Riad
– París – Beirut
Silenzio e tradimento da 3 miliardi di dollari
di Thierry Meyssan
Ma
perché l’Arabia Saudita ha deciso di donare all’esercito
libanese 3 miliardi di armamenti francesi, mentre nelle ultime
settimane i suoi agenti in Libano non cessavano di denunciare lo
slogan "Popolo-Esercito-Resistenza" e la collusione tra
l’esercito e Hezbollah? E se questa improvvisa generosità è il
prezzo del silenzio libanese, dimenticando le centinaia di vittime
del terrorismo saudita nel Paese dei cedri e il tradimento francese
dei propri impegni in Medio Oriente?
Rete
Voltaire | Damasco | 17 gennaio 2014
- Ricevimento del presidente Hollande presso Sua Altezza Reale il Custode delle Due Sacre Moschee Abdullah bin Abdulaziz al-Saud, alla presenza dei membri del suo consiglio.
La
visita di François Hollande accompagnato da 30 amministratori
delegati di grandi aziende in Arabia Saudita, il 29 e 30 dicembre
2013, si sarebbe concentrata principalmente su questioni economiche e
sul futuro di Siria e Libano. Le questioni politiche internazionali
sarebbero state discusse tra francesi e sauditi, ma anche in presenza
di leader libanesi come il presidente Michel Sulayman e l’ex primo
ministro saudita-libanese Saad Hariri (considerato organico alla
famiglia reale) e il presidente della Coalizione Nazionale siriana,
il siro-saudita Ahmad Asi al-Jarba [1]
Durante
la visita, l’Arabia Saudita ha annunciato improvvisamente l’offerta
di 3 miliardi dollari di armi francesi all’esercito libanese.
Questa generosità è straordinaria, poiché una conferenza
internazionale dovrebbe, a febbraio o marzo, raccogliere fondi per il
Libano in generale e il suo esercito in particolare. Il Libano non
aveva mai ricevuto un tale dono.
L’annuncio
fu ufficialmente fatto dal presidente libanese Michel Sulayman. Il
generale, diventato Capo di stato maggiore dell’esercito libanese,
non avendo gli altri accesso a tale carica, fu imposto presidente per
le stesse ragioni da Francia e Qatar. La sua elezione parlamentare è
incostituzionale (articolo 49 [2])
e la carica non gli è stata caduta dal suo predecessore ma
dall’emiro del Qatar. Nel suo discorso televisivo al popolo
libanese, il presidente Sulayman ha accolto con favore la regale
"maqruma", il dono che il sovrano fa al suo servo e,
incongruamente, concludeva con "Viva l’Arabia Saudita!".
Tale
annuncio fu accolto calorosamente dall’ex-primo ministro Saad
Hariri, tentando di vedervi il primo passo verso il futuro disarmo di
Hezbollah.
La
decisione di Riyadh non può che sorprendere: infatti, negli ultimi
mesi, i filo-sauditi del 14 Marzo di Saad Hariri hanno più volte
criticato la stretta relazione tra l’esercito e Hezbollah. Nei
giorni seguenti, una grande campagna pubblicitaria a Beirut celebrava
l’amicizia tra il Libano e l’Arabia Saudita, definita "Regno
del bene" (sic).
Infatti,
ciò non aveva senso.
Per
capire, si dovettero aspettare un paio di giorni.
- Majid al-Majid fu riconosciuto al suo arresto essere un ufficiale dei servizi segreti sauditi, sotto la diretta autorità del principe Bandar bin Sultan. Dirigeva un ramo di al-Qaida che collegava a personalità eminenti del Medio Oriente.
Il
1 gennaio 2014, quattro giorni dopo l’annuncio saudita, si apprese
che l’esercito libanese aveva arrestato Majid al-Majid, cittadino
saudita a capo delle brigate Abdullah Azzam, ramo di al-Qaida in
Libano.
Ma
in seguito si apprese che l’arresto fu dovuto all’avviso della
Defense Intelligence Agency (DIA) statunitense del 24 dicembre.
Washington fu poi informata dall’esercito libanese che Majid
al-Majid venne ricoverato in ospedale per sottoporsi a dialisi.
L’esercito libanese si affrettò a ricoverarlo nell’ospedale
Maqasid, arrestandolo durante il viaggio in ambulanza da Ersal, il 26
dicembre, tre giorni prima dell’annuncio saudita.
