Parte 1
Il 18 gennaio 2013, mentre l'Organizzazione delle Nazioni Unite per
l'Alimentazione e l'Agricoltura (in inglese FAO) ha da poco pubblicato il suo
rapporto annuale [1], il suo ambasciatore Marcelo Resende de Souza visita in
Venezuela un mercato di Valencia (Stato di Carabobo), accompagnato dall'allora
vicepresidente Nicolás Maduro. "Possediamo tutti i dati sulla fame
nel mondo - dichiara. Ottocento milioni di persone soffrono per fame; 49
milioni in America latina e nei Caraibi, ma nessuna in Venezuela perché qui la
sicurezza alimentare è assicurata".
Stranamente, passati appena quattro mesi, avendo la malattia portato via Hugo
Chávez ed essendo stato eletto capo dello Stato il suo ex-vice-presidente, il
quotidiano (e portavoce ufficioso delle multinazionali spagnole) El País intona
tutta un'altra canzone: "La penuria mette in
difficoltà Maduro" [2].
Certo, la penuria riguardava principalmente, in quel momento, la carta igienica
(che, nelle settimane successive diventerà un appassionante argomento di
dissertazione per i piscia-copie del mondo intero), ma, dice El País, si
aggiunge a "un'assenza ciclica (…) di farina, polli, deodoranti, olio di
mais, zucchero e formaggio (…) nei supermercati"
Così esordisce mediaticamente ciò che diventerà "la peggiore crisi
economica" conosciuta da questo paese, "potenzialmente uno dei più
ricchi al mondo", a causa della sua "dipendenza dall'oro nero",
del "calo del prezzo del barile di petrolio" e dello "sperpero
del governo". Mentre i portavoce dell'opposizione incolpano di ciò
l'eccessivo intervento dello Stato, la regolazione "autoritaria" dei
prezzi, l'impossibilità che ne consegue per l'impresa privata di coprire i suoi
costi di produzione, la mancanza di valute concesse dal potere per importare
materie prime e prodotti finiti, la penuria diventa cronica, i reparti dei
supermercati desolatamente vuoti, le file in attesa interminabili, il
"mercato nero" onnipresente. "In Venezuela, il ribasso del
petrolio fa divampare i prezzi dei preservativi" potrà ben presto titolare
Le Figaro (17 febbraio 2015). Anche i medicinali diventano introvabili,
attizzando l'angoscia e le sofferenze della popolazione.
Una tale situazione ha di che commuovere gli umanitaristi del mondo intero.
"Se c'è una crisi umanitaria importante, ovvero un cedimento
dell'economia, al punto che loro [i venezuelani] abbiano disperatamente bisogno
di alimenti, di acqua e di cose simili, allora potremmo reagire", annuncia
alla CNN, il 28 ottobre 2015, il capo del Comando sud dell'esercito degli Stati
Uniti , (Southern Command), il generale John Kelly, in risposta agli
appelli "disperati" della "società civile" venezuelana. Fin
da 2014, mentre il Tavolo di unità democratica (MUD) chiamava al rovesciamento
del capo dello Stato, lanciando l'operazione "La Salida"
("l'uscita"), una delle sue dirigenti, María Corina Machado, aveva
tracciato la via: "Certi dicono che dobbiamo aspettare le elezioni fra
qualche anno. Ma chi non riesce a dar da mangiare ai suoi bambini può aspettare?
(…) Il Venezuela non può più aspettare!". La violenta sequenza sovversiva
fallisce, ma si chiude con 43 morti e oltre 800 feriti. Ed i venezuelani
continuarono a trovare ogni giorno difficoltà sempre più insopportabili per
rifornirsi.
Il 6 dicembre 2015, al momento delle elezioni legislative, avendo le
preoccupazioni, le privazioni e il malcontento eroso il morale dei cittadini di
ogni parte, il chavismo perde 1.900.000 voti e diventa minoritario in
parlamento. Invertendo i termini dell'equazione, la grande internazionale
neoliberale celebra questo trionfo della "democrazia" sul
"caos". Sottomessi a un'informazione scelta e raccolta per rinforzare
questa visione a priori, ben pochi, in particolare all'estero, hanno
consapevolezza che questa vittoria si è fondamentalmente adagiata sul torpore
della "rivoluzione bolivariana", con una destabilizzazione economica
simile a quella utilizzata negli anni 1970 in Cile contro Salvador Allende.
Denunciata a suo tempo dai progressisti (più organizzati, lucidi e coraggiosi
all'epoca rispetto a oggi) quest'ultima fu confermata ufficialmente,
trentacinque anni più tardi, dalla declassificazione di ventimila documenti
provenienti dagli archivi segreti del governo degli Stati Uniti. Per la
"crisi venezuelana", si può sperare quindi di vedere cessato lo
scollamento tra discorso mediatico e realtà tra circa tre decenni. Cosa che,
purtroppo, arriverà un po' tardi per la comprensione degli avvenimenti e la
difesa urgente, sulla terra di Bolivar, di una democrazia particolarmente
minacciata. Ma permetterà probabilmente a quelli che oggi, per vendere
giornali, chiudono intenzionalmente gli occhi o deviano vilmente lo sguardo, di
pubblicare e commentare con indignazione queste "stupefacenti
rivelazioni".
Niente di nuovo sotto il sole, pertanto. In materia di "destabilizzazione
economica" con sbocco in un colpo di Stato, il Cile dell'Unità popolare (4
settembre 1970, 11 settembre1973), resta evidentemente un riferimento
indiscusso. Niente di più chiaro dell'ordine dato da Richard Nixon alla Central
Intelligence Agency (CIA): "Make the economy scream!" (fate
urlare - di dolore - l'economia). Così come la moltiplicazione delle misure di
ritorsione messe in atto contro Santiago: blocco dei beni e averi cileni negli
Stati Uniti, sparizione di macchine e pezzi di ricambio per le miniere, manovre
a livello internazionale per impedire il consolidamento del debito cileno,
pressioni sul corso del rame, sequestro-arresto delle esportazioni di questo
metallo verso l'Europa... Nel 1972, a causa delle misure sociali e dell'aumento
del potere di acquisto, il consumo popolare aumenta considerevolmente.
Sospendendo la messa in vendita delle scorte, trattenendo le merci, le imprese
private provocano deliberatamente problemi di rifornimento. File d'attesa
interminabili si formano all'entrata dei negozi. La maggior parte dei beni di
prima necessità - fra cui l'inevitabile carta igienica! - non si trovano che al
mercato nero. Il quotidiano cileno "di riferimento", El Mercurio, si
rallegra: "Il socialismo è penuria". Casseruole vuote alla mano,
migliaia di oppositori si radunano nelle strade. Il 25 luglio 1973,
abbondantemente "innaffiata" con 2 milioni di dollari dalla CIA, la
potente federazione dei camionisti dichiara un sciopero illimitato e immobilizza
il proprio parco di automezzi pesanti per impedire agli alimenti di giungere
alla popolazione. In pochissimo tempo, al generale Augusto Pinochet non resterà
che intervenire per porre termine al crollo della "economia
socialista".
Le difficoltà del popolo costituiscono un costante fermento di rivolte.
Tecniche che seguono la stessa filosofia erano state già utilizzate contro
Cuba. Prendendo atto che non si poteva contare su un sollevamento popolare per
rovesciare Fidel Castro, il sottosegretario di Stato americano agli affari
internazionali Lester D. Malory consigliava nel suo rapporto del 6 aprile 1960:
"Il solo mezzo ipotizzabile per ridurre il sostegno interno passa per il
disincanto e lo scoraggiamento basato sull'insoddisfazione e le difficoltà economiche
(…) Tutti i mezzi per indebolire l'economia di Cuba devono essere utilizzati
rapidamente (...) allo scopo di provocare la fame, la disperazione e il
rovesciamento del governo". Il 3 febbraio 1962, allo scopo di strangolare
l'isola, John Fitzgerald Kennedy annuncerà la messa in atto dell'embargo -
attualmente sempre in vigore. Senza esito in questo caso, eccettuate le inutili
sofferenze inflitte al popolo cubano.
Vent'anni dopo Cuba con Fulgencio Batista, il Nicaragua sandinista si
sbarazzava nel 1979 del suo dittatore, Anastasio Somoza. Nel momento in cui si
dovevano tenere le prime elezioni libere, il 4 novembre 1984, e mentre le
truppe controrivoluzionarie - i "contras" - finanziate, addestrate ed
equipaggiate dagli Stati Uniti, tormentavano il paese dopo quelli vicini di
Honduras e Costa Rica, agenti delle forze speciali americane minavano le acque
dei porti nicaraguensi. Numerose navi furono danneggiate facendo aumentare i
premi assicurativi e spingendo le navi commerciali straniere a evitare quella
destinazione, colpendo pesantemente l'economia per la riduzione drastica delle
importazioni e delle esportazioni. Obiettivo raggiunto! "La penuria al
cuore delle elezioni", titola Libération, il 2 novembre 1984:
"Al mercato nero si può praticamente acquistare tutto, a condizione di
mettere il prezzo: 65 cordobas due pile per radio (prodotto raro), 160 il tubo
di dentifricio. L'occupazione principale di alcune centinaia di
"gufi" consiste nel procurarsi dollari al mercato nero (circa dieci volte
il tasso ufficiale) poi partire per rifornirsi in Costa Rica o Guatemala. I
prodotti sono quindi rivenduti fino a venti volte il prezzo ufficiale sui
banchi [del mercato] de "l'Oriental" di Managua. (…) La
statalizzazione economica si rafforza di giorno in giorno. (…) I partiti di
opposizione affermano che i problemi di approvvigionamento hanno
costituito il tema più mobilitante [enfasi nostra]. "
Il fatto che i nicaraguensi non fossero caduti nella trappola e che il
sandinista Daniele Ortega malgrado tutto fu eletto presiede della Repubblica
con il 67% dei voti, spinse Washington a raddoppiare gli sforzi imponendo al
Nicaragua un embargo commerciale totale nel 1985. Questa aggressione militare
ed economica aggravò di molto la situazione. Il paese si indebiterà, arenandosi
in una gestione di sopravvivenza, fino a cedere "vinto dalla fame e dalla
guerra" al momento delle elezioni presidenziali del 25 febbraio 1990.
In Venezuela, se Hugo Chávez ha evocato il concetto di "guerra
economica" fin da 2010, il primo a teorizzarla, nel 2013, è stato Luis
Salas. La fonte di ispirazione iniziale di questo ricercatore del Centro
strategico latino-americano di geopolitica (Celag), fugace ministro
dell'economia nel 2016, è sorprendente: lontano dagli esempi latino-americani
precedentemente citati, egli spiega di avere fondato l'inizio della sua
riflessione sul lavoro Aspetti politici del pieno impiego [3]
che l'autore polacco Michal Kalecki (1899-1970) scrisse basandosi
sull'esperienza vissuta... in Francia, sotto il Fronte popolare. "Dice
che, da un punto di vista marxista convenzionale, non si può comprendere ciò
che è accaduto. Perché, paradossalmente, durante i suoi tre anni, attraverso i
rialzi salariali e l'aumento dei consumi, così come la crescita registrata, il
governo di Léon Blum aveva permesso un arricchimento degli imprenditori e dei
commercianti".
Ora, anche supponendo che questi abbiano ogni interesse a che un governo,
attraverso il pieno impiego, aumenti il potere d'acquisto della popolazione,
questo tipo di politica pone al capitale un problema fondamentale. "Per i
padroni, il pieno impiego rende la manodopera più cara e i lavoratori meno
docili, meno disposti ad accettare un impiego qualunque. Tra gli altri
inconvenienti, il capitale non può più giocare sulla minaccia del
licenziamento. Peraltro, il governo Blum aveva cominciato ad assumere numerose
funzioni che normalmente appartenevano ai padroni, come la distribuzione degli
alimenti. Il loro potere poggiava su questo...". Politica a breve termine,
il problema diventa economico a lungo termine. "Il loro potere, in quanto
classe, poteva essere spostato". La stampa di destra si scatenò allora
contro i "mascalzoni col berretto" che approfittavano delle ferie
pagate; finanzieri e industriali specularono e trasferirono i loro capitali
all'estero. Il seguito appartiene alla storia di Francia. Ma presenta di fatto
alcune similitudini con ciò che accade in Venezuela dove, stimandosi
minacciato, il "mondo dell'impresa" partecipa attivamente al
sabotaggio dell'economia.
"Nel 2013, quando Maduro è arrivato al potere, ricorda Salas, la legge sul
lavoro, l'ultima firmata da Chávez [il 30 aprile 2012], era appena stata
approvata. E questa legge, sebbene non alteri la relazione capitale/lavoro,
crea un nuovo rapporto che complica il dominio sui lavoratori. Concede la
stabilità salariale, riduce la durata del lavoro a quaranta ore settimanali,
sanziona i licenziamenti ingiustificati, rende le vacanze obbligatorie, crea
dei vantaggi nuovi, ecc. Da allora, padronato e commercianti hanno affinato le
loro tecniche per sbarazzarsi di Maduro".
"Affinare" è un eufemismo, perché non erano degli esordienti. Nel
2001, dopo la firma di 49 decreti-legge emblematici - legge sugli idrocarburi,
legge sulla terra e lo sviluppo agrario, legge sulla pesca, ecc. -, e
soprattutto, dal 2002, dopo il fallimento dell'effimero colpo di Stato
americano-militare-mediatico-padronale d'aprile, Chávez stesso ha dovuto
fronteggiare questo tipo di destabilizzazione. Dal 2 dicembre 2002 al 9
febbraio 2003, mentre i suoi alti quadri dirigenti paralizzavano la compagnia
petrolifera PDVSA e il paese affondava, vittima non di uno "sciopero
generale" ma di una "serrata" padronale, gli alimenti ed altri
beni di prima necessità sparirono dai "barrios". È l'epoca in cui, nello
Stato di Zulia, si potevano vedere i produttori di latte gettare nei fiumi
milioni di litri del loro prodotto per generare la penuria.
Particolarmente colpita e apertamente spinta a rivoltarsi, come fece,
spontaneamente, all'epoca del "caracazo" nel 1989 [4], la popolazione
modesta, base sociale del chavismo, mantenne il sangue freddo, senza cadere
nella provocazione. Al termine di una battaglia di 63 giorni, il
"comandante" riprese il controllo, ma la paralisi dell'attività
economica era costata 20 miliardi di dollari al paese e una risalita
spettacolare della povertà - passata da 60% nel 1997 a 39% nel 2001, raggiunse
il 48% nel 2002, quindi il 55,1% nel 2003. Quasi 590 000 lavoratori,
principalmente donne, si ritrovarono senza lavoro dal 2001 al 2003; le morti
per denutrizione aumentarono del 31%.
La ripresa del controllo di PDVSA [compagnia petrolifera statale venezuelana,
ndt] e l'indirizzamento degli introiti petroliferi al finanziamento delle
politiche sociali permetterà di rovesciare la situazione (il 21,2% di povertà
nel 2012), fino all'attuale fase di destabilizzazione.
Così, dunque, a credere alle vulgate in voga, da quando la crisi finanziaria
internazionale ha orientato al ribasso il corso del petrolio nel 2008, la
rendita non basta più a coprire la spesa per le importazioni. Stupendo, no?
Dopo essere arrivato ai vertici a metà 2008 (150 dollari il barile), l'oro nero
è certo ridisceso a 38 dollari nel 2015, prima di oscillare tra 21 e 24 dollari
nel 2016, ma si vendeva a... 7 dollari il barile nel 1998, al momento
dell'arrivo al potere di Chávez. E nessuno si ricorda di avere visto all'epoca
lunghe file in attesa davanti dai luoghi di commercio, dai chioschi fino ai
supermercati.
Qualcuno potrebbe obiettare che, in una situazione di povertà di massa, i
venezuelani consumavano molto meno all'epoca che oggi (che è vero!). Ma questa
obiezione la fanno in pochi perché sarebbe evidentemente un omaggio reso
implicitamente dal vizio alla virtù. Ma ad ogni modo, con un petrolio risalito
nel 2017 a quota 40 dollari, la teoria della popolazione "sul ciglio della
carestia" a causa di un "paese in fallimento" esce malconcia
dalla riflessione (per poco, certo, che ci sia una riflessione).
Cominciamo dall'inizio - secondo il portavoce ufficiale ed ufficioso del
padronato, il governo non concede alle imprese i dollari necessari
all'importazione e alla produzione - e tentiamo di analizzare la situazione...
Il 95% delle valute del paese proviene dall'esportazione del petrolio. Questa
situazione strutturale data 1920, anno in cui è stata approvata la prima legge
sugli idrocarburi e dove si è stabilito il meccanismo attraverso cui lo Stato
trattiene una parte, più o meno importante secondo i periodi, della rendita
petrolifera. Dall'inizio del XX secolo, la borghesia si è ingegnata per
riappropriarsi di questa rendita scambiando i suoi bolivar contro dollari e
utilizzandoli essenzialmente per importare - cosa che non presenta alcun
rischio e non richiede investimento. Ne risulta che, per tornare al periodo attuale,
il 10% delle esportazioni non petrolifere del Venezuela sono costituite da
prodotti minerali (26%), chimici (45%), di plastica e gomma (3%), di metallo
(10%), tutti prodotti dalle... imprese pubbliche. Il contributo del settore
privato, in media, non supera l'1% del totale delle esportazioni [5].
Non è dunque il petrolio che costituisce un problema, ma il fatto che se le
valute si trovano inizialmente e quasi totalmente nelle mani dello Stato, è
perché il settore privato, autoproclamatosi motore di un'economia
"dinamica" ed "efficace", si è limitato (nel migliore dei
casi) a fornire l'importazione per il mercato interno, prendendo un comodo
margine dalla transazione, e non partecipando quasi all'incremento della
ricchezza nazionale. Piuttosto che nell'investire, la preoccupazione sta nel
riprendere il gruzzolo e utilizzarlo a proprio profitto.
Una volta stabilito questo quadro globale, si cercherà l'errore: da quando nel
2003 è stato instaurato un controllo dei cambi per evitare la fuga dei
capitali, le imprese private hanno ricevuto dello Stato 338,341 miliardi di
dollari per l'importazione di beni e di servizi. Nel 2004, quando hanno potuto
disporre a questo fine di 15,75 miliardi di dollari, non si è constatata alcuna
penuria. Nel 2013, mentre la somma attribuita è quasi raddoppiata, raggiungendo
30,859 miliardi di dollari, i principali beni essenziali spariscono [6]. Si
deve parlare di magia? Forse, ma in questo caso di magia nera.
Se la crisi economica mondiale e l'abbassamento dei prezzi del petrolio hanno
evidentemente un ruolo nella degenerazione della situazione, essi non sono in
nessun modo la causa principale. La convinzione dei neoliberali nazionali e
internazionali che bisognava approfittare della morte di Chávez per dare
"il colpo di grazia" alla " rivoluzione bolivariana" ha
incontestabilmente segnato il punto di svolta verso l'organizzazione del
disastro. Da allora, secondo Pascualina Curcio, professore di scienze
economiche all'Università Simón Bolivar, si articolano quattro fenomeni: una penuria
programmata e selettiva dei beni di prima necessità; un'inflazione
artificialmente provocata; un embargo commerciale camuffato; un blocco
finanziario internazionale. Ai quali si aggiungerà, da aprile 2017, la violenza
insurrezionale sostenuta da Stati Uniti, i loro alleati regionali (Argentina,
Brasile, Messico) e dall'Unione europea, santificata dai commissari politici
dei media. Quella che alcuni chiamano "guerra di quarta generazione".
Nel 2004, mentre erano importati beni alimentari per 2,1 miliardi di dollari,
ciascuno poteva nutrirsi in condizioni normali. Nel 2014, con 7,7 miliardi, un
aumento del 91% - sapendo che, dal 2004, il governo concede dollari a un tasso
preferenziale per l'acquisto dei beni essenziali - sugli scaffali dei negozi e
dei grandi magazzini non si trovavano più né burro, né olio, né farina di mais
precotta, né riso, né latte in polvere, né mais alimentare, né latte
pastorizzato, né carne di manzo, né formaggio, né maionese, né zucchero, né
caffè. In compenso, abbondano le bevande gassose, i biscotti, i dolci,
leccornie e altri prodotti zuccherati, le conserve esotiche, i surgelati
sofisticati. Cosa che lascia dubbi sulla curiosa "crisi umanitaria"
di cui il mondo intero ha sentito parlare.
Il 20 maggio 2016, Agustín Otxotorena, un imprenditore basco non
particolarmente "chavista" residente a Caracas, stanco di rispondere
ai suoi amici e parenti che, dalla Spagna, si allarmavano per la sua salute in
un paese afflitto da una carestia simile a quelle che colpiscono la Somalia o
l'Etiopia, si è deciso a pubblicare sulla sua pagina Facebook una serie di
fotografie particolarmente edificanti prese negli stabilimenti commerciali dei
settori delle classi media e superiore dell'est e del sud-est di Caracas, i
feudi dell'opposizione.
"Se hai del denaro - scrive - c'è del whisky invecchiato 18 anni, del rum
venezuelano squisito, del champagne francese, della vodka russa o svedese,
delle caramelle belghe, delle carni saporite, delle aragoste, dei vestiti di
marca, dei ristoranti esclusivi, delle discoteche spettacolari, delle spiagge
con gli yacht, dei club di golf ed ippici, dei campi da tennis e di calcio, e
tutto un paese dentro ad un altro paese, dove non ci sono poveri, dove le donne
e i bambini sono biondi, vanno nei collegi esclusivi, nelle università
esclusive, e si divertono a Isla La Tortuga o nell'arcipelago di Los Roques, là
dove gli unici Neri o poveri sono i servitori, il personale dei servizi o della
sicurezza", prima di concludere (e in maiuscolo): "SONO STANCO DELLE
MENZOGNE! [7]"
Da qui la domanda che ciascuno, a patto di non essere un giornalista, si pone
necessariamente: perché c'è penuria di certi prodotti e non di altri, perché
degli alimenti sono così difficili da ottenere e altri no? Perché la frutta e
la verdura, per esempio, non sono scomparse?
Note
1. « Panorama de la Seguridad Alimentaria y Nutricional en América Latina
y el Caribe 2012 », FAO, Rome, 2012.
2. Alfredo Meza, « El desabastecimiento acorrala a Maduro », El
País, Madrid, 16 mai 2013.
3. Essai initialement publié en 1943 dans le Political Quarterly, fondé
à Londres en 1930 par Leonard Woolf (époux de Virginia Woolf).
4. Révolte populaire brutalement réprimée par le gouvernement du
social-démocrate Carlos Andrés Pérez – 3 000 morts – en février 1989, à la
suite d'un ajustement structurel imposé par le Fonds monétaire international
(FMI).
5. Pascualina Curcio, « Mitos sobre la economia venezolana », 15
y ultimo, Caracas, 17 juin 2017.
6. Pascualina Curcio, La Mano visible del Mercado. Guerra económica en
Venezuela, Editorial Nosotros Mismos, Caracas 2016. De nombreux
chiffres mentionnés dans cet article proviennent de cette étude. Voir également
sur le Web : « Venezuela : tout comprendre sur l'inflation et
les pénuries », Venezuela Infos, 29 mai 2017.
8. Voir : https://www.youtube.com/watch?v=p447jwE7lac
Parte 2
Contrariamente a un'idea ampiamente diffusa, il settore agricolo ha subito una
profonda trasformazione. "Coloro che lo hanno conosciuto prima della legge
sulle terre del 2001", ha dichiarato l'ex ministro dell'Agricoltura Iván
Gil, "sanno che è un settore costituito da lavoratori agricoli che
lavorano per grandi aziende. Da allora l'ascesa sociale dei contadini è stata
spettacolare". Dal 2001 sono stati regolarizzati più di 7 milioni di
ettari – avendo i contadini ottenuto i titoli di proprietà - e 3,5 milioni di
ettari prelevati dal "latifondo". Un milione di nuovi ettari sono
stati messi in produzione [1]. Questo, naturalmente, non risolve tutti i
problemi. "Dopo una crescita sostenuta fino al 2008, il paese ha sofferto
una siccità disastrosa dal 2008 al 2010, ha cominciato a riprendersi dal 2011,
per ottenere una produzione significativa nel 2013 e nel 2014, quindi le
difficoltà nel 2015 e nel 2016 poiché l'agricoltura è molto sensibile alle
variazioni economiche nazionali. Sono quelli che dipendono dai fertilizzanti e
da fattori produttivi importati che soffrono di più". I grandi proprietari
tradizionali che sentiamo lamentarsi.
Tuttavia, grazie agli investimenti di Chávez, il mondo agricolo è quello che
regge meglio la guerra economica. Infatti, sono i piccoli produttori nazionali
che riforniscono il paese di prodotti alimentari.
Se tra i cibi che scompaiono ci sono i venti alimenti più consumati dai
venezuelani, sono quelli prodotti dal settore agroindustriale, dove il capitale
controlla la tecnologia e la trasformazione delle materie prime in prodotti
elaborati. "Oltre ad essere molto consumati - osserva Curcio - la loro
produzione e distribuzione sono concentrate in poche mani: quelle dei monopoli
e degli oligopoli nazionali e internazionali". Vale a dire solo il 10%
delle aziende private, ben sapendo che il potere di queste ultime è ancora più
grande quando si tratta di prodotti molto difficili da sostituire, come ad
esempio alimenti e medicinali. Oppure, in un altro settore, i pezzi di ricambio
per veicoli, macchinari e attrezzature.
Gli studi quantitativi dimostrano che sia la produzione che il consumo dei
prodotti assenti nel mercato sono rimasti relativamente stabili dal 2012.
Inoltre, le importazioni totali nel 2014, in piena crisi delle "guarimbas",
sono state del 91% superiori rispetto al 2004. "C'è un trucco!",
potrebbe dire qualcuno.
In questo Venezuela ormai deprivato di tutto, tonnellate di cibo e di altri
prodotti giacciono negli hangar, da dove sono diretti verso canali illegali. Ci
accontenteremo qui di una manciata di esempi raccolti quotidianamente dalla
stampa venezuelana - inclusa quella d'opposizione. Il 18 ottobre 2013 (qualche
settimana prima delle elezioni municipali dell'8 dicembre) a Maracaibo, la
polizia bolivariana ha sequestrato 10 tonnellate di zucchero, 3,5 tonnellate di
riso, 1,5 tonnellate di farina di grano, 4.500 litri di olio, ecc., nascosti in
un deposito del grande supermercato Súper tienda Caribe. Il 5 febbraio 2014,
nel Táchira, un'operazione dei servizi è riuscita a recuperare da parecchi
hangar... 939,2 tonnellate (!) di alimenti di prima necessità sovvenzionati
dallo Stato e sottratti al mercato (648 tonnellate di riso, 246 di zucchero, 37
di grano, 2 di burro, 54.000 litri di olio, 300 chili di caffè, ecc.).
L'arrivo di altre merci è stato opportunamente sabotato. Il 14 luglio 2016, nel
porto di La Guaira, grazie all'avvio della "Grande missione di
approvvigionamento sicuro", un'ispezione ha permesso di scoprire 81
container abbandonati. Destinati tanto a imprese private quanto ad
amministrazioni pubbliche, erano pieni di prodotti per l'igiene personale,
computer, stampanti, fertilizzanti per l'agricoltura e prodotti chimici
necessari alla produzione di medicinali.
Il 31 agosto 2016, 57 tonnellate di carne, pollo e pesce, in decomposizione
sono state trovate presso le strutture di Biangi Mar e di Avicomar C.A.,
situate a Los Teques (Stato di Miranda). Lo stesso fenomeno si è verificato nel
mese di giugno, quando Distribuidora y Procesadora de Huevos Ovomar C.A. ha abbandonato
in una discarica di Santa Cruz (Stato di Aragua) tre milioni di uova stoccate
dall'ottobre precedente.
Casi estremi gli ultimi tre, giacché i circoli padronali hanno tratto lezioni
dallo "sciopero generale" del dicembre 2002-gennaio 2003. In quell'occasione,
mentre si erano registrati i livelli storicamente più bassi di produzione dal
1999, il settore pubblico aveva visto diminuire i propri ricavi del 12% e
quello privato del... 15%. Ed era quest'ultimo che, al momento, più soffriva
del suo brillante sabotaggio dell'economia!
Non si deve ripetere lo stesso errore. Le merci che erano scomparse dal mercato
per rendere impossibile la vita della popolazione dovevano tuttavia
ricomparire, ma dopo mille deviazioni, mille tormenti e a un prezzo allucinante.
Un ritorno alla legge della giungla. Sottratti su larga scala dal mercato
formale, i prodotti a prezzo regolamentato finiscono nelle mani di quelli che
vengono chiamati "bachaqueros", rivenditori informali che, nelle
strade, nei mercati comunali, nei luoghi più improbabili, vendono le materie
prime gonfiando i prezzi – cosa che, come effetto collaterale, fa crescere
l'inflazione. I grandi imprenditori hanno dato l'esempio, i subalterni seguono
la scia. Sia per spirito lucro che per ragioni puramente politiche, le piccole
imprese, farmacie, piccoli supermercati si gettano in questo traffico. Per
aumentare i profitti, deviano le loro merci al "bachaqueo", per poi
alzare le braccia al cielo dinanzi ai consumatori lamentando ritardi nelle consegne
o mancanze dovute al governo.
Per definizione, su disordini di questo tipo, si innesta e proliferano le
mafie. Mentre code impossibili si formano sin dall'alba davanti alle
saracinesche dei negozi, gruppi di delinquenti organizzati appaiono al momento
dell'apertura e occupano con forza le prime posizioni o fanno passare prima i
loro "protetti", che poi si dedicheranno loro stessi al
"bachaqueo". Tutto sotto l'occhio talvolta impassibile delle forze
dell'ordine - polizia municipale, nazionale o guardia nazionale.
Che una parte della popolazione povera si dedichi all'acquisto massiccio di
beni di prima necessità per poi rivenderli ai poveri a prezzi moltiplicati per
cento, lascia abbastanza esterrefatti. I quindici anni di pedagogia
rivoluzionaria del defunto Chávez non hanno prodotto frutti? "Ci ha anche
sorpreso", ci confida uno dei nostri interlocutori. "È necessario uno
studio sociologico per capire perché questa lebbra si sia sviluppata, allorché
un certo numero di bisogni oggettivi della popolazione erano stati risolti.
Questo fenomeno, iniziato localmente, avrebbe dovuto essere trattato
immediatamente come un problema di ordine pubblico. È stato sottovalutato, gli
è stato permesso di crescere e, mentre la crisi economica si aggravava, ha
fatto sempre più adepti, poiché la gente ha visto in questa attività un mezzo
per aumentare il proprio reddito. Ma in un primo momento non era spontaneo. C'è
stata una deliberata intenzione di sabotare le reti della distribuzione".
E solo quelle. "Le cifre fornite dalle stesse aziende private dimostrano
che la produzione alimentare non è diminuita", osserva Curcio. E' il caso
del precotto di farina di mais, l'alimento più solitamente consumato dai
venezuelani. Dal 2013, si trovano ad affrontare le più estreme difficoltà per
ottenerlo. Tuttavia, statisticamente, il suo consumo rimane ai livelli
abituali. E sia Alimentos Polar - il primo produttore alimentare del paese, ma
che non produce un ettaro del cereale in questione - che le aziende che si
spartiscono il restante 50% del mercato hanno mantenuto i loro livelli di
importazione/produzione. Comportamento che si ripete per tutti gli alimenti
fuori portata a causa del "disapprovvigionamento".
Così, l'8 gennaio 2017, la polizia era in grado di sequestrare 3 tonnellate di
farina di mais precotto in un residence di Barcellona (capitale dello Stato di
Anzoátegui). Denunciati dai vicini esasperati, i due speculatori arrestati,
recidivi, rivendevano questa merce diventata introvabile a dieci volte il suo
valore a prezzo regolamentato.
Il 17 marzo 2017, in Avenida Baralt, nel centro di Caracas, il panificio di
Maison Bakery è occupato da un gruppo di abitanti del distretto, poi requisito
dallo Stato. Per un certo tempo i clienti avevano chiesto che i prezzi
regolamentati fossero rispettati. Lo stabilimento riceveva la farina
sovvenzionata, ma offriva ai consumatori - quando accadeva - solo pagnotte più
piccole, passate da 180 a 140 grammi per lo stesso prezzo.
Con gli Stati Uniti, il Canada e l'Argentina, il Venezuela è il paese del continente
che consuma più pane, dunque grano, cereale che, a causa del suo clima e della
sua storia, praticamente non viene prodotto. Chi importa il grano dai mercati
internazionali? Lo Stato venezuelano. Una volta giunto nei porti, attraverso
Casa, una società pubblica, il grano è fornito a dodici impianti per la
macinazione privati - i quattro più importanti dei quali controllano il 78% del
mercato: la multinazionale Cargill (27%), la messicana Monaca (26%), Mocasa
(15%) e Molvenca (10%).
Il presidente di Cargill Venezuela, Jon Ander Badiola, presiede anche la Camera
venezuelano-americana di commercio e dell'industria (Venamcham), che, come
suggerisce il nome, rappresenta gli interessi delle società statunitensi nel
paese; su Monaca, va ricordato che il sindacato dei suoi dipendenti ha
presentato una denuncia nell'aprile 2016 e chiesto un'indagine sulla sorte di
550 tonnellate di grano presente negli inventari della società, ma non trovato
nei magazzini; il presidente di Mocasa, Giovanni Basile Passalacqua ha il
dubbio privilegio di apparire nei "Panama Papers" per due dei suoi
affari, Gold Lake LLC e Diamond Lake LLC, registrati nel paradiso fiscale del
Nevada (Stati Uniti); Molvenca appartiene al multimilionario italiano Giuseppe
Sindoni [2]. Tutti ardenti "difensori del popolo", chiaramente.
"La verità è che non abbiamo materie prime", dichiarava lo scorso
marzo José Sanchez, portavoce di Fevipan, la federazione del settore. "Il
Venezuela ha bisogno di 120.000 tonnellate di farina al mese. Il governo ci fornisce
solo 30.000 tonnellate". Segue quindi il refrain universalmente noto:
"Purtroppo non ha la valuta necessaria per acquistare la farina di cui il
paese ha bisogno".
Naturalmente c'è verità e verità. Succede, a volte e puntualmente, che il
Venezuela manchi di questa materia prima, è un dato di fatto. "Il governo
ha annunciato ieri che è in procinto di comprare il grano dalla Russia",
ci è stato detto il 19 maggio. "E' interessante. Tuttavia, il problema non
è la quantità importata, ma come viene distribuita la farina dopo la
trasformazione". In realtà, è durante questo passaggio che viene
organizzata la scarsità. Sviando le tracce e mantenendo in apparenza le mani
pulite, gli impianti per la macinazione di cui sopra delegano a terzi la
distribuzione della merce ai subappaltatori. La maggior parte delle diecimila
panetterie del paese non viene rifornita regolarmente. Altre, con forte potere
economico e legate a certe mafie, ricevono più merce del necessario, rivendendo
a un prezzo elevato, ma con una tempistica del tutto casuale, parte del loro
superfluo a quelli che ne sono privi. D'altra parte possiamo vedere - come
abbiamo visto – sulle vetrine di un certo numero di rivendite cartelli con su
scritto "Non c'è pane". Curiosamente, i loro banchi sono ricolmi di
torte, brioches, "cachitos" (pane farcito di prosciutto e formaggio),
sandwich e pizze. Venduta a prezzo più caro, questa produzione secondaria
compensa le perdite dovute alla mancata produzione del pane tanto atteso dalla
popolazione. Popolazione che vede la sua vita trasformarsi in calvario, tra
privazioni o tempo trascorso in fila.
Da qui l'annuncio del presidente Maduro, lo scorso marzo, dell'apertura di un
centinaio di panetterie popolari, sotto la responsabilità dei Comitati locali
per l'approvvigionamento e la produzione (CLAP).
Note
1. Ciò si riflette nei risultati elettorali: mentre il Chavismo è
indietreggiato nelle città, il sostegno alla rivoluzione resta intatto nel
settore rurale.
2. Misión Verdad,
Caracas, 13 febbraio 2017.
Parte 3
Dai leader dell'opposizione ai (ben pasciuti!) prelati della Conferenza
Episcopale Venezuelana, attraverso il segretario generale dell'Organizzazione
degli Stati Americani (OAS), il grande amico di Washington Luis Almagro, si
alza uno stesso grido: si deve urgentemente aprire un "canale
umanitario" per consentire al paese l'approvvigionamento di materiale e
prodotti medicali. Secondo Freddy Ceballos, presidente della Federazione
farmaceutica del Venezuela, il debito dello Stato verso il settore sarebbe enorme:
più di 5 miliardi di dollari. Di conseguenza, le scorte di farmaci disponibili
corrispondono solo il 15% delle necessità.
Nel maggio 2012, sotto Chávez, gli stessi attori avevano già denunciato un
taglio del 42% delle valute nel settore sanitario; nel 2013, annunciavano un
livello di scarsità del 40%; nel 2014 del 60%, nel 2015 del 70%. Al che, dopo
aver esaminato i numeri e le statistiche, Pasqualina Curcio ha notato:
"Ciò non corrisponde al livello delle importazioni registrate (...) e
ancor meno ai rapporti finanziari annuali delle grandi corporazioni
transnazionali responsabili dell'importazione di tali prodotti".
Queste "grandi corporazioni" ricevono valuta a tassi di cambio
preferenziali, acquistano i prodotti all'estero e li vendono in bolivar tanto
al Sistema sanitario pubblico nazionale (SPNS) che alle imprese private. Mentre
dal 2003 al 2014 l'importazione di prodotti farmaceutici ha conosciuto un
aumento del 463%, Henry Ventura, ex ministro della Sanità e attuale direttore
della Scuola di Medicina Salvador Allende, cifre alla mano , riportava a
gennaio: "Nel 2004 i laboratori hanno ricevuto 608 milioni di dollari
senza alcun problema di scarsità". D'altra parte, nulla accade quando
ottengono "un totale di 3,2 miliardi di dollari nel 2013 e 2,4 miliardi
nel 2014 [1]". Ragion per cui, un anno fa, allora deputato, aveva già
esortato il procuratore della Repubblica Luisa Ortega a indagare "dal
momento che non si trovano più farmaci da nessuna parte". Però senza
grandi risultati, sembra.
"Alcune delle grandi corporazioni responsabili dell'importazione del 50%
dei prodotti farmaceutici in Venezuela non hanno registrato perdite, riduzione
dei profitti o calo delle vendite nel corso del 2015 - nota Curcio - non più
che nel 2012, 2013 e 2014". Considerazione difficilmente contestabile come
confermato nel suo libro sui rapporti finanziari delle imprese in questione -
Abbott Laboratories C.A., Productos Roche, Novartis de Venezuela S.A., Bayer
S.A., Pfizer Venezuela S.A., Sanofi-Aventis de Venezuela S.A., Merck S.A., ecc.
[2].
Il 2 settembre 1973, nove giorni prima del colpo di stato di Pinochet, i cileni
potevano leggere sul quotidiano Clarín: "'Grazie al lavoro volontario, il
sabato e la domenica e al lavoro notturno, aumenteremo la produzione di siero di
cui il nostro paese ha bisogno', dicono unanimemente i 45 lavoratori dei
Laboratori Sanderson, unico produttore di questo farmaco vitale in Cile",
mentre il loro sindacato, riferendosi alla penuria creata artificialmente da
questo monopolio, aggiungeva: "Noi affermiamo dinanzi all'opinione
pubblica che il nostro movimento legittimo (...) vuole difendere il potere
esecutivo allorché intenda requisire le imprese che boicottano la produzione e
che sono vitali e strategiche per il paese" [3].
Il confronto non calza? Nel giugno 2017, in Venezuela, i rappresentanti della
Federazione dei lavoratori dell'industria chimica farmaceutica (Fetrameco)
hanno accusato i laboratori Calox, Leti Vargas, Behrens e Cofasa di ridurre la
loro produzione di farmaci prioritari per la popolazione. Da parte sua, Richard
Briceño, dei sindacato dei laboratori Calox, denunciava: "Usano la materia
prima per la fabbricazione di prodotti veterinari e abbandonano lo sviluppo di
farmaci essenziali [4]".
A partire dal febbraio scorso, a seguito di un'inchiesta dei servizi segreti,
più di sei tonnellate di medicinali e materiale chirurgico sono stati
sequestrati in due case a Maracaibo (Stato di Zulia). Importati grazie ai
dollari preferenziali, erano destinati al contrabbando, così come le enormi
quantità deviate verso la Colombia.
Niente è più demoralizzante per chiunque che l'essere privato di ciò che rende
la vita degna di essere vissuta - sapone, deodorante, shampoo, dentifricio o
crema da barba. Quattro grandi aziende controllano il mercato dei prodotti per
l'igiene in Venezuela: Procter & Gamble, Colgate, Kimberly Clark e Johnson
& Johnson. Secondo i loro rapporti finanziari annuali, compresi quelli del
2015, non si segnalano perdite o riduzioni delle vendite. Tra il 2004 e il
2011, Johnson & Johnson ha ricevuto dal governo circa 2,8 milioni di
dollari al mese; nel 2014, ha intascato 11,6 milioni per lo stesso periodo,
quattro volte più di quanto riceveva di solito: tutti i suoi prodotti mancano
nei luoghi di abituale approvvigionamento.
Nel 2014, Procter & Gamble ha ricevuto 58,7 milioni di dollari a tasso
preferenziale, 5,3 volte più rispetto a quanto ricevuto tra il 2004 e il 2011
(11 milioni di dollari). Pur menzionando le difficoltà e le incertezze dovute
ai tassi di cambio (e talvolta irregolarità), le sue relazioni annuali non
registrano né cali delle vendite, né perdite operative in Venezuela [5]. A
luglio 2015, con i consumatori in pieno caos, la società pubblicava questo
comunicato: "Negli ultimi anni la compagnia ha compiuto importanti
investimenti nel paese destinati ad aumentare la capacità produttiva locale e
per offrire innovazioni nei nostri prodotti. Di conseguenza, la nostra capacità
di produzione locale è aumentata di oltre il 50% e ora godiamo di una
preferenza assoluta fra i consumatori venezuelani, che ha reso i nostri marchi
leader delle categorie in cui competono [6]".
Per quanto riguarda la carta igienica, verrà offerto un soggetto di inchiesta
ai giornalisti affascinati da questo argomento e che hanno difficoltà a
rinnovarsi: nel 2014 la società responsabile della sua importazione e
distribuzione, Kimberley Clark de Venezuela, ha ricevuto il 958% in più di
valute rispetto a quelle assegnatele tra il 2004 e il 2011. Si potrebbe anche
suggerire un titolo: "Chi ha rubato i rotoli?". Un'altra indagine:
come mai in tutti i ristoranti, dalla più modesta "cantina" alla
struttura più lussuosa, passando per gli innumerevoli "fast food", si
trovano su tutti i tavoli, a profusione, le salviette di carta?
Come quello di Chávez, il governo di Maduro sarebbe caratterizzato da una
violenta ostilità verso il mondo degli affari. Come prova si adduce
l'approvazione di una legge organica sui "prezzi equi" nel 2011
(Chávez), con cui il potere impone un massimale sui prezzi dei bei di prima
necessità, e la fissazione nel febbraio 2014 (Maduro) di un margine di profitto
massimo del 30% sui beni e sui servizi venduti, che rovinerebbero i
commercianti. Nessuno produce o lavora, i prezzi sono ora inferiori ai costi di
produzione.
Guardata da un altro punto di vista, non si può dire che l'occupazione della
catena Daka nel novembre 2013 fosse totalmente ingiustificata: dopo aver
ottenuto oltre 400 milioni di dollari di denaro pubblico dal 2004 al 2012 per
importare elettrodomestici a basso prezzo, questa catena presente a Caracas,
Punto Fijo, Barquisimeto e Valencia sovraccaricava fino al 1000% il prezzo dei
suoi prodotti. Per quanto riguarda i problemi dei magazzini di elettronica e
audiovisivi Pablo Electronica con le autorità, sono cominciati nello stesso
momento in cui si è scoperto un aumento ingiustificato, dal 400 al 2.000%, dei
prezzi.
Creazione del chavismo nel 2003, i controlli sono stati a lungo limitati ai
prodotti di prima necessità. Oltre alla lotta contro usurai e speculatori, l'obiettivo
di Maduro era di limitare l'inflazione (la più alta dell'America Latina).
Le piccole o medie imprese hanno effettivamente dei problemi perché sono in
concorrenza, in un contesto iper-speculativo, contro potenti rivali, molto
spesso dei veri monopoli. Ma più in generale, l'analisi dei dati di qualsiasi
azienda, ovunque essa operi nel mondo, permette di constatare che il margine di
profitto medio [rapporto tra guadagno e fatturato, ndt] si situa non al 30%, ma
a circa il 10% o l'11% . Per ogni capitalista, questo è un buon risultato. Gli
economisti neoliberali, costretti ad ammettere che i margini di profitto in
Venezuela sono alti, obiettano che è "a causa del rischio" -
argomento teorico della speculazione.
Di quarantadue merci immesse sul mercato da Polar , solo quattro hanno un
prezzo "regolamentato": farina di mais, riso, olio e pasta. Tuttavia,
prima delle elezioni presidenziali dell'aprile 2013, la sua produzione, e non
solo i prodotti, è diminuita del 37%; al momento de "La Salida"
(2014), del 34%; prima delle elezioni legislative di dicembre, del 40% [7].
Per importare, come abbiamo visto, i commercianti devono comprare i loro
dollari dal governo. Nessuno negherà che il complesso processo burocratico o il
cambiamento di regole costituiscano un mal di testa per un individuo di normale
costituzione [8], né che la massa totale della valuta estera da concedere sia
diminuita, cosa che ha causato - o meglio accentuato - un mercato parallelo in
cui la valuta statunitense è scambiata al di sopra del tasso ufficiale.
Nel dicembre 2012, un dollaro era scambiato legalmente contro 4,30 bolivar e,
al tasso parallelo, contro 10 Bolivar. Nel 2013, si è registrato un aumento da
6,30 bolivar a corso legale a 20 sul mercato nero. Negli ultimi due mesi del 2014,
il dollaro "libero" è stato 28 volte superiore al dollaro
"governativo". Alla vigilia delle elezioni legislative del 6 dicembre
2015 raggiunge il culmine a quasi 900 bolivar per dollaro, un aumento di 8.900%
in soli due anni! Attualmente si attesta a 5.000 bolivar (contro i 10 del corso
ufficiale).
In assenza di valute ottenute attraverso meccanismi statali, chi cerca un
valore rifugio acquista dollari sul mercato nero. Da parte loro, alcuni attori
economici - soprattutto le piccole imprese - sono costretti a rivolgersi
anch'essi a questo mondo parallelo. Una volta che la loro merce viene
acquistata all'estero, stabiliscono il loro prezzo di vendita: salari, costi
fissi e l'importo della fattura in dollari riconvertiti in bolivar, ma secondo
il tasso di cambio proibitivo, facendo esplodere il valore finale del prodotto
. In questo caso, è legittimo attribuire una parte della responsabilità
dell'esplosione dei prezzi "alla crisi" e a un governo superato dagli
eventi.
Tuttavia, il fenomeno non si chiude qui, il che renderebbe gli effetti
relativamente limitati. Peggiora quando gli importatori maggiori, pur avendo
ricevuto valute a tassi preferenziali, calcolano i loro prezzi... in funzione
del tasso illegale. Per l'esplosione dei loro profitti illeciti, per la più
grande disgrazia del consumatore, che vede crollare il potere d'acquisto.
Sapendo inoltre che molte aziende, quando ricevono cinque dollari dal potere,
ne utilizzano solo uno per l'importazione e speculano con gli altri quattro su
questo mercato mafioso. Il loro "business" non è quello di fornire
cibo al paese, ci è stato detto, ma "acquistare e vendere dollari, con il
pretesto di acquistare cibo".
Le difficoltà diventano sicuramente non risolvibili per le autorità quando,
invece, il tasso di cambio parallelo esplode perché manipolato.
Su questo famoso mercato, il tasso di cambio ha registrato una costante
tendenza al rialzo dal 1999 al luglio 2012. Ma, da una media del 26%, questa
variazione annuale si impenna dal 2012 al 2015, raggiungendo il 223% (423% tra
2014 e 2015), influenzando il consumo finale ed i processi produttivi. "I
cambiamenti più importanti - ricorda Curcio nel suo libro - sono stati
registrati nell'ottobre 2012 (presidenza Chavez), dicembre dello stesso anno
(elezione dei governatori dei 24 Stati del paese), aprile 2013 (nuova
presidenza) e dicembre 2013 (elezioni comunali)". A partire dalla fine del
2013, l'aumento sarà sostenuto e sproporzionato fino al gennaio 2016 (le
elezioni legislative perdute dal chavismo nel dicembre 2015).
"Il valore della moneta sul mercato illegale – denuncia Curcio - non
corrisponde a nessun criterio economico né alle variabili associate, non
corrisponde alla realtà, ma obbedisce a un'intenzione politica che ricerca la
destabilizzazione attraverso la distorsione dei mercati e dell'economia in
generale".
Lo strumento di questa guerra (non davvero) invisibile si chiama Dollar Today
(DT).
(continua)
Note
1. El Universal, Caracas,
29 janvier 2017.
2. La Mano
visible del Mercado. Guerra económica en Venezuela, op. cit
(pages 101 à 106).
3. Miguel González Pino et Arturo Fontaine, Los mil días de Allende, Centro de
Estudios Públicos, Santiago, 1997.
4. Últimas Noticias, Caracas,
6 juin 2017.
5. P & G, 2015, Annual Report.
6. « Comunicado de P & G », La Patilla, Caracas, 30 juillet 2015.
7. El Telégrafo, Quito,
19 novembre 2016.
8. Nel corso del 2013, si è passati da due tassi di cambio (uno ufficiale e uno
sul mercato nero) a quattro (tre ufficiali e uno sul mercato nero).
Parte 4
Il valore della moneta americana annunciato ogni mattina attraverso questo sito
web sin dalla sua creazione nel 2010 è diventato "il" riferimento per
chi vuole acquistare dollari sul mercato nero (e per chi li vende). In quale
modo i creatori di Dollar Today stabiliscono il prezzo della moneta? Sulla base
della variazione sui tassi praticati dagli uffici di cambio di... Cúcuta (città
di frontiera, lato colombiano)!
Tale bizzarria ha origine nella "résolution numéro 8" emanata dalla
Banca della Repubblica (la banca centrale colombiana) il 25 maggio 2000,
durante il governo di Andrés Pastrana. Di conseguenza, se questa stabilisce la
parità del peso, sua moneta nazionale, con il bolivar, essa consente agli
operatori di confine, al di fuori di ogni controllo, di fissare i propri tassi.
Cosa che fanno, manipolandoli arbitrariamente e in modo sproporzionato.
Ci sono diverse centinaia di questi uffici di cambio legali e illegali a
Cúcuta. In virtù di un'altra legge colombiana altrettanto sorprendente, questi
uffici possono eseguire qualsiasi transazione senza riferire alle autorità di
vigilanza, a condizione che siano inferiori a 10.000 dollari - meccanismo utile
per riciclare il denaro del narcotraffico.
È dunque questa mafia che, teoricamente, alimenta i dati di Dollar Today. I
suoi funzionari vivono, come si conviene, a Miami, dove svolgono la loro
attività. Il più famoso di questi è Gustavo Díaz. Ex militare, ha partecipato
al colpo di stato del'11 aprile 2002 contro Chavez e fu nominato vice capo
dell'ufficio militare (Casa Militar) durante il breve "governo" del
presidente de facto Pedro
Carmona. Espulso dall'esercito, nel 2005 ha chiesto asilo politico negli Stati
Uniti e naturalmente lo ha ottenuto.
Esaminando questa configurazione mafiosa, si impone una conclusione: è con il
sostegno di Washington e delle autorità di Bogotá che è stata messa in atto
questa distorsione economica, permettendo di svalutare artificiosamente la
moneta venezuelana e di aumentare l'inflazione (720% nel 2016, dati FMI). Il 10
luglio 2015, l'economista e analista politico Tony Boza ha spiegato che DT non
è una pagina web, "ma il meccanismo che la Colombia ha inventato per
aggredire l'economia venezuelana; è un atto di guerra; è l'equivalente di un
Plan Colombia, economico, contro il Venezuela [1]". Intervistato lo scorso
giugno, Luis Salas dice la stessa cosa: "Per riuscire a posizionarsi come
tasso di cambio di riferimento, sono necessarie capacità organizzative e di
comunicazione che una pagina web, di per sé, non ha".
Cosa che Gustavo Díaz conferma a modo suo. Mentre la Banca centrale del
Venezuela accusa i responsabili di DT di ricadere sotto i colpi della legge
federale americana Racketeer Influenced and Corrupt Organizations (RICO), egli
afferma: "Il nostro timore è che ci sia un processo, che si conoscano così
tutte le persone che lavorano con noi e che il governo [venezuelano] possa
attaccarle direttamente. C'è molta gente dietro di noi [2]".
Storicamente, sugli oltre 2.300 chilometri di frontiera comune, gran parte
della vita "sociale" venezuelano-colombiana si è basata sul
contrabbando. Un contrabbando "tradizionale", simile a quello
osservabile in qualsiasi area di confine, indipendentemente dal continente.
Ovviamente si entra in un traffico di natura diversa, allorché se ne rileva
l'ampiezza, quando 12.210 tonnellate - 12.210 tonnellate! - di beni alimentari,
di cui sono crudelmente lasciati sprovvisti i venezuelani vengono intercettate
al confine, tra gennaio e novembre 2014, da parte delle forze della Commissione
nazionale per la lotta al contrabbando. Per una tonnellata recuperata di questo
"contrabbando d'asportazione", quante giungono a destinazione (con la
complicità in un certo numero di casi, di guardie nazionali o militari
venezuelani)? Dato il loro prezzo sovvenzionato in Venezuela, il valore di
latte, zucchero o... della carta igienica, può essere moltiplicato per dieci
arrivando da paesi vicini.
Nel 2016, tra 8.000 e 22.000 litri di benzina illegali sono stati sequestrati
quotidianamente prima che giungessero a destinazione. Può essere accusata la
differenza abissale del prezzo di vendita tra i due paesi. Ma, ancora una
volta, il governo colombiano ha una responsabilità diretta per il saccheggio
organizzato della ricchezza del Venezuela. Dal 10 agosto 2001 la legge
(colombiana) 681 autorizza i "piccoli importatori di benzina" - come
vengono definiti! - a distribuire il combustibile a margine della società
nazionale Ecopetrol. Meglio: rendendo legale il contrabbando di combustibile,
Ecopetrol si riserva il diritto di acquistare benzina a un prezzo ridotto.
Il 3 maggio 2016, dopo 5.087 ispezioni in oltre 1.500 stabilimenti privati, ma
anche pubblici, di distribuzione alimentare e di beni di prima necessità in
tutto il paese, il Difensore civico Tarek William Saab dichiara pubblicamente:
"Abbiamo riscontrato molti atti illeciti, con la sospetta complicità di
funzionari e individui legati a imprese private. La giustizia deve agire con
forza e applicare la legge con rigore".
Il 14 agosto, il quotidiano Ultimas Noticias, l'editorialista Eleazar Díaz
Rangel inveiva:" In due settimane, ci hanno detto in un rapporto della
Grande missione di approvvigionamento sovrano, abbiamo arrestato settanta
bachaqueros in questa zona [di Petare; distretto della capitale] (...) Che si
sappia, nessuno è stato incriminato anche se ha commesso crimini menzionati
nella Costituzione nella Legge sui prezzi equi. Non siamo a conoscenza di
alcuna condanna. (...) Non capiamo questa contraddizione. Se non possiamo
esigere che i banconi siano forniti e che la produzione aumenti, penso che, sì,
dovremmo poter mostrare i risultati delle sanzioni inflitte ai colpevoli di
questi delitti previsti dalla nostra Costituzione".
La corruzione? Esiste. Troppo. E a tutti i livelli, anche tra i
"chavisti". Le storie abbondano di commercianti stranieri che devono
trattare con i "Señores 10%" per ottenere un mercato o fare affari
nel paese. Nei porti, non è raro che alcuni doganieri, militari o funzionari
richiedano la loro decima per far sbarcare i cargo. "Se gli importatori
cercano di sfuggire alle tangenti - denuncia Luis Peña, direttore delle
operazioni di Premier Foods, la cui sede si trova a Caracas -, gli alimenti
rimangono lì a marcire".
Qui, assistiamo al rinvio a giudizio di un ex manager del Fondo
sino-venezuelano per presunta appropriazione indebita di 84 milioni destinati
alla produzione di alimenti nel 2011 e nel 2012. La, è l'ex presidente e
responsabile dell'impresa mista socialista Leguminosas del Alba, Oscar Pérez
Fuentes, che è stato incriminato per la sua responsabilità nel contrabbando di
120 tonnellate di fagioli secchi (maggio 2016). Laggiù, a Miami, il 18 luglio
2014, il "boliborghese" Benny Palmeri-Bacchi è stato fermato
all'aeroporto da agenti della Drug Enforcement Administration (DEA). Accusato
di traffico di cocaina e riciclaggio di denaro, apparteneva al comitato
direttivo della Camera degli imprenditori venezuelani del Mercato comune del
Sud (Mercosur) e possedeva, tra il sud della Florida e il Venezuela, una mezza
dozzina società di importazione di alimenti.
A Miami, appunto, e nelle ricche città che la circondano, si concentra anche la
più grande comunità dei venezuelani della diaspora, soprattutto esuli
"anti-chavisti" con conti bancari in alcuni casi alimentati a colpi
di traffici, tangenti e bustarelle. La delinquenza non ha colore né ideologia.
"Boliborghesi" e borghesi tradizionali lavorano senza difficoltà mano
nella mano.
Il 26 maggio 2014, il deputato Ricardo Sandino, presidente della Commissione
finanze e sviluppo economico dell'Assemblea nazionale, allora dominata dal
Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), informava i suoi colleghi che
l'ex Commissione di amministrazione delle valute (Cadivi) aveva approvato lo
sblocco di 20 miliardi di dollari per importazioni mai giunte nel paese. Nel
giugno del 2014, dopo essere stato rimosso dal governo, Jorge Giordani, che da
ministro della Pianificazione e delle Finanze di Chavez, ha regnato sulla vita
economica venezuelana dal 1999 al 2014, denunciava che per il solo anno 2012,
25 miliardi di dollari erano stati rubati e sperperati attraverso i meccanismi
delle valute.
Nel febbraio 2016, accompagnato da Héctor Navarro, ex ministro espulso dal PSUV
nel 2014, alzerà il tiro evocando la somma di 300 miliardi di dollari deviati
in dieci anni attraverso l'importazione fittizia e la pratica della
sovrafatturazione. Peccato che non abbia approfittato di questo scandalo per
fare autocritica sulla sua parte di responsabilità e di certo non fornisce
alcuna prova utile a smascherare e rintracciare i delinquenti.
Più stravagante sarà la recente dichiarazione in conferenza stampa del
Procuratore della Repubblica Luisa Ortega quando, dopo aver rotto con il
potere, affermerà in tono minaccioso, dopo aver accusato il presidente Maduro
di "crimini contro l'umanità" per la repressione delle manifestazioni
e la convocazione di un'Assemblea costituente, di avere tra le mani
"36.124 indagini per casi di corruzione [3]". Senza cadere in facili
polemiche, ci domandiamo: com'è possibile che così pochi casi siano stati giudicati
durante la sua carica - è stata nominata nel 2007 - e il motivo per cui abbia
fatto questa dichiarazione sensazionale dopo essersi unita alle file
dell'opposizione e non prima?
In realtà, questa corruzione endemica partecipa all'anarchia della distribuzione
dei beni essenziali e al saccheggio dello Stato. Tuttavia, essa non dovrebbe
essere considerata l'alfa e l'omega della crisi, imputata per definizione al
defunto Chávez o al presidente Maduro. Interrogato sulle famose "società
fittizie" ("empresas
de maletín"), l'economista Luis Salas risponde: "In un
mio lavoro ho dimostrato che, con il controllo dei cambi, le società fittizie
create da chavisti o da altri esistono. Ma se esaminiamo la contabilità delle
divise emesse dal governo tra il 2003 e il 2012, ci rendiamo conto che sono
state monopolizzate dalle grandi imprese, dai monopoli, Polar, Cargill, dai
laboratori farmaceutici, dalle aziende automobilistiche... Grosso modo, le
aziende fittizie che non hanno importato nulla e che intercettano il denaro
rappresentano il 10% della valuta estera concessa. La grande frode è quella
delle transnazionali. La destra pone l'accento sulle 'empresas de maletín' per
nascondere questa responsabilità" [4].
Attraverso vari meccanismi, la sovrafatturazione esiste, per citarne solo una.
Ad esempio, quando le transnazionali acquistano propri prodotti e la società
madre applica all'estero prezzi gonfiati. Nel 2012, ultimo anno della gestione
Chávez, le importazioni sono state appena di un quinto superiori rispetto al 2003
in termini materiali, per tonnellata o per chilogrammo. Però, sono costate
cinque volte di più. "Questo significa che, anche se importiamo quasi la
stessa cosa, la crescita non è stata in quantità ma nei prezzi. In un contesto
globale di deflazione! Il livello di domanda di valuta è stato totalmente
ingiustificato".
Passata inosservata o tollerata quando i prezzi del petrolio erano alti,
l'anomalia balza agli occhi non appena diminuiscono le entrate dello Stato e si
deve badare al centesimo.
"Lo dico in forma di autocritica, c'era una mancanza di controllo -
ammette Iván Gil, evocando quella che viene definita 'intossicazione da valuta'
-. Tuttavia, c'è una ragione. Quando Chávez è arrivato al potere, il paese
conosceva una povertà superiore al 50%. I venezuelani non mangiavano. Abbiamo
vissuto il paradosso dei negozi pieni e degli stomaci vuoti, le persone non
avevano soldi. La prima reazione di Chavez è stata dunque quella di dar da
mangiare alla popolazione. E questo è stato fatto con tutti i mezzi, attraverso
la semina e aumentando le importazioni. Eravamo in grado di acquistare
all'estero qualsiasi quantità, avevamo i soldi. Dovevamo farlo e lo abbiamo
fatto, ma il costo era molto alto perché a una tale velocità di pagamento del
debito sociale, era molto difficile controllare tutto. Sapendo inoltre che, in
materia di alimenti, per esempio, lo Stato mancava di strutture per la
trasformazione e la distribuzione, abbandonate al settore privato. La sfida di
oggi è riconquistarne il controllo, ma non accade dalla sera alla
mattina".
Nel frattempo, nel 2014, Freddy Bernal, attuale segretario generale dei
Comitati locali di approvvigionamento e produzione (CLAP) e ministro
dell'agricoltura urbana, non ha esitato a "mettere i piedi nel
piatto": "Non sarebbe cosa malvagia per il governo avere consulenti
economici che siano non solo chavisti ma anche economisti! [5]". Vale a
dire che non è questione di assolvere da ogni colpa o errore la gestione dei
presidenti Chávez e Maduro. Lucidamente, un ex membro del governo guarda la
cosa in prospettiva: "Sono consapevole che il potere abbia talvolta
esagerato imputando alla guerra economica errori che di cui era esso stesso
responsabile - ma aggiunge immediatamente - tuttavia esiste una realtà: una
guerra economica esiste, non è né una scusa né una paranoia".
Mentre media dominanti la occultano sistematicamente, questa operazione di
destabilizzazione è responsabile del 70% della crisi mortale che colpisce il
paese. Non è accidentale che le principali fasi di "disaprovvigionamento"
capitino in momenti specifici, alla vigilia di eventi elettorali - referendum
costituzionale (2007), elezioni presidenziali del 2012 e 2013, comunali del
2013, elezioni parlamentari del 2015 - e nella fase attuale battezzata
"ora zero" dall'opposizione.
I sacri media: si è tentati di sorridere se trascurassimo la loro enorme
responsabilità nella manipolazione dell'opinione pubblica... "In
Venezuela, la scarsità di cibo spinge gli abitanti a mangiare gli animali dello
zoo", titolava VSD il 16 agosto, 2016. "Cani sono stati abbattuti e
macellati in strada per la loro carne", annuncia lo stesso giorno Atlantico. Secondo La Dépêche (19 agosto
2016), "ogni abitante ha perso in media dai tre ai cinque chili",
mentre per i suoi colleghi de L'Express",
il venezuelano medio ha perso 8,5 kg nel 2016 a causa della crisi alimentare
" (22 febbraio 2017) [6]. Erano ovviamente obesi dall'inizio a giudicare
dalla sagoma dei partecipanti alle proteste dell'opposizione – gente che muore
di fame con super-sofisticate maschere antigas sul naso [7].
Più seriamente, "la penuria ha avuto un impatto significativo su vita
quotidiana, abitudini e modelli di consumo" testimonia un
"chavista" di base che vive nel centro di Caracas, a La Candelaría.
Stimando di aver perso due buoni chili, aggiunge: "C'è ovviamente fatica,
una caduta di morale, soprattutto perché veniamo da un'enorme accessibilità in
materia di consumi negli ultimi dieci anni..."
Contrariamente a quanto affermano le agenzie di propaganda, il Venezuela non è
la nuova Somalia. Secondo l'Istituto nazionale della nutrizione, il paese
importa annualmente 138 dollari di alimenti per persona all'anno (82,5 nel
2004) [8]. Aggiungendo la produzione nazionale, ogni cittadino ha una capacità
statistica di alimentarsi per 476 kg l'anno (396,3 nel 1999). Tuttavia, fatta
eccezione per le classi medie e superiori dove, ad eccezione dei periodi
ciclici nei quali scompare un particolare prodotto, il potere d'acquisto
permette loro di continuare a rifornirsi qualunque sia il prezzo, tutti i
venezuelani sono senza dubbio colpiti dalla crisi. Mentre la
"disponibilità energetica" del paese era arrivata nel 2012 a 3.200
calorie/giorno (l'indicatore di un paese sviluppato), questa media è scesa a
2.883 calorie/giorno - una significativa riduzione, ma ancora sopra le
raccomandazioni della FAO (2.720).
Senza cadere in un umorismo fuori luogo a causa delle sofferenze dei loro
compatrioti, alcuni trovano anche alcuni vantaggi: "Siamo abituati a
indici di consumo esagerati. Mentre l'Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) raccomanda una disponibilità di 15 chili di zucchero l'anno a persona,
noi siamo a 40! Un consumo eccessivo per la salute, ma era un prodotto molto
economico perché sovvenzionato...".
Per rispondere all'aggressione multiforme di questa guerra economica, il potere
ha ripreso l'offensiva. "Stiamo andando verso un consumo quotidiano più
pianificato per razionalizzare l'uso delle valute" - spiega Ivan Gil. Ma
stiamo affrontando una sfida. Mentre lo Stato ha drasticamente tagliato la
valuta verso privati per l'importazione di alimenti, che ora importa da solo,
come possiamo fare per farli arrivare a tutti e allo stesso modo?".
Amministrati dai collettivi degli abitanti, i CLAP forniscono una risposta
iniziale, anche se provvisoria e limitata. Distribuendo ogni quindici giorni ai
residenti dei quartieri popolari, per 10.870 bolivares, un paniere alimentare
che per strada avrebbe un costo di 140.000, cosa che ha riportato il sorriso su
molti volti e allentato la morsa della penuria.
Non è insignificante che, nel contesto di violenza esercitata dai commandos
dell'opposizione dall'inizio di aprile, il sequestro di camion alimentari e
l'attacco a depositi Mercal (magazzini alimentari a prezzi bassi dello Stato e
depositi dei CLAP) e dei "Centri di approvvigionamento bicentenario"
sembrano essere una priorità. A metà luglio, a Lecheria (Stato di Anzoategui)
tra le 50 e 60 tonnellate di burro, pasta, carne, zucchero, latte, riso e così
via, sono andate in fumo [9]. Devono far morire di fame le persone per
raggiungere il loro fine.
Tanto il FMI che la Banca Mondiale (BM) o la Banca di sviluppo interamericana
(IDB) lanciano l'allarme. Secondo le loro ultime dichiarazioni, a metà luglio,
"i cento giorni di dimostrazioni hanno lasciato un saldo molto negativo
per l'economia venezuelana". A causa di "ore non lavorate, perdite
all'esportazione, diminuzione della produzione di energia, riduzione delle
vendite, difficoltà di approvvigionamento in siti problematici e costi in salute
e sicurezza", stimano un calo del 5% del PIL - l'equivalente del
"paro petrolero" (sciopero del petrolio) del dicembre 2002 - gennaio
2003, causando una perdita di 21 miliardi di dollari [10].
Allo stesso tempo e dopo il 2013, mentre Caracas pagava sull'unghia – cosa che
le è costata le critiche della sinistra del chavismo – 63,56 miliardi di
dollari per il servizio sul suo debito, il "rischio paese" è
aumentato del 202%, passando da 768 nel 2012 a 2.323 nel 2016, rendendo
proibitivi i prestiti sul mercato bancario internazionale. Se aggiungiamo che
la City Bank americana ha chiuso i conti del Venezuela (non quelli individuali,
solo quelli del governo), una conclusione s'impone: si tratta precisamente di
uno strangolamento economico. Fatte salve le sanzioni annunciate dal
"padrone della Casa Bianca", Donald Trump...
E' con la forza del suo avallo che l'opposizione "golpista" ha
indetto uno sciopero generale e ha paralizzato il paese, il 26 e 27 luglio, per
opporsi all'elezione dell'Assemblea Nazionale Costituente (ANC). Pronti a
sorridere, molti dei suoi leader hanno spinto la popolazione a farsi delle
riserve di cibo e di prodotti di base per tutta la settimana. Curioso, vero?
Dove approvvigionarsi quando, secondo loro, non si trova nulla da nessuna
parte, sia nei negozi che nei supermercati?
Senza possibilità di dialogo con un'opposizione unicamente votata al suo
rovesciamento, il presidente Maduro, basandosi sull'articolo 348 della
Costituzione, ha infatti convocato e fatto eleggere il 30 luglio questa ANC per
dare la parola al popolo, "ripristinare l'ordine, fare giustizia e
difendere la pace". Il tempo ci dirà se questa grande "raccolta di
idee", oltre alla riuscita ri-mobilitazione del "chavismo
storico" riuscirà a rispondere alle sfide dell'economia e porterà a una
più ampia riflessione collettiva.
In ogni caso, le domande abbondano. Come diversificare le esportazioni? Con che
cosa e dove? Come rendere efficaci i controlli? Come possiamo garantire che le
merci concesse in valuta estera siano importate? Come, dopo aver democratizzato
i consumi, democratizzare la produzione? Come normalizzare la distribuzione dei
beni essenziali? Perché non usare misure più radicali e "prendere in mano
le cose" quando è necessario: quando manca artificiosamente il pane, è più
difficile impacchettare farina che produrre petrolio, cosa che lo Stato fa
perfettamente? E perché non nazionalizzare l'industria farmaceutica? Aprire la
transizione a dei nuovi attori economici? Aumentare e rendere efficace la
proprietà sociale dei mezzi di produzione? Creare delle imprese alternative
piuttosto che statalizzare dei settori che sabotano l'economia?
Le risposte a queste domande non devono necessariamente essere introdotte nella
Costituzione aggiornata. Ma questa ripresa di iniziativa del chavismo e questo
grande progetto senza dubbio renderà possibile porre tali questioni. E parare
gli attacchi di una guerra implacabile e sottovalutata contro il popolo e
contro l'economia.
Note
1. « Cultura al
día », Alba
Ciudad, Caracas, 10 juillet 2015.
2. BBC Mundo, 7
mars 2016.
3. El Universal, Caracas,
31 juillet 2017.
4. On peut entre autres suivre les travaux de Luis Salas sur le site
15yultimo.com
5. Entretien sur la chaîne Globovisión rapporté
dans El Nacional du
30 juin 2014.
6. D'après une « étude » réalisée par des « scientifiques »
de l'Université centrale du Venezuela, l'Université catholique Andrés Bello,
l'Université Simón Bolivar, le groupe alimentaire Fundación Bengoa et
d'« autres » ONG.
7. « Au Venezuela, la fable des manifestations pacifiques », Mémoire des luttes, 15
juin 2017.
8. « Venezuela : estadísticas alimentarias », Caracas, 8 mai
2017.
9. Lire Marco Teruggi, « Brûler la nourriture : nouvelle tactique de
la bataille des trente jours », Venezuela Infos, 13 juillet 2017.
10. El Mundo, Caracas,
17 juillet 2017.
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare.
Testo completo in francese
La « guerre économique » pour les Nuls (et les journalistes)