sabato 11 gennaio 2014

2013: Un primo bilancio dall'America latina / 2013 : una balance desde latinoamèrica


2013: Un primo bilancio dall'America latina

Atilio Boron (*) | atilioboron.com.ar
Traduzione da ciptagarelli.jimdo.com

L'anno che finisce è stato prodigo di avvenimenti che hanno lasciato segni profondi nel sistema internazionale. Al momento di rivederli, lo sguardo dell'analista è sempre condizionato; non esiste un'osservazione che riesca ad essere indipendente dai condizionamenti che la geografia e il tempo storico esercitano sull'osservatore. Il nostro sguardo, dal "qui e ora" della Nostra America sarà sicuramente diverso da quello che può avere qualcuno che si trovi in Europa, Asia o Africa. 
Fatta questa necessaria premessa metodologica, diciamo che l'avvenimento più importante, che segna di tristezza l'anno che finisce, è stato la morte del Comandante Hugo Chàvez Frìas. Il leader bolivariano è stato una vera forza della natura: un uragano che, col suo fervore antimperialista, la sua visione strategica della lotta che bisognava combattere contro l'impero e il suo protagonismo instancabile ha riconfigurato decisamene la mappa sociopolitica dell'area. Chàvez è stato il gran maresciallo della battaglia dell'ALCA, sconfiggendo il principale progetto degli Stati Uniti per completare la sottomissione dell'America Latina e dei Caraibi ai loro interessi. Ed è anche stato l'uomo che ha riempito di proposte quella che, prima della sua irruzione nella vita politica della regione, era una gradevole ma inoffensiva retorica latinoamericanista, orfana di contenuti concreti.

Per Chàvez questa doveva essere una convocazione all'unità dell'America Latina e dei Caraibi, unità e non solo integrazione; doveva essere, sulle tracce della Rivoluzione Cubana, l'ambito di creazione di un internazionalismo solidario, che si traducesse in progetti concreti come la Banca del Sud, Petrocaribe, TeleSUR, UNASUR e la CELAC, tra tanti altri. La sua morte, in circostanze ancora non chiarite, ha riempito di gioia l'imperialismo e i suoi alleati, che pensavano che con essa sarebbe finito il chavismo. Ma, e questa è una delle note più positive dell'anno, la sparizione fisica di Chàvez non ha impedito che il chavismo tornasse a trionfare nelle elezioni presidenziali del 14 aprile – consacrando presidente Nicolàs Maduro – e, di nuovo, per una decisa differenza di più di un milione di voti, sulla coalizione di opposizione nelle elezioni municipali dell'8 dicembre.

A quanto pare Chàvez sarà ancora con noi. 