Per
più di una settimana l’arresto del leader di al-Qaida in Libano fu
un segreto di Stato. Il saudita era ufficialmente ricercato nel suo
Paese per terrorismo, ma ufficiosamente era considerato un agente dei
servizi segreti sauditi agli ordini diretti del principe Bandar bin
Sultan. Aveva pubblicamente riconosciuto di aver organizzato numerosi
attentati, tra cui quello contro l’ambasciata iraniana a Beirut del
19 novembre 2013, che aveva ucciso 25 persone. Ecco perché
l’esercito libanese informò Riyadh e Teheran del suo arresto.
Nei
casi riguardanti il Libano, Majid al-Majid ha svolto un ruolo
importante nell’organizzare l’esercito jihadista di Fatah
al-Islam. Nel 2007, il gruppo cercò di aizzare i campi palestinesi
in Libano contro Hezbollah e di dichiarare l’emirato islamico nel
nord del Paese. Tuttavia, il suo mandante, l’Arabia Saudita,
l’abbandonò all’improvviso dopo un incontro tra il Presidente
Ahmadinejad e re Abdullah. Furiosi, i jihadisti si presentarono
armati nella banca di Hariri per essere pagati. Dopo alcuni
combattimenti, si ritirarono a Nahr al-Barad che l’esercito
libanese assediò. Dopo oltre un mese di combattimenti, il generale
Shamil Ruquz [3]
diede l’assalto e li schiacciò. Durante l’operazione
antiterrorismo, l’esercito libanese perse 134 soldati [4].
Majid
al-Majid era in contatto personale, diretto e segreto con molti
leader arabi e occidentali. Agli investigatori ebbe il tempo di
confermare l’appartenenza ai servizi segreti sauditi. E’ chiaro
che la sua confessione poteva sconvolgere la politica regionale.
Soprattutto se accusava Arabia Saudita e 14 Marzo libanese.
Un
deputato parlò della proposta saudita di 3 miliardi di dollari per
non registrare le confessioni di Majid al-Majid ed estradarlo a
Riyad. Il quotidiano al-Akhbar sostenne che il prigioniero non
era per nulla in pericolo e che poteva essere liquidato dai suoi
mandanti per assicurarsene il silenzio.
Il
giorno dopo l’editoriale, l’esercito libanese ne annunciava la
morte. Il corpo di Majid al-Majid fu sottoposto ad autopsia, ma a
differenza dei procedimenti penali, da un solo medico che concluse
che era morto per la malattia. Il suo corpo fu trasferito in Arabia
Saudita e sepolto alla presenza della famiglia e dei bin Ladin.
L’Iran
chiede chiare spiegazioni dal Libano sull’arresto e la morte di
Majid al-Majid. Ma non troppo forte, perché il presidente Ruhani
tenta di avvicinarsi anche all’Arabia Saudita.
Questa
è la sesta volta che il leader di un’organizzazione terroristica
filo-saudita che opera in Libano sfugge alla giustizia. Fu così per
Shaqir Absi, Hisham Qadura, Abdal Rahman Awadh, Abdal Ghani Jawhar e,
più recentemente, Ahmad al-Asir.
- François Hollande e il miliardario Saad Hariri a Riyadh. Sullo sfondo, i ministri Jean-Yves Le Drian e Laurent Fabius.
Comunque,
se re Abdullah ha speso 3 miliardi di dollari, pochi ne verranno
all’esercito libanese.
In primo luogo, la somma comprende tradizionalmente i reali "regali" per coloro che servono il re. Così, secondo il protocollo, il presidente Michel Sulayman ha immediatamente ricevuto a titolo personale 50 milioni di dollari, e il presidente François Hollande un importo proporzionale alla sua funzione, il cui importo è sconosciuto, se accettato o meno. Il principio saudita della corruzione si applica in modo identico a tutti i leader e alti funzionari libanesi e francesi che partecipavano alla transazione.
