abbiamo assolutamente chiaro che questo
“cambio” degli Stati Uniti
ha come fine ultimo
promuovere la ricostruzione del capitalismo a Cuba
Il Partito Comunista di Cuba è profondamente grato agli organizzatori di
questo evento internazionale dedicato al 57° anniversario della vittoria della
Rivoluzione Cubana ed al suo contributo alla conquista della seconda e
definitiva indipendenza della Nostra America, come l’ha chiamata José Martí.
(…)
La realtà dell’isola è
sistematicamente deformata, nel miglior caso silenziata dai grandi media che
influenzano l’opinione pubblica mondiale. Oggi si cerca di spogliare i
popoli della loro memoria storica: è la strategia imperialista per stabilire un
governo globale.
Nella sua relazione al
Primo Congresso del PCC, Fidel Castro sottolineò: “Cuba fu l’ultima colonia
della Spagna in America Latina ed oggi è il primo Paese socialista di questo
emisfero. Per costruire questo singolare destino la nostra patria ha dovuto
saltare ostacoli che fino ad allora erano parsi invincibili”.
Per più di trenta anni
la nascente nazione cubana ha combattuto e vinto militarmente l’esercito
coloniale spagnolo, ben più forte in armi e risorse per la
guerra (…).
José Martí fu la figura più alta di quell’impresa. Ha lasciato insegnamenti
fondamentali per le presenti e future generazioni di cubani: la necessità
dell’unione nella lotta, la necessità di conquistare tutta la giustizia, il
pericolo che per Cuba e l’America Latina rappresenta l’impero del Nord.
Martí si rese conto che l’unico modo di garantire la sovranità, non solo di
Cuba ma del resto dell’America Latina, era: “impedire per tempo, con
l’indipendenza di Cuba che gli Stati Uniti si allarghino sulle Antille e calino
con maggior forza sulle nostre terre d’America”.
Quando noi cubani
eravamo sul punto di raggiungere l’indipendenza dalla Spagna, a prezzo di tanto
dolore, il Presidente nordamericano dell’epoca fu autorizzato dal suo Congresso
ad intervenire militarmente nel nostro Paese, frustrando la nostra ricerca di
libertà e imponendo con il ricatto militare il cosiddetto “Emendamento Platt”,
che legalizzò nella sostanza la perdita della nostra sovranità, fondamento
illegittimo dell’attuale Base Navale di Guantánamo.
Ci venne imposta una
Repubblica fantoccio ed un capitalismo sottosviluppato, mono- produttore e
dipendente dall’economia nordamericana. (…)
Esattamente 60 anni
dopo che l’esercito interventista yankee impedì l’ingresso a Santiago de Cuba
delle truppe mambisas(NdT-combattenti indipendentisti cubani),
Fidel Castro e los barbudos entrarono in quella stessa città,
il 1° gennaio 1959, per cambiare definitivamente la storia di Cuba ed in buona
parte quella dell’America Latina.
La Rivoluzione trasformò la vita del nostro popolo in modo radicale. Cuba
non solo recuperò la sua sovranità, ma raggiunse in breve tempo, sotto le
bandiere del socialismo, impressionanti risultati economici e sociali. Il
Paese è riuscito a collocarsi fra quelli con un alto indice di sviluppo umano,
la speranza di vita ha superato i 78 anni, la mortalità infantile si è ridotta
a meno di 5 su mille nati vivi, sono riconosciuti internazionalmente i successi
della medicina e della scienza cubana, l’educazione, lo sport e la cultura sono
alla portata di tutti.
Nonostante le nostre risorse limitate, la Rivoluzione è sempre stata
coerente con la sua politica solidale e internazionalista. Migliaia
dei suoi migliori figli hanno combattuto e sono morti per la causa libertaria
di altri popoli d’Africa e America Latina. Oggi migliaia di collaboratori della
sanità e dell’educazione prestano servizio in più di 60 Paesi.
Cuba ed il suo eroico
popolo hanno superato il terribile colpo rappresentato dalla caduta dell’Unione
Sovietica, che ha significato un crollo del PIL del 35% e la perdita in pochi
mesi del 70% del suo commercio estero.
Cuba non ha ammainato
le sue bandiere socialiste né i suoi principi, mentre l’imperialismo nordamericano ha
rafforzato il suo criminale blocco economico, finanziario e commerciale con la
Legge Torricelli e la Legge Helms-Burton.
Però la resistenza di Cuba è stata possibile anche grazie alla solidarietà
internazionale, che ha scritto la sua pagina più recente e brillante per la
liberazione dei nostri Cinque Eroi, combattenti antiterroristi. (…)
Il Governo degli USA
ha usato il suo ampio arsenale nel tentativo ossessivo di distruggere la
Rivoluzione cubana ed il suo esempio. Ricordiamo solo la Baia dei Porci,
l’imposizione del blocco nel 1962, la minaccia di sterminio nucleare nella
crisi dell’ottobre 1962, la guerra imposta con bande controrivoluzionarie,
sradicate dopo 10 anni di dura battaglia, il terrorismo che ha lasciato 3.478
morti e 2.099 disabili, oltre a enormi danni materiali.
La storia è nota. Cuba
è arrivata fin qua in piedi. Gli USA hanno fallito e lo stesso Presidente Obama
lo ha riconosciuto il 17 dicembre 2014, all’inizio dell’attuale processo
fra i due Paesi.
Il ristabilirsi delle
relazioni diplomatiche, l’attuale fase di apertura delle Ambasciate, non
comporta la normalizzazione delle relazioni stesse.
La normalizzazione è un processo lungo e complesso che comporta, fra
l’altro, l’eliminazione del blocco economico, commerciale e finanziario, la
restituzione del territorio occupato dalla base di Guantánamo, il risarcimento
dei danni provocati dalle politiche aggressive, la sospensione delle
trasmissioni illegali radio e TV del Governo nordamericano contro Cuba, in
violazione di accordi internazionali e, in generale, la cessazione dei
programmi sovversivi.
Questi aspetti
spiegano perché Cuba non ha motivi per fare concessioni ad un Paese che non ha
mai aggredito, e di cui mai ha provato a modificare il regime socio-económico e
politico, e ancor meno ad abbatterne il Governo.
Ci confrontiamo da
pari a pari, secondo il diritto internazionale. Abbiamo espresso la
nostra determinazione ad avanzare su tutto ciò che sia di interesse comune,
siamo mossi da volontà collaborativa e lavoriamo per raggiungere relazioni
civili fra i nostri Paesi.
Molti amici,
giustamente preoccupati, ci avvertono sui rischi che la Rivoluzione si trova
davanti. A loro chiediamo di aver fiducia: alla fin fine abbiamo una vasta
esperienza dopo aver affrontato negli ultimi 100 anni l’ostilità del nord,
“agitato e brutale, che ci disprezza”, come diceva José Martí.
In questo senso è opportuno ribadire che abbiamo assolutamente
chiaro che questo “cambio” degli Stati Uniti ha come fine ultimo promuovere la
ricostruzione del capitalismo a Cuba. Noi, è importante tornare a
dirlo, andiamo nella direzione contraria.
La rivoluzione cubana
vive un momento cruciale, il cui dato essenziale è la determinazione a
continuare a costruire il socialismo, secondo le condizioni e le necessità che
conformano il mondo reale in cui siamo immersi, e secondo le esigenze imposte
dal nostro processo rivoluzionario.
Tutto quel che stiamo
facendo nel nostro Paese è assolutamente coerente con il proposito strategico
di sviluppare un socialismo prospero e sostenibile.
Nel quadro di quel che
abbiamo chiamato processo di attualizzazione del modello economico e sociale,
concentriamo i nostri sforzi nel dare impulso a tutte le potenzialità che il
Paese può dispiegare con le sue scarse risorse naturali: per esempio, lo
sviluppo scientifico, educazionale e culturale accumulalo grazie alla
Rivoluzione e lo sfruttamento più efficiente delle risorse economiche.
Nel VI Congresso del
Partito Comunista di Cuba, dell’aprile 2011, abbiamo approvato un documento,
discusso in modo massivo con la popolazione, che offre totale chiarezza sui
fondamenti della nostra politica economica, ed afferma: “La politica economica
del Partito si conformerà al principio secondo cui solo il socialismo è
capace di vincere le difficoltà e preservare le conquiste della Rivoluzione,
e che nell’attualizzazione del modello economico primeggerà la panificazione,
considerando le tendenze del mercato”.
I fondamenti del
nostro socialismo prevedono di garantire l’uguaglianza delle opportunità, la
maggior giustizia sociale possibile ed il predominio della democrazia popolare
e partecipativa nell’ordinamento del sistema politico.
Nel prossimo aprile
abbiamo programmato il VII Congresso del Partito, dove verificheremo
quanto già attuato e tracceremo una strategia di sviluppo fino al 2030,
approvando una concettualizzazione teorica del socialismo a Cuba.
Dobbiamo ribadire
che le trasformazioni di ordine economico hanno come ultima istanza il
fine che abbiamo saputo sostenere anche in tempi difficili: la salute pubblica
e l’educazione, gratuite ed universali, che costituiscono diritti umani
inalienabili, in definitiva: principi della Rivoluzione.
Il Governo a Cuba è
stato e continuerà ad essere dei lavoratori. Tutto quel che si è fatto e si
farà sarà in funzione della grande maggioranza.
Nel contesto attuale
al Partito Comunista di Cuba tocca assumere il compito di fortificare
il lavoro politico e ideologico per chiarire in seno al nostro
popolo quanto necessario, lo star attenti a tendenze negative che possono
formarsi in gruppi sociali, come la gioventù, o nel settore della gestione non
statale dell’economia, che sembra siano gliobiettivi scelti dal lavorio
sovversivo.
I problemi che
arriveranno non ci troveranno impreparati. Contiamo sulla forza che spiega come
siamo arrivati fino qui: l’unità del popolo, agglutinato nelle sue
organizzazioni sociali, il nostro partito e la coesione politica nella
militanza.
La nostra dignità
davanti alla prepotenza dell’impero, questa è la questione; prima di tutto la
nostra capacità di resistere come abbiamo fatto finora, insieme alla
convinzione che sta dalla nostra parte la verità e la ragione.
D’altro lato non è negoziabile l’amicizia che la Rivoluzione cubana ha
prodotto in questi duri anni di resistenza. Gli amici storici di Cuba possono
contare sulla nostra lealtà.
Manterremo il più
deciso appoggio alle cause giuste dell’umanità. Lo sa la rivoluzione
bolivariana in Venezuela; non dimentichiamo il diritto di Puerto Rico alla
piena indipendenza, né il sofferente popolo palestinese nella sua titanica
lotta, tanto per citare solo alcuni casi che palesemente e irreparabilmente ci
differenziano dalla politica estera statunitense.
La controffensiva
dell’imperialismo e le destre locali acquisiscono una singolare dimensione
nella Nuestra América. Con diversi strumenti di sovversione si cerca di
invertire i processi rivoluzionari e progressisti in Venezuela, Brasile,
Ecuador, Bolivia, fra gli altri.
Com’è stato già
denunciato, si tratta di un elaborato programma di destabilizzazione, combinato
con azioni di guerra economica ed attacchi mediatici, che vittimizzano prima di
tutto la verità, mirando a quel che chiamano il cambio di regime in modo
diretto o in sua vece, una strategia di indebolimento di lungo periodo, per
imporre soluzioni elettorali che passano sopra alla vera volontà democratica
dei popoli.
Molto ci siamo
domandati cosa fare per affrontare queste sfide. E giustamente è nella nostra
storia che può stare la risposta, quando dall’inizio i nostri padri
fondatori ci chiamarono all’unità e all’integrazione.
Bolívar lo affermò:
“L’unità dei nostri popoli non è semplice chimera, ma inesorabile decreto del
destino. Uniamoci e saremo invincibili”… Oggi sappiamo che è urgente necessità
lavorare per la piena integrazione come obbiettivo strategico per garantirci un
futuro sicuro.
Non partiamo da zero.
Non è inutile insistere che nella nostra regione abbondano gli effetti negativi
dei TLC, però abbiamo anche accumulato esperienze organizzative e di
lotta (…).
Possiamo sentirci
orgogliosi della nascita dell’ALBA, che come suggerisce il suo nome, vuole
essere il mattino di una forma più elevata d’integrazione basata sulla
cooperazione; del CARICOM e della UNASUR con una formidabile capacità di
coordinare volontà e sciogliere conflitti fra sudamericani; del MERCOSUR,
piattaforma di articolazione commerciale più datata, ed infine, al punto più
alto, la CELAC.
Alla fondazione della
Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici, CELAC, nel dicembre 2011, il
Primo Segretario del Partito Comunista di Cuba, compañero Raúl Castro,
disse: “Abbiamo il privilegio di assistere ad un atto fondativo
trascendentale… rivendichiamo più di due secoli di lotte e speranze. Arrivare
fin qui è costato sforzi en anche sangue e sacrificio. I colonizzatori di
un tempo e le potenze imperiali di oggi sono stati i nemici di questo
obbiettivo. La CELAC è la nostra opera più preziosa. Simbolicamente, consolida
l’idea di una regione unita e sovrana, impegnata su un destino comune”. (…)
L’unità e la
solidarietà saranno decisive per avanzare nell’ottenimento della seconda e
definitiva Indipendenza dell’America Latina e dei Caraibi. Le recenti sconfitte
elettorali della sinistra sono temporanee e non devono generare smobilitazione
o demoralizzazione (…). Riprendiamo l’iniziativa con la convinzione della
vittoria delle nostre giuste idee.
Infine, compañeros,
Cuba continuerà nel suo cammino verso il socialismo, con la normalizzazione dei
rapporti con gli USA, che indubbiamente può facilitare molto questo processo,
però anche senza, così com’è stato finora. Questo significa che cammineremo
senza abbandonare i principi che ci hanno permesso di fare una rivoluzione come
la nostra. Come la provata vocazione solidale verso altri popoli, valore
intrinseco all’idea universale del socialismo.
Il leader storico
della Rivoluzione Fidel Castro, in una lettera al Presidente de la Repubblica
Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro, dello scorso dicembre, riaffermò la
determinazione irremovibile del nostro popolo, dicendo: “I rivoluzionari
cubani, a poche miglia dagli Stati Uniti, che sempre hanno sognato di
appropriarsi di Cuba per convertirla in casinò e postribolo…, non rinunceranno
mai alla piena indipendenza e al rispetto totale della loro dignità”…
(Simposio
Internazionale Cuba nella Storia, Lima – 4/ 6 febbraio 2016,
tratto da Rebelión)
fatti parte
dell’esercito difensore della verità contro il sistema di disinformazione di
massa
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