Un'altra notizia molto importante è stata la sorprendente elevazione del cardinale Jorge
Bergoglio al papato. Personaggio complesso, la consacrazione di questo gesuita ha dato adito ad un aspro dibattito che è ben lontano dallo spegnersi in Argentina. Gerarca di una chiesa che fu complice di tutti i crimini della dittatura, vi sono quelli che lo fustigano per i suoi atteggiamenti tiepidi e ambivalenti, soprattutto se messi a confronto con quelli che ebbero altri vescovi come i monsignori Enrique Angelelli – che pagò con la vita il suo coraggio – Jaime de Nevares, Jorge Novak, Miguel Hesayne. Questa sinuosità della sua condotta, sintomo di ciò che Antonio Gramsci definiva "gesuitismo", spiega le ragioni per cui, insieme ai suoi critici, è emerso dalle fila della sinistra, dei difensori dei diritti umani e della teologia della liberazione, un focoso contingente di difensori di Francesco pronti a segnalare le forme discrete con cui l'allora padre provinciale dei gesuiti proteggeva il suo gregge. Al di là di questo dibattito irrisolto, i timori che molti avevano nel senso che Francesco potesse trasformarsi in una reincarnazione di cattivo augurio di Giovanni Paolo II (che insieme a Ronald Reagan e Margaret Thatcher avrebbe rappresentato il più formidabile tridente reazionario del secolo ventesimo) finora hanno dimostrato di essere ingiustificati. Di più, un certo cambio nel lessico del Pontefice (come, ad esempio, parlare di "Patria Grande" in occasione della visita di Cristina Fernàndez de Kirchner in Vaticano) o la sua insistente "opzione per i poveri" dimostrano che ha percepito con fine olfatto i dati di questo "cambio di epoca" e che il Venezuela non è la Polonia, e l'Ecuador non è la Cecoslovacchia. Se quei governi dell'Europa Orientale soccombettero davanti all'assalto convergente del Vaticano, di Washington e Londra ciò accadde perché il loro deficit di legittimità li rendeva altamente vulnerabili. Ben diversa è la situazione dei governi di sinistra del Sudamerica, dove Bolivia, Ecuador e Venezuela contano su una legittimità popolare incomparabilmente superiore a quella di cui hanno mai goduto le loro presente controparti europee. In poche parole: il Vaticano non ignora che i cambiamenti avvenuti in Latinoamerica e nei Caraibi dagli inizi del secolo ventunesimo sono ormai senza ritorno. Ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Marx evoca l'intervento del Cardinale Pierre d'Ailly al Concilio di Costanza (1414-1418) quando, di fronte alle lamentele dei puritani per la vita licenziosa dei papi, egli rispose con voce tonante "Quando solo il demonio in persona può salvare la Chiesa cattolica, voi chiedete angeli!". L'attuale situazione della Chiesa è molto peggio di quella che tanto preoccupava d'Ailly: interminabile emorragia di fedeli, scandali della pedofilia, giudizi milionari per le vittime e bancarotta delle chiese appesantite dal pagamento di enormi indennizzi, maneggi mafiosi della banca del Vaticano, il ruolo della donna nella Chiesa e la messa in discussione sempre più dall'interno del celibato sacerdotale rappresentano un'agenda che è ben difficile lasci il tempo a Francesco per organizzare la dispersa e confusa destra latinoamericana, sempre che voglia farlo. Ma per questo c'è "l'ambasciata".

Un altro fatto di grande importanza è il riemergere della Russia come uno dei principali attori della politica mondiale. L'Unione Sovietica lo era stata nel quasi mezzo secolo trascorso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L' "Ordine bipolare" dell'epoca le assegnava un protagonismo fondamentale, ma quando avvenne lo sprofondamento dell'URSS nel 1991-92 lo stato che le succedette, la Russia, rimase completamente isolata dai principali scenari della politica internazionale. Questo consentì che alcuni pubblicisti dell'impero si compiacessero dell'illusione che lì cominciasse il "nuovo secolo (nord) americano" e non risparmiassero definizioni umilianti , comprese alcune di stampo razzista, contro i russi, come Vladimir Putin si sarebbe incaricato di ricordare loro diverse volte.

Il sogno del "nuovo secolo americano" durò molto poco e, con gli attentati dell'11 Settembre, divenne un insopportabile incubo. La Russia, che non aveva mai cessato di essere una potenza atomica – piccolezza dimenticata dagli apologisti del "nuovo ordine mondiale" spinto da George Bush padre – e che continuava ad accumulare forze dall'inizio del secolo, è tornata prepotentemente sullo scenario mondiale concedendo asilo politico niente meno che a Edward Snowden, il nemico pubblico n. 1 di Washington e, in seguito, torcendo il braccio a Barak Obama e al suo scudiero, John Kerry, facendo abortire i loro piani di bombardare la Siria.

Se quanto sopra non fosse abbastanza, il suo chiaro appoggio a Teheran ha anche reso possibile un lieto fine militare sulla questione del programma nucleare iraniano, in una crisi spinta al parossismo dal regime israeliano e dai suoi compari nell'area, in particolare dall'Arabia Saudita. Con tre gesti Mosca ha dimostrato che le spacconate di Washington mancavano di sostanza reale e potevano essere neutralizzate a beneficio della pace e della sovranità del diritto internazionale.