In secondo luogo, la maggior parte del denaro sarà pagato al Tesoro francese, per il trasferimento dalla Francia al Libano di armi e addestramento militare. Questa è la ricompensa per l’impegno militare coperto della Francia, dal 2010, nel fomentare i disordini in Siria e rovesciare l’alawita Assad, che il Custode delle Due Sacre Moschee non accetta come Presidente di una terra prevalentemente musulmana [5]. Tuttavia, poiché non esiste un listino prezzi, Parigi può decidere come valutare questa donazione. Così Parigi sceglierà anche tipo di armi e di addestramento. Già, poiché non si deve fornire materiale che può essere utilizzato successivamente per resistere efficacemente al principale nemico del Libano, Israele.
In terzo luogo, il denaro non serve per aiutare l’esercito a difendere il Paese, è invece destinato a dividerlo. L’esercito libanese è stato di gran lunga l’unica entità integra e multi-religiosa del Paese. L’addestramento sarà fornito dalla Francia per "francesizzare" gli ufficiali, piuttosto che per trasmettergli il loro know-how. Il denaro rimanente sarà utilizzato per costruire belle caserme e comprare belle vetture.
In primo luogo, la somma comprende tradizionalmente i reali "regali" per coloro che servono il re. Così, secondo il protocollo, il presidente Michel Sulayman ha immediatamente ricevuto a titolo personale 50 milioni di dollari, e il presidente François Hollande un importo proporzionale alla sua funzione, il cui importo è sconosciuto, se accettato o meno. Il principio saudita della corruzione si applica in modo identico a tutti i leader e alti funzionari libanesi e francesi che partecipavano alla transazione.
In secondo luogo, la maggior parte del denaro sarà pagato al Tesoro francese, per il trasferimento dalla Francia al Libano di armi e addestramento militare. Questa è la ricompensa per l’impegno militare coperto della Francia, dal 2010, nel fomentare i disordini in Siria e rovesciare l’alawita Assad, che il Custode delle Due Sacre Moschee non accetta come Presidente di una terra prevalentemente musulmana [5]. Tuttavia, poiché non esiste un listino prezzi, Parigi può decidere come valutare questa donazione. Così Parigi sceglierà anche tipo di armi e di addestramento. Già, poiché non si deve fornire materiale che può essere utilizzato successivamente per resistere efficacemente al principale nemico del Libano, Israele.
In terzo luogo, il denaro non serve per aiutare l’esercito a difendere il Paese, è invece destinato a dividerlo. L’esercito libanese è stato di gran lunga l’unica entità integra e multi-religiosa del Paese. L’addestramento sarà fornito dalla Francia per "francesizzare" gli ufficiali, piuttosto che per trasmettergli il loro know-how. Il denaro rimanente sarà utilizzato per costruire belle caserme e comprare belle vetture.
Tuttavia,
la donazione reale non potrà mai arrivare a tutti, in Libano.
Secondo l’articolo 52 della Costituzione [6],
per essere percepito il dono deve essere approvato prima dal
Consiglio dei Ministri e presentato al Parlamento. Tuttavia, il
governo dimissionario di Najib Miqati non si riunisce da nove mesi e
quindi non può trasmettere l’accordo al Parlamento per
ratificarlo.
Presentando
l’accordo ai libanesi, il presidente Michel Sulayman ha pensato
bene di precisare, senza essere richiesto, che i negoziati a Riyadh
non hanno comportato per nulla il possibile rinvio delle elezioni
presidenziali e l’estensione del suo mandato, o la composizione di
un nuovo governo. Questa precisione fa sorridere, in quanto è chiaro
che tutto ciò era al centro delle discussioni.
Il
presidente si è impegnato con i suoi omologhi saudita e francese a
formare un governo di "tecnocrati", senza sciiti o drusi,
da imporre al Parlamento. Il termine "tecnocrate" qui
indica alti funzionari internazionali che hanno fatto carriera presso
la Banca Mondiale, il FMI, ecc. dimostrando la loro docilità alle
pretese statunitensi. Si deve capire che il governo sarà composto da
filo-USA in un Paese che in maggioranza resiste all’impero. Ma non
riesce a trovare una maggioranza in Parlamento, con 3 miliardi?
Purtroppo,
il principe Talal Arslan, erede dei fondatori del Principato del
Monte Libano nel XII.mo secolo e presidente del Partito Democratico,
ha immediatamente ricordato al presidente Sulayman che, secondo
l’accordo di Taif [7]
l’esecutivo è ora monopolio del Consiglio dei Ministri [8]
e che dovrebbe riflettere la composizione religiosa del Paese [9].
Pertanto, un governo di tecnocrati è una violazione di tale accordo
e il presidente Sulayman sarebbe considerato un golpista a
prescindere dalla sua capacità nel corrompere il Parlamento.
La
cosa probabilmente non finisce qui: il 15 gennaio l’esercito
libanese ha arrestato sul confine siriano Jamal Daftardar, un
luogotenente di Majid al-Majid.
Il
presidente François Hollande sarà certamente dispiaciuto per il
fallimento del suo omologo libanese nel vendersi il Paese per 50
milioni di dollari, ma visto da Parigi, l’unica cosa che conta è
la spartizione dei rimanenti 2,999 milioni di dollari.
[1]
Ahmad Asi al-Jarba è un membro della tribù beduina Shamar, da cui
re Abdullah proviene. Prima degli eventi fu condannato per traffico
di droga in Siria. Gli Shamar sono nomadi che si muovono nei deserti
saudita e siriano.
[2]
"I magistrati e i funzionari di prima classe o equivalenti di
tutte le amministrazioni pubbliche, istituzioni pubbliche e altre
persone giuridiche di diritto pubblico, possono essere eletti
nell’esercizio delle loro funzioni e per due anni dalle dimissioni
e l’effettiva cessazione dell’esercizio delle loro funzioni o
alla data del pensionamento."
[3]
Il generale Ruquz, senza dubbio il più prestigioso militare
libanese, probabilmente avrebbe dovuto essere nominato Capo di Stato
Maggiore. Ma è il genero del generale Michel Aoun, presidente del
Movimento Patriottico Libero, alleato di Hezbollah.
[4]
"La
questione dei mercenari di Fatah al-Islam è chiusa",
Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 27 agosto 2007.
[5]
A seguito della firma del Trattato
di Lancaster House,
Francia e Regno Unito sono intervenute in Libia e in Siria per
organizzare pseudo-rivoluzioni e rovesciarne i governi. Tuttavia,
l’operazione siriana si rivelava un fallimento e Londra si ritirava
mentre Parigi continua a sostenere attivamente la "Coalizione
Nazionale" guidata dal saudita-siriano Ahmad Asi al-Jarba.
[6]
"Il Presidente della Repubblica negozia e ratifica i trattati in
accordo con il Capo del governo. Questi saranno considerati e
ratificati solo dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri. Il
Governo ne informa la Camera dei Deputati quando l’interesse e la
sicurezza dello Stato nazionale lo permettono. I trattati che
riguardano le finanze dello Stato, i trattati commerciali e i
trattati che non possono essere risolti alla fine di ogni anno,
possono essere ratificati solo dopo l’approvazione della Camera dei
Deputati."
[7]
"L’Accordo
di Taif",
Réseau Voltaire, 23 ottobre 1989
[8]
"Il Consiglio dei Ministri è l’organo esecutivo".
[9]
"Ogni autorità che contraddice la Carta della vita comune è
illegittima e illegale".
Silencio y traición por 3 000 millones de dólares
por
Thierry Meyssan
¿Por
qué decidió Arabia Saudita equipar el Ejército Libanés
con armamento francés por valor de 3 000 millones de
dólares cuando hace semanas que sus títeres en el Líbano no paran
de denunciar el lema «Pueblo-Ejército-Resistencia» y de
cuestionar la armonía entre los militares y el Hezbollah? ¿Y si
esta repentina generosidad fuese el precio a pagar por el silencio
libanés, el pago destinado a lograr que se olviden los cientos
de víctimas que el terrorismo saudita ha causado en el país
del cedro, la recompensa por la traición de París hacia
los compromisos de Francia en el Medio Oriente?
Red
Voltaire | Damasco | 16 de enero de 2014
La
visita de Francois Hollande en Arabia Saudita –donde llegó rodeado
de 30 grandes empresarios franceses–, el 29 y el 30 de diciembre de
2013, debía desarrollarse principalmente sobre temas económicos y
sobre el futuro de Siria y del Líbano. Los temas de política
internacional iban a discutirse entre franceses y sauditas aunque en
presencia de líderes libaneses –el presidente Michel Sleiman y el
ex primer ministro líbano-saudita Saad Hariri (considerado miembro
biológico de la familia real)– y del presidente de la Coalición
Nacional Siria, el siro-saudita Ahmad Assi Jarba [1].
Durante
la visita, Arabia Saudita anunció súbitamente la donación al
Ejército Libanés de 3 000 millones de dólares en armamento
francés. Esa muestra de generosidad se produce fuera del calendario
previamente establecido, en momentos en que una conferencia
internacional prevista para febrero o marzo debería abrir una
colecta de fondos para el Líbano en general y –en particular–
para el ejército de ese país. Nunca antes había recibido el
Líbano una donación de tales proporciones.
La
donación fue anunciada con toda solemnidad por el presidente
libanés, Michel Sleiman. Este general, convertido en jefe del
Estado Mayor del Ejército Libanés simplemente para evitar que ese
cargo fuese a parar manos de otro militar, fue impuesto como
presidente de la República, exactamente con el mismo objetivo, por
Francia y Qatar. Su elección como presidente por el parlamento
libanés violó el artículo 49 [2]
de la Constitución libanesa y Sleiman ni siquiera fue
investido como presidente de la República por su predecesor sino por
el entonces emir de Qatar.
En
su intervención, el presidente Sleiman expresó su agradecimiento
por la «makruma» real, o sea por la donación que el
soberano saudita concede a su servidor, y al concluir no lo
hizo con un «¡Viva el Líbano!» sino con un sonoro
«¡Viva Arabia Saudita!»
El
anuncio fue saludado efusivamente por el ex primer ministro
libanés Saad Hariri, quien quiso interpretarlo como el primer
paso hacia un futuro desarme del Hezbollah.
La
decisión de Riad resulta sorprendente ya que durante los últimos
meses el bando libanés prosaudita, representado fundamentalmente por
el 14 de Marzo y con Saad Hariri a la cabeza, había estado
arremetiendo constantemente contra las buenas relaciones entre
el Ejército Libanés y el Hezbollah.
Después
del anuncio de la donación saudita, una intensa campaña de
propaganda cubrió todo Beirut de carteles sobre la amistad entre el
Líbano y Arabia Saudita, calificada en los afiches como «el
Reino del Bien» (sic).
La
realidad es que todo el asunto no tiene el menor sentido.
Para
darse cuenta de ello sólo hubo que esperar unos pocos días.
El
1º de enero de 2014, sólo 4 días después del anuncio saudita, se
supo que el Ejército Libanés había arrestado a Majed al-Majed,
ciudadano saudita y jefe de las Brigadas Abdallah Azzam, rama
libanesa de al-Qaeda.
Un
poco más tarde se supo también que Majed al-Majed había sido
arrestado gracias a una alerta de la DIA (Defense Intelligence
Agency), o sea la Agencia de Inteligencia del Departamento de
Defensa de Estados Unidos, el 24 de diciembre de 2013. Ese día,
Washington había informado al Ejército Libanés que Majed
al-Majed acababa de ser hospitalizado en Líbano para someterse a una
diálisis. El Ejército Libanés lo localizó rápidamente
en el hospital Makassed y lo arrestó durante su traslado a Ersal, a
bordo de una ambulancia, el 26 de diciembre, o sea 3 días antes del
anuncio de la donación saudita.
El
arresto del líder de al-Qaeda en Líbano se mantuvo en secreto
por más de una semana. Oficialmente buscado en Arabia Saudita bajo
la acusación de terrorismo, Majed al-Majed era considerado sin
embargo un agente de los servicios de inteligencia sauditas, y un
agente que por demás recibía órdenes directas del príncipe Bandar
Ben Sultán. Majed al-Majed había reconocido públicamente haber
organizado numerosos atentados, como el perpetrado el 19 de noviembre
de 2013 –con saldo de 25 muertos– contra la embajada de Irán
en Beirut. Ante tales circunstancias, el Ejército Libanés
había informado a Riad y Teherán del arresto de Majed al-Majed.
Entre
otros casos de interés para el Líbano, Majed al-Majed había
desempeñado un papel importante en la formación de un ejército
yihadista en territorio libanés: el conocido Fatah al-Islam.
En
2007, ese grupo trató de sublevar contra el Hezbollah
los campamentos palestinos en Líbano y quiso proclamar un
emirato islámico en el norte de ese país. Pero quien realmente
movía los hilos del grupo –Arabia Saudita– abandonó su
marioneta sin previo aviso, como resultado de un encuentro entre el
presidente de Irán Mahmud Ahmadinejad y el rey Abdallah. Furiosos,
los yihadistas armados se presentaron en el banco de la familia
Hariri exigiendo el pago que no habían recibido. Después de
varios enfrentamientos, se replegaron hacia el campamento de Nahr
el-Bared, donde fueron cercados por el Ejército Libanés. Al cabo de
un mes de combates, el general Chamel Roukoz [3]
tomó el lugar por asalto y aplastó a los sublevados. Aquella
batalla contra el terrorismo costó al Ejército Libanés las
vidas de 134 soldados [4].
Majed
al-Majed estaba personalmente en contacto –contactos directos o
secretos– con numerosos dirigentes árabes y occidentales. Al ser
interrogado, tuvo tiempo de confirmar a sus interrogadores que era
miembro de los servicios secretos de Arabia Saudita. Es evidente que
sus confesiones podían conmocionar la política regional, sobre todo
al proporcionar pruebas que incriminan a Arabia Saudita y al 14 de
Marzo libanés.
Un
diputado mencionaba entonces una proposición saudita de 3 000
millones de dólares a cambio de que no se grabaran las
confesiones de Majed al-Majed y de que fuese extraditado a Riad. El
diario libanés Al-Akhbar ya estimaba que el detenido estaba
en peligro de muerte y que de todas maneras corría el riesgo de ser
asesinado por sus jefes para garantizar su silencio.
Al
día siguiente de la publicación de aquel editorial, el Ejército
Libanés anunciaba la muerte de Majed al-Majed. Se ordenó una
autopsia pero, contrariamente a lo previsto en el procedimiento
penal, esta fue realizada por un solo especialista, quien concluyó
que la muerte sobrevino a causa de la enfermedad que padecía el
occiso. El cuerpo fue trasladado a Arabia Saudita, donde fue
inhumado en presencia de sus familiares y de la familia ben
Laden.
Irán
sigue exigiendo al Líbano explicaciones más claras sobre el arresto
y muerte de Majed al-Majed, aunque sin demasiada insistencia ya
que el presidente Rohani está tratando también de implementar
un acercamiento a Arabia Saudita.
Es
la sexta vez que el jefe de una organización terrorista prosaudita
que opera en Líbano escapa a la justicia. Así sucedió
anteriormente con Chaker Absi y con Hicham Kaddoura, al igual
que con Abdel Rahmane Awadh, Abdel Ghani Jawhar y, más recientemente,
con Ahmad al-Assir.
En
todo caso, aunque el rey Abdallah haya desembolsado 3 000
millones de dólares no será ni remotamente esa suma
la que llegará al Ejército Libanés.
En
primer lugar, esa suma incluye tradicionalmente las «atenciones»
reales a quienes han servido al soberano. Por ejemplo, según el
Protocolo real que acompaña la donación, el presidente libanés
Michel Sleiman recibió de inmediato –a título personal–
50 millones de dólares, y el presidente francés Francois
Hollande recibe una suma acorde con su función, suma de la que se
ignora el monto y si Hollande la ha aceptado o no. El principio
saudita del soborno se aplica idénticamente a todos los dirigentes y
altos funcionarios –libaneses y franceses– que participaron
y que participarán en la transacción.
Segundo,
la parte fundamental de la suma donada irá a parar al Tesoro
Público francés y Francia se encargará de proporcionar al Líbano
el armamento y la formación militar correspondiente. Se trata, en
realidad, de retribuir la implicación militar secreta de Francia
–desde 2010– en las acciones destinadas a fomentar el desorden en
Siria y provocar el derrocamiento del alauita Bachar al-Assad, a
quien el Servidor de las Dos Mezquitas Sagradas no puede aceptar como
presidente de un país mayoritariamente musulmán [5].
Sin embargo, al no existir un catálogo de precios, París
evaluará a su antojo el volumen de armamento que puede
representar la suma donada. París decidirá también qué tipo
de armas y de formación proporcionará a cambio de esa suma. Para
empezar, ni hablar de proporcionar al Ejército Libanés
ningún tipo de armamento que pueda servir en algún momento
para enfrentarse eficazmente al principal enemigo del Líbano, que es
Israel.
Tercero,
si el objetivo de la donