglianza terrestre della NATO e il Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e i grandi aerei-spia saranno più di una ventina. Che ne sarà allora del traffico aereo civile nell'isola che già oggi è pesantemente limitato dalle spericolate operazioni belliche dei droni italiani e stranieri?".
Due anni fa, l'Aeronautica militare e l'ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) siglarono un accordo tecnico per l'attività di aeronavigazione nello spazio aereo italiano dei Global Hawk schierati a Sigonella nell'ambito dell'accordo Italia-Stati Uniti del 2008. Senza attendere una normativa europea che disciplini in via definitiva l'impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto nel sistema del traffico aereo generale, l'accordo ha consentito l'impiego dei droni nell'ambito di spazi aerei "determinati" e con l'adozione di procedure di coordinamento tra autorità civili e militari "tese a limitare al massimo l'impatto sulle attività aeree civili". All'Aeronautica militare è stata attribuita la "predisposizione degli spazi aerei necessari all'impiego operativo ed addestrativo dei velivoli militari a pilotaggio remoto", mentre l'Enac dovrebbe curare in coordinamento con l'Enav (ente nazionale per l'assistenza al volo) gli aspetti di gestione e controllo del traffico aereo generale.
Il testo del documento è simile a quello che era stato siglato nel novembre 2008 per le operazioni di volo dei Predator in dotazione al 32° Stormo Ami di Amendola (Foggia), utilizzati nella guerra in Afghanistan e più recentemente in Libia. Secondo gli accordi, i profili delle missioni, le procedure operative, le aree di lavoro e gli equipaggiamenti, dovrebbero essere stabiliti "nel rispetto dei principi della sicurezza del volo", anche se è poi precisato che in caso di "operazioni connesse a situazioni di crisi o di conflitto armato" l'impiego dei droni non può essere sottoposto a limitazioni di alcun genere. E questo nonostante i velivoli telecomandati rappresentino un rischio insostenibile per il traffico civile e le popolazioni che risiedono nelle vicinanze degli scali utilizzati per le manovre di decollo e atterraggio.
"Effettivamente il rateo d'incidenti dei sistemi aerei senza pilota (UAS) non è incoraggiante per poter essere ottimisti sui tempi di integrazione di questi sistemi nello spazio aereo nazionale", ammette il maggiore dell'aeronautica Luigi Caravita in una recente ricerca sui droni pubblicata per il Centro Militare di Studi Strategici (Cemis). "Da fonti ufficiali si apprende che nelle prime 100.000 ore di volo il tasso d'incidente del MQ-1 Predator ammontava a 28, oltre il doppio del cacciabombardiere F16. Altri sistemi a pilotaggio remoto come il Pioneer, l'Hunter e l'RQ-7 Shadow hanno invece un rateo di incidenti di almeno uno-due ordini di grandezza superiore".
"La mancanza di una capacità matura di sense & avoid (senti ed evita) verso altro traffico può diventare ancor più critica se associata alla vulnerabilità o alla perdita del data link tra segmento di terra e segmento di volo: in più di un occasione un Predator è stato perso a seguito d'interruzione del data link", aggiunge il maggiore Caravita. "Ad oggi gli UAS militari non sono autorizzati a volare, se non in spazi aerei segregati, perché non hanno una banda aeronautica protetta, non sono ancora considerati sufficientemente affidabili, non sono dotati di una tecnologia sense & avoid matura, non hanno ancora totalizzato un numero di ore di volo sufficiente da costituire un safety case rappresentativo e convincente, non è stata ancora dimostrata adeguata resistenza da attacchi di cyber warfare".
Analoghe considerazioni sono state fatte dal comando generale di US Air Force nel documento che delinea la visione strategica sull'utilizzo di questi sistemi di guerra(The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle - Strategic Vision). "I velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche", scrivono i militari USA. "Il rischio d'incidente del Predator e del Global Hawk è d'intensità maggiore di quello dei velivoli con pilota dell'US Air Force, anche se al di sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi sistemi".
In verità, gli incidenti che vedono protagonisti gli aerei senza pilota stanno crescendo in numero e gravità. In particolare si annoverano due collisioni nei cieli dell'Afghanistan, la prima nel 2004 tra un drone ed un Airbus 320 e più recentemente (agosto 2011) tra un aereo da trasporto militare C130 statunitense ed un RQ-7 Shadow. I Predator e i Reaper sembrano avere una certa predisposizione a perdere il controllo e precipitare rovinosamente al suolo o nei mari. E precipitano pure i Global Hawk: nel marzo 1999 un velivolo dell'US Air Force si è schiantato in California da un'altitudine di 12.500 metri dopo aver ricevuto un segnale spurio di "termine missione" dalla base aerea di Nellis. Ieri 11 giugno, è toccato a un dimostratore BAMS di US Navy ad essere inghiottito dalle acque del Nanticoke River, vicino l'isola di Bloodsworth, Maryland. Il velivolo, una versione modificata del Global Hawk RQ-4 operativo con l'aeronautica militare, era stato schierato nella stazione aeronavale di Patuxent River, nell'ambito del cosiddetto programma di sviluppo Broad Area Maritime Surveillance che prevede il trasferimento a breve di cinque aerei UAV di US Navy nella base di Sigonella.

Massacri attiraNato, Cuba, Miami, il Cns
di Marinella Correggia
09/06/2012
Come in un ritornello ogni giorno da mesi la più grande agenzia stampa del mondo - la Reuters- ritualmente travisa le dichiarazioni dell'Onu, pure non certo favorevoli al regime siriano. Facendo di tutto per indurre l'opinione pubblica mondiale ad accettare o meglio a chiedere un intervento armato in Siria, continua a ripetere che "secondo l'Onu" le forze di Assad hanno ucciso diecimila persone, e che, "secondo il governo di Damasco", sono stati uccisi anche 2.600 fra soldati e altre forze dell'ordine. In realtà la stessa Onu non si è mai espressa in questi termini, parlando sempre di "vittime della violenza in Siria"; dove con tutta evidenza gli scontri non sono fra un regime e manifestanti pacifici ma fra due (o più) parti armate, e a questi si aggiungono attentati e stragi.
Con questo depistamento quotidiano che vede Reuters in prima fila, di fronte a ogni nuovo massacro in Siria - l'ultimo nella località Al Kubeir, villaggio di Mazraf, regione di Hama, non è chiaro il numero dei morti ma fra di loro donne e bambini - nessuno si chiede a chi giovi, nessuno si chiede se non sia espressione di un tragico odio settario, o se ci siano squadroni della morte, e tutti continuano a dare per buona una sola delle due versioni: quella dell'opposizione armata e del Cns (Consiglio nazionale siriano) che continuano a chiedere interventi militari dall'esterno (questo ha ri-chiesto a Obama giorni fa un colonnello delle forze "ribelli" siriane, parlando da località non precisata all'Independent e ribadendo di aver rotto il cessate il fuoco. Del resto Qatar e Arabia Saudita, e gli occidentali, che sostengono l'opposizione anche armata, non hanno mai sostenuto davvero il piano di Annan).
I "ribelli" fanno davvero di tutto per attirare le bombe, o almeno ancora più aiuti. Il giornalista britannico Alex Thomson che è a capo dei corrispondenti di Channel 4 (non certo amica del regime: qualcuna ricorda il video fabbricato sui "medici siriani che torturano manifestanti feriti"?) sostiene che durante il suo viaggio in Siria i ribelli siriani lo hanno lasciato in una zona considerata terra di nessuno vicino al confine libanese, sperando che le forze del governo gli sparassero. Thomson ha scritto su un blog che una scorta ribelle ha guidato lui, il suo autista e il suo traduttore in un vicolo cieco in una "free-fire zone" vicino alla città di Qusair. Thomson sostiene che era "piuttosto chiaro che i ribelli ci avessero deliberatamente messo in posizione per essere bersagliati dall'esercito siriano", aggiungendo che se lui e i suoi colleghi fossero stati colpiti tale episodio si sarebbe rivelato uno strumento di propaganda per i ribelli. In una e-mail, Thomson ha scritto che "in alcun modo" è possibile scambiare i fatti di oggi per un incidente (LaPresse News, riportato da http://economia.virgilio.it/notizie/economia/siria_giornalista_gb_ribelli_volevano_farci_sparare_da_esercito,35227622.html
Forse occorrerebbero ascoltare i consigli di Cuba. L'isola ha una certa esperienza di lotta al terrorismo (del quale è stata vittima) e di opposizione alle guerre occidentali (nel 1990 fu l'unico paese, membro di turno del Consiglio di Sicurezza, a votare contro l'ultimatum all'Iraq). E il suo rappresentante permanente all'Onu, ambasciatore Rodolfo Reyes Rodriguez, il primo giugno durante la 19ma sessione speciale del Consiglio dei diritti umani (Cuba è membro di turno) ha parlato chiaro www.granma.cu/italiano/esteri/4-junio-intervento.html
. Ecco le sue parole: "Cuba condivide la preoccupazione per la perdita di vite innocenti in qualsiasi parte del mondo. In accordo con la posizione cubana di condanna del terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, abbiamo condannato gli attentati terroristici perpetrati contro il popolo della Siria, che hanno provocato decine di morti e centinaia di feriti, ma sui quali questo Consiglio per i diritti umani non ha detto una sola parola. (…) Cuba esprime la sua solidarietà con le vittime e i loro familiari per i fatti di El-Houlah (l'ultimo massacro non era ancora avvenuto, ndr), ma il più elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti interessate a promuovere la destabilizzazione e l'intervento militare straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli risorse, finanziando e armando un'opposizione che soddisfi le loro ansie di cambio di regime in questo paese. (…) Una guerra civile in Siria o un intervento di forze straniere seminerebbero una maggior distruzione e moltiplicherebbero i morti, destabilizzerebbero tutta la regione e avrebbero gravi conseguenze per i popoli del Medio Oriente. (…) Sono allarmanti i richiami di coloro che vogliono l'uso della forza, la violenza e l'intervento militare straniero in Siria e sono necessari più dialogo e una maggior volontà di negoziato. (…) La condotta di alcuni membri della NATO nella regione dell'Africa del nord e del Medio Oriente, i loro ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e il silenzio complice di fronte alle azioni d'Israele contro il popolo palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del dibattito che oggi ci occupa. (…) Per questo la nostra più ferma posizione è che l'investigazione che si deve realizzare sul massacro di El-Houlah dovrà essere seria, credibile, trasparente e senza pregiudizi e non dovrà essere inquinata da motivazioni politiche: questa sarà l'unica forma per conoscere la verità. (…) Il ruolo della comunità internazionale è appoggiare ogni sforzo che contribuisca alla salvaguardia della pace e della stabilità in Siria".
Va in ben altra direzione il patto stretto fra opposizione cubana e quella siriana, con un seminario al Biltmore Hotel di Coral Gables dell'1 all'8 maggio, scrive Jean Guy Allard (riportato su http://www.peacelink.it/sociale/a/36322.html
: "La Cia ha messo in atto un dispositivo di sabotaggio contro il piano di Annan e qualsiasi altro tentativo di pace in Siria. (…) Ricorrendo alla comunità cubano-americana che controlla a Miami, e agli oppositori siriani che vivono nello stesso territorio, i servizi di intelligence degli Stati Uniti hanno tentato di collegare Cuba ai disordini in corso in Siria, come "rivela" un dispaccio da Miami dell'agenzia di stampa spagnola Efe sui "dissidenti siriani e cubani che stanno creando un fronte per combattere Castro e El-Assad".
L'ultimo massacro a al Kubeir è un fatto. Ma dovrebbe essere considerato un fatto importante anche chi l'ha fatto, alla vigilia di una riunione all'Onu e a due settimane da quando un altro massacro è stato attribuito dal coro mondiale all'esercito e a forze paramilitari. Il poligono (di tiro) dei buoni ha già emesso il verdetto. Le tivù internazionali trasmettono video e interventi di "testimoni" del massacro e ne chiamano altri al telefono: questi accusano esercito e shabiha (gli ormai famosi "miliziani pro-Assad") di bombardamenti ed esecuzioni. Un uomo curiosamente precisa che nel villaggio "non c'erano mai state manifestazioni contro il regime". E proprio il regime ne avrebbe ordinato la morte…
Però la tivù privata siriana Addunia ha intervistato http://www.youtube.com/user/SyriaTruthNetworkEN?feature=watch
il medico legale che esaminando i corpi degli uccisi ha stabilito il momento probabile del decesso: quattro o cinque ore prima che le forze armate arrivassero sul luogo e ingaggiassero scontri con i gruppi armati, dopo essere state chiamate dagli stessi abitanti. Alla tivù siriana alcuni degli abitanti della fattoria al Qubeyr e del villaggio di Maarzaaf hanno detto: "i terroristi armati hanno attaccato il villaggio alle dieci di mattina di mercoledi (6 giugno) sgozzando i bambini e le donne, il che ci ha spinti a fuggire al di fuori del villaggio". Un'altra testimone ha affermato che gli uomini armati hanno terrorizzato gli abitanti del villaggio e li hanno scacciati dalle loro terre, distruggendo i loro raccolti agricoli, saccheggiandoli, e sgozzando i bambini e le donne.
Quanto al massacro di al Houla (due settimane fa), un giornalista russo della Anna News che si trovava nella zona durante il massacro ha raccontato quanto segue: "alle due di notte fra il 25 e il 26 maggio un grosso gruppo di armati catturano la cittadina di al Houla dopo averla attaccata da nordest. Vengono da Ar-Rastan, da Farlaha, da Akraba e da al Houla e sono aiutati da gangster locali. Una volta presi i checkpoint nel centro della cittadina, uccidono membri di famiglie non schierate con l'opposizione e fra queste molte del gruppo Al-Sayed, fra i quali 20 bambini; e la famiglia degli Abdul Razzak, usando coltelli e pistole. Poi l'opposizione accusa l'esercito. Durante l'attacco, gli armati perdono 25 uomini"

  Se la guerra è alle porte di casa
di Sergio Cararo 12/06/2012
Prosegue la campagna "Mediterraneo mare di guerra" della Rete dei Comunisti per comprendere e combattere il nesso tra crisi e guerra. L'escalation in Siria, la minaccia di guerra nucleare all'Iran, gli esiti non positivi della stagione delle rivolte arabe, scuotono quello che l'Europa considera "il cortile di casa" e gli Usa un'area di interesse strategico.
Mercoledì ad Aversa e venerdi a Bologna, si terranno altre due iniziative della campagna "Mediterraneo mare di guerra" che la Rete dei Comunisti sta promuovendo in questi mesi nel tentativo di rimettere al centro dell'agenda politica le conseguenze del nesso tra crisi e guerra, in particolare nell'area mediterranea-mediorientale. La campagna ha inteso e intende coinvolgere altre realtà politiche o personalità che in questi anni - e soprattutto in questi mesi - non hanno esitato a schierarsi contro l'escalation della guerra umanitaria con cui l'alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie del Golfo, stanno cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente e del Mediterraneo Sud. Interessi convergenti e prospettive divergenti convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze imperialiste dell'occidente e le potenze che paiono governare l'islam politico.
"Una sorta di compromesso storico" lo definì in modo lungimirante due anni un comunista libanese. E' difficile non vedere il nesso tra l'invasione/disgregazione della Libia, l'escalation in Siria, la repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). "Evolution but not revolution" aveva decretato il Dipartimento di Stato Usa come sbocco obbligato della Primavera Araba. Ma da queste responsabilità è impossibile tenere fuori l'imperialismo europeo, in particolare di Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno condiviso l'aggressione alla Libia ed oggi condividono lo stessa prospettiva per la Siria.
I movimenti che si oppongono alla guerra in questi mesi hanno dovuto fare i conti con due difficoltà. La prima è stata la rimozione della questione guerra dall'agenda politica dei movimenti o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come quella in Libia e la subordinazione nella lettura della crisi e della guerra civile in Siria. Le iniziative che ci sono state, seppur minoritarie, hanno però ostacolato l'arruolamento attivo di alcuni settori pacifisti nella guerra umanitaria creando una polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla capitolazione politica, culturale e internazionalista.
La seconda difficoltà è stata quella di una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea) e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione/competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Concertazione quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati deboli, competizione quando si tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari. L'alleanza - non certo inedita - tra potenze occidentali e potenze dell'Islam politico ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare l'analisi e l'azione politica.
La campagna "Mediterraneo mare di guerra" in qualche modo intende socializzare alla discussione (e ad una azione politica conseguente) l'elaborazione che la Rete dei Comunisti ha costruito in questi anni sul versante di una analisi aggiornata dell'imperialismo del XXI° Secolo e del suo agire concreto dentro le contraddizioni deflagranti e ormai evidenti del mondo in cui abbiamo vissuto fino ad oggi. L'Europa, nella sua dimensione di Unione Europea come polo imperialista, ha perso la sua innocenza e sta ben dentro una partita tragica che ha avuto come prime vittime i popoli del Maghreb e del Medio Oriente e adesso si sta scatenando sulle classi popolari dell'Europa mediterranea, quella che i grandi gruppi capitalisti definiscono non senza manifesto disprezzo i Piigs. La guerra dentro questo scenario ormai ci sta tutta sia come distruzione di capitali in eccesso, sia come guerra valutaria ed infine come guerra guerreggiata. C'è urgenza di discutere tutto questo.
 
Occidente cerca risposta contro appoggio russo a Siria  
Damasco, 12 giu (Prensa Latina) L'attacco mediatico contro il popolo siriano pianificato dalle potenze occidentali per il venerdì 15 è una risposta alle posizioni della Russia di raggiungere un accordo pacifico della crisi in Siria, considerano oggi gli analisti.
Mezzi di stampa siriani ed internazionali hanno denunciato una presunta trama pianificata dagli Stati Uniti ed i loro alleati per provocare azioni violente ed il rovesciamento del governo del presidente siriano, Bashar al-Assad, attraverso la manipolazione mediatica.
Secondo gli attori occidentali, nella crisi bisogna fare un cambiamento della storia, o in altre parole, il processo di destabilizzazione che doveva aprire la strada ad un intervento militare della NATO appoggiato dall'ONU è terminato in un fallimento.
Il canale Addounia divulgò che gli organizzatori della campagna mediatica contro Siria scelsero il prossimo 15 giugno per occultare i mezzi televisivi locali negli spazi che occupano con le loro trasmissioni via satellite con altri prefabbricati.
In realtà, la gerarchia della Lega Araba, dominata dalla petrol-monarchia del Golfo Persico, oggi acerrima nemica di Damasco, ha proposto di occultare le trasmissioni dei canali siriani dai satelliti Nilesat ed Arabsat, precisamente il 15 giugno.
Quando questo succederà, secondo la fonte, invece dei canali siriani si vedranno trasmissioni pirata, mostrando il popolo attaccando le installazioni del governo ed elementi virtuali della caduta del presidente Al-Assad.
Se succedesse quello che si annuncia per il prossimo venerdì, giorno della preghiera musulmana, questo dimostrerebbe che Washington disattese avvertenze lanciate da Mosca, e che presumibilmente hanno l’appoggio della Cina, sulle implicazioni della crisi nello scatenamento di un conflitto mondiale.
In realtà, è un'intensificazione della guerra mediatica fino ad estremi mai visti prima. Il presidente Vladimir Putin ha assicurato che Siria è la linea rossa che Occidente non deve oltrepassare e non è stato casuale l'ampio spiegamento del potere militare russo osservato nei giorni recenti in atti pubblici e la prova di proiettili balistici per confermare una superiorità in questo terreno, definitivo di qualunque conflitto tra le grandi potenze.
Il giornalista ed investigatore francese, Thierry Meyssan, segnala che Mosca ha appena proposto la creazione di un Gruppo di Contatto con Siria che riunirebbe nel suo seno tutti gli Stati implicati, cioè, tanto i paesi vicini come le potenze regionali ed internazionali.
Si tenta di creare un forum di dialogo invece dell'attuale dispositivo bellico instaurato dagli occidentali sotto la denominazione della Conferenza degli Amici della Siria”, ha affermato.
Per alcuni commentatori politici, se la Casa Bianca e suoi alleati occidentali proseguono cercando risposte all'iniziativa di Mosca per una sistemazione pacifica della crisi, potrebbero dover affrontare decisioni che i russi sembrano disposti ad assumere, perfino al prezzo di un conflitto maggiore.
Ig/lb


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