L'impetuosa riemersione della Russia, sommata alla già consolidata gravitazione della Cina nell'economia e nella politica mondiale, ha finito per cristallizzare significative modificazioni sulla grande scacchiera geopolitica internazionale. Cambiamenti – questi – che favoriscono i progetti di emancipazione della Nostra America perché il crollo dell'unipolarismo nordamericano e l'accelerata – e, a quanto pare, irreversibile – edificazione di una struttura multipolare di potere mondiale apre nuovi ed inediti margini di manovra per i paesi dell'America Latina e dei Caraibi, tradizionalmente sottomessi al giogo statunitense.

All'evidente indebolimento del potere globale degli Stati Uniti – riconosciuto nientemeno che dal più significativo intellettuale dell'impero, Zbigniew Brzezinski – e del quale la chiusura dei suoi uffici governativi per due settimane è solo uno dei tanti sintomi, si aggiunge l'esaurimento del progetto europeo, sacrificato sull'altare della banca tedesca, il che fa del mondo uno spazio molto più aperto e indeterminato, i cui spiragli e contraddizioni offrono una magnifica opportunità perché i popoli della Nostra America avanzino decisamente verso la conquista della loro seconda e definitiva indipendenza.

Naturalmente, nel 2013 sono successe molte altre cose, impossibile da esaminare qui in dettaglio. Permettetemi solo di menzionare l'importanza dei dialoghi di pace tra il governo di Juan M. Santos e le FARC, spinti dal clamore popolare che in Colombia esige la fine del conflitto armato e le aspettative riguardo alle elezioni presidenziali del maggio 2014; la crisi tra Santo Domingo e Haiti, scoppiata per le razziste norme che negano la nazionalità al figli degli haitiani nati nella Repubblica Dominicana; le elezioni dello scorso 27 ottobre in Argentina, che hanno seminato dubbi sulla continuità del processo apertosi nel 2003; il trionfo di Michelle Bachelet che è tornata alla presidenza di un Cile sconvolto dall'olocausto sociale del neoliberismo; la continuazione e l'approfondimento della crisi in Messico, a vent'anni dal "grido" degli Zapatista in Chiapas; la vigorosa e inaspettata irruzione di grandi manifestazioni di massa in Brasile, a poco meno di un anno dalle presidenziali dell'ottobre 2014, che hanno sconvolto la stolidità di un ordine sociale profondamente ingiusto e rabbiosamente oligarchico; la schiacciante vittoria di Alianza Paìs nelle elezioni legislative dell'Ecuador, che hanno permesso a Rafael Correa di ottenere una maggioranza assoluta nell'Assemblea nazionale; il lento ma irreversibile approfondimento dei nuovi "lineamenti" nell'economia cubana, orientati ad attualizzare e rafforzare le fondamenta materiali della Rivoluzione; il consolidamento della leadership di Evo Morales in Bolivia a fronte delle elezioni del prossimo ottobre; la piena integrazione del Venezuela nel Mercosur, con il voto favorevole del Senato paraguayano, e la coraggiosa resistenza dei popoli davanti ai disastri delle estrazioni minerarie e cielo aperto, al "fracking" e all'auge dell'agro-affare monoprodotto (soja, canna da zucchero, palma africana, ecc.), sono dati che anch'essi hanno segnato l'agenda dell'anno che finisce e che meriterebbero un'analisi dettagliata che non possiamo fare qui.

Va aggiunto a quanto sopra la continuazione dell'aggressione imperialista e la guerra civile in Siria, dove Al Qaeda – con la benedizione e l'appoggio della Casa Bianca (scusate, non era stata questa organizzazione quella che tramò e eseguì l'attentato dell'11-S??) lotta gomito a gomito con i mercenari sauditi, yemeniti e israeliani che vogliono farla finita con il regime di Bashar al-Assad; bisogna anche ricordare il golpe militare pro-nordamericano in Egitto contro il governo di Mohamed Morsi e la Fratellanza Musulmana, non sufficientemente pro-nordamericani per i gusti di Washington; l'intervento armato delle truppe francesi in Mali per contenere i fondamentalisti islamici alleati di Al Qaeda (mentre Parigi appoggia questa organizzazione in Siria e Francois Hollande si offre impudicamente di collaborare con gli Stati Uniti nel bombardare quel sofferente paese) e, finalmente, la morte di Nelson Mandela, comunista per tutta la sua vita che liquidò l' "apartheid" sudafricano utilizzando, a seconda delle circostanze e del momento storico, tattiche violente e pacifiche e per questo fu inserito nella lista dei "terroristi" dagli Stati Uniti fino al luglio 2008.. Dopo la sua morte Mandela ha dovuto resistere ad una terribile operazione mediatica che ha cercato di appropriarsi della sua memoria e presentarlo come un pacifista ingenuo e conciliatore, un "adoratore della legalità" di uno stato razzista e di nascondere grossolanamente i dati storici che costellano la sua impressionante biografia di lotta con tutti i mezzi idonei per il successo della sua impresa liberatrice.

 Per concludere oggi, ormai in vista del 2014, dobbiamo celebrare con grande allegria il 55° anniversario del trionfo della Rivoluzione Cubana – un avvenimento "
storico-universale", come certo lo avrebbe definito il vecchio Hegel –che inaugurò una nuova era nella lotta dei popoli dell'America Latina e dei Caraibi, dell'Africa e dell'Asia per la loro definitiva emancipazione.

Una Cuba che resiste e resisterà per quanti blocchi e sabotaggi le applichino gli Stati Uniti, e che dimostra ogni giorno, ogni ora, che l'imperialismo non è invincibile e che può essere sconfitto. Per questo il suo ruolo nei processi di liberazione dei popoli del Terzo Mondo mette l'isola caraibica in un posto simile a quello che la Francia seppe occupare, dopo la Rivoluzione Francese, quale faro di orientamento per coloro che lottavano per scuotersi di dosso il gioco dell'assolutismo dinastico.

Cuba è la Francia dei nostri giorni e ha tutto il diritto del mondo di celebrare con allegria un nuovo anniversario della trionfale giornata del 1° gennaio del 1959.

Salve, Cuba e fino alla vittoria, sempre!

(*) Politologo argentino; da: atilioboron.com.ar; 1.1.2014

(traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria "G.Tagarelli" Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)



2013 : una balance desde latinoamèrica


 (Por Atilio A. Boron *) El año que termina fue pródigo en acontecimientos que dejaron profundas huellas en el sistema internacional. A la hora de reseñarlos la mirada del analista siempre es situada; no existe una observación que pueda independizarse de los condicionamientos que la geografía y el tiempo histórico ejercen sobre el observador. Nuestra mirada, desde el “aquí y ahora” de Nuestra América, seguramente será diferente de la que pueda tener alguien situado en Europa, Asia o África.  
Hecha esta necesaria salvedad metodológica previa digamos que el acontecimiento más trascendente que marca con tristeza el año que finaliza fue la muerte del Comandante Hugo Chávez Frías. El líder bolivariano fue una verdadera fuerza de la naturaleza: un huracán que con su fervor antiimperialista, su visión estratégica de la lucha que debía librarse contra el imperio y su incansable protagonismo reconfiguró decisivamente el mapa sociopolítico del área. Chávez fue el gran mariscal de la batalla del ALCA, derrotando al principal proyecto de Estados Unidos para completar el sometimiento de América Latina y el Caribe a sus intereses. Y fue también el hombre que llenó de propuestas lo que hasta su irrupción en la vida política de la región era una agradable pero inofensiva retórica latinoamericanista, huérfana de contenidos concretos. Para Chávez esta tenía que ser una convocatoria a la unidad de América Latina y el Caribe, unidad y no tan sólo integración; debía ser, tras las huellas de Cubana, el ámbito de creación de un internacionalismo solidario que se traduciría en proyectos concretos como el Banco del Sur, Petrocaribe, TeleSUR, UNASUR y , entre tantos otros. Su muerte, en circunstancias que aún no han sido aclaradas, llenó de júbilo al imperialismo y sus aliados, pensando que con ella se acabaría el chavismo. Sin embargo, y esta es una de las notas más positivas del año, la desaparición física de Chávez no impidió que el chavismo volviera a triunfar en las elecciones presidenciales del 14 de Abril -consagrando a Nicolás Maduro como presidente- y nuevamente, por una rotunda diferencia de más de un millón de votos, sobre la coalición opositora en las municipales del 8 de Diciembre. 

Parece que tendremos Chávez para rato.

Otra noticia muy importante fue la sorpresiva elevación del Cardenal Jorge Bergoglio al papado. Personaje complejo, la consagración de este jesuita motivó un áspero debate que está lejos de apagarse en de una iglesia que fue cómplice de todos los crímenes de la dictadura, hay quienes lo fustigan por sus actitudes tibias y ambivalentes, sobre todo si se las compara con las que tuvieron otros obispos como los monseñores Enrique Angelelli –que pagó con su vida su osadía-, Jaime de Nevares, Jorge Novak o Miguel Hesayne. Esta sinuosidad de su conducta, síntoma de lo que Antonio Gramsci definiera como “jesuitismo”, explica las razones por las que junto a sus críticos emergiera desde las filas de la izquierda, los derechos humanos y la teología de la liberación un fogoso contingente de defensores de Francisco prestos a señalar las formas sigilosas con las que el por entonces provincial de los jesuitas protegía a su rebaño. Más allá de este irresuelto debate, los temores que muchos tenían en el sentido de que Francisco pudiera convertirse en una ominosa re-encarnación de Juan Pablo II  (quien junto a Ronald Reagan y Margaret Thatcher conformara el más formidable tridente reaccionario del siglo veinte) hasta ahora han demostrado ser injustificados. Es más, cierto cambio en el léxico del Pontífice (como por ejemplo hablar de la “Patria Grande” en ocasión de la visita de Cristina Fernández de Kirchner al Vaticano) o su insistente “opción por los pobres” demuestran que ha percibido con fino olfato los datos de este “cambio de época” y que Venezuela no es Polonia, ni Ecuador Checoslovaquia. Si aquellos gobiernos de Europa Oriental sucumbieron ante la arremetida que convergía desde el Vaticano, Washington y Londres fue porque su déficit de legitimidad los tornaba altamente vulnerables. Bien distinta es la situación de los gobiernos de izquierda en Sudamérica, donde Bolivia, Ecuador y Venezuela cuentan con una legitimidad popular incomparablemente superior a la que jamás gozaron sus supuestas contrapartes europeas. En pocas palabras: el Vaticano no ignora que los cambios acaecidos en Latinoamérica y el Caribe desde los albores del siglo veintiuno ya no tienen vuelta atrás. En El 18 Brumario de Luis Bonaparte Marx evoca la intervención del Cardenal Pierre d'Ailly en el Concilio de Constanza (1414-1418) cuando ante las quejas de los puritanos por la vida licenciosa de los papas respondiera con voz tonante “¡Cuando sólo el demonio en persona puede salvar a católica, vosotros pedís ángeles!” La situación actual de es mucho peor que la que tanto preocupara a d’Ailly: interminable hemorragia de la feligresía, escándalos por pederastia, millonarios juicios de las víctimas y bancarrota de las iglesias abrumadas por el pago de enormes indemnizaciones, manejos mafiosos del banco del Vaticano, el papel de la mujer en y el cuestionamiento cada vez más militante del celibato sacerdotal configuran una agenda que difícilmente le dejen tiempo a Francisco para organizar la dispersa y confusa derecha latinoamericana, suponiendo que quisiera hacerlo. Pero para eso está “la embajada.”
Otro acontecimiento de gran trascendencia fue la re-emergencia de Rusia como un principal actor de la política mundial. lo había sido en el casi medio siglo transcurrido desde finales de Guerra Mundial. El “orden bipolar” de la época le asignaba un protagonismo fundamental, pero cuando se produjo el hundimiento de en 1991-92 el estado sucesor, Rusia, quedó completamente marginado de los principales escenarios de la política internacional. Esto dio pie a que algunos publicistas del imperio se solazaran con la ilusión de que allí comenzaba el “nuevo siglo (norte)americano” y no ahorraron descalificaciones humillantes, incluso algunas de tono racista, en contra de los rusos, como Vladimir Putin se encarga de recordar una y otra vez. El sueño del “nuevo siglo americano” duró muy poco y con los atentados del 11-S se convirtió en una insoportable pesadilla. Rusia, que nunca había dejado de ser una potencia atómica –nimiedad olvidada por los apologistas del “nuevo orden mundial” alentado por George Bush padre- y que venía acumulando fuerzas desde comienzos del siglo, irrumpió abruptamente en el escenario mundial otorgándole asilo político nada menos que a Edward Snowden, el enemigo público número uno de Washington y, después, torciéndole el brazo a Barack Obama y su escudero, John Kerry, haciéndoles abortar sus planes de bombardear Siria. Por si lo anterior fuera poco, su claro apoyo a Teherán aventó también un desenlace bélico por la cuestión del programa nuclear iraní, en una crisis alentada hasta el paroxismo por el régimen israelí y sus impresentables compinches en el área, especialmente Arabia Saudita. Con tres gestos Moscú demostró que las bravuconadas de Washington carecían de sustancia real y podían ser neutralizadas en beneficio de la paz y el imperio del derecho internacional.
     La impetuosa re-emergencia de Rusia sumada a la ya consolidada gravitación de China en la economía y la política mundiales terminó por cristalizar significativas modificaciones en el gran tablero geopolítico internacional. Cambios éstos que favorecen los proyectos emancipatorios de Nuestra América porque el derrumbe del unipolarismo norteamericano y la acelerada –y por lo que parece, irreversible- edificación de una estructura multipolar de poder mundial abre nuevos e inéditos márgenes de maniobra para los países de América Latina y el Caribe, tradicionalmente sometidos al yugo estadounidense. Al evidente debilitamiento del poderío global de los Estados Unidos -reconocido nada menos que por el más significativo intelectual del imperio, Zbigniew Brzezinski- y del cual el cierre de sus oficinas gubernamentales por dos semanas es apenas uno de sus muchos síntomas se le suma el agotamiento del proyecto europeo, sacrificado en el altar de la banca alemana, todo lo cual hace del mundo un espacio mucho más abierto e indeterminado cuyos resquicios y contradicciones ofrecen una magnífica oportunidad para que los pueblos de Nuestra América avancen resueltamente hacia la conquista de su segunda y definitiva independencia.  
Por supuesto, en el 2013 pasaron muchas otras cosas, imposibles de examinar en detalle aquí. Permítasenos simplemente mencionar la importancia de los diálogos de paz entre el gobierno de Juan M. Santos y las FARC, alentados por el clamor popular que en Colombia exige el fin del conflicto armado y las expectativas en torno a las elecciones presidenciales de Mayo del 2014; la crisis domínico-haitiana, desatada por las racistas  normas denegatorias de la nacionalidad a los hijos de haitianos nacidos en Dominicana; el escandaloso fraude electoral perpetrado en Honduras, donde “la embajada” se convirtió en el tribunal electoral que decide quien gana y quien pierde; las elecciones del pasado 27 de Octubre en Argentina, sembrando de dudas la continuidad del proceso abierto en el 2003; el triunfo de Michelle Bachelet, regresando a la presidencia de un Chile desquiciado por el holocausto social del neoliberalismo; la persistencia y profundización de la crisis en México, a veinte años del “grito” de los  Zapatistas en Chiapas; la vigorosa e inesperada irrupción de grandes manifestaciones de masas en Brasil, a poco más de un año de las presidenciales de Octubre de 2014, conmoviendo la estolidez de un orden social profundamente injusto y rabiosamente oligárquico; la aplastante victoria de País en las elecciones legislativas del Ecuador, que le permitieron a Rafael Correa obtener una mayoría absoluta en Nacional; la lenta pero irreversible implementación de los nuevos “lineamientos” en la economía cubana, orientados a actualizar y fortalecer los fundamentos materiales de ; la consolidación del liderazgo de Evo Morales en Bolivia, de cara a las elecciones del próximo Octubre; la integración plena de Venezuela al Mercosur, ya con el voto favorable del Senado paraguayo, y la valerosa resistencia de los pueblos ante los estragos de la gran minería a cielo abierto, el “fracking” y el auge del agronegocio monoproductor (soja, caña de azúcar, palma africana, etcétera) son datos que también marcaron la agenda del año que finaliza y que merecerían un análisis detallado que no podemos hacer aquí. A lo anterior hay que agregar la continuación de la agresión imperialista y la guerra civil en Siria, donde Al Qaida, con la bendición y el apoyo de (perdón, ¿no había sido esta organización la que tramó y ejecutó el atentado del 11-S?) lucha codo a codo con los mercenarios sauditas, yemenitas e israelíes que procuran acabar con el régimen de Bashar al-Assad; tomar también nota del golpe militar pro-norteamericano en Egipto, en contra del gobierno de Mohammed Morsi y Musulmana, no suficientemente pro-norteamericano según el gusto de Washington; la intervención armada de tropas francesas en Mali para contener a los fundamentalistas islámicos aliados de Al Qaida (¡a la vez que París apoya a esta organización en Siria y François Hollande se ofrece impúdicamente a colaborar con Estados Unidos en el bombardeo de ese sufrido país!) y, finalmente, la muerte de Nelson Mandela, comunista de toda su vida que liquidó el “apartheid” sudafricano utilizando, según las circunstancias y el momento histórico, tácticas violentas y pacíficas, siendo por eso incorporado a una lista de “terroristas” por Estados Unidos hasta Julio del 2008. Después de su muerte Mandela tuvo que resistir una tremenda operación mediática que se quiso apropiar de su memoria y presentarlo como un ingenuo y conciliador pacifista, un “adorador de la legalidad” de un estado racista y ocultando groseramente los datos históricos que jalonan su impresionante biografía de lucha por todos los medios que fueran idóneos para el éxito de su empresa liberadora.
    Para concluir, hoy, ya en vísperas del 2014, debemos celebrar con inmensa alegría el 55º aniversario del triunfo de Cubana -un acontecimiento “histórico-universal”, como seguramente lo hubiera caracterizado el viejo Hegel- que inauguró una nueva era en la lucha de los pueblos de América Latina y el Caribe, África y Asia por su definitiva emancipación. Una Cuba que resiste y resistirá cuanto bloqueos y sabotajes le aplique Estados Unidos, y que demuestra cada día, cada hora, que el imperialismo no es invencible y que puede ser derrotado. Por eso su papel en los procesos de liberación de los pueblos del tercer mundo coloca a la isla caribeña en un sitial semejante al que Francia supo ocupar, luego de Francesa, como el faro orientador de quienes luchaban por sacudirse el yugo del absolutismo dinástico. Cuba es de nuestros días y tiene todo el derecho del mundo para celebrar con alegría un nuevo aniversario de la triunfal jornada del 1º de Enero de 1959. ¡Salud Cuba, y hasta la victoria siempre!
  • Director del PLED, Programa Latinoamericano de Educación a Distancia en Ciencias Sociales del Centro Cultural de Floreal Gorini.


foto tratte da blog originale e a discrezione di Sandino tratte da internet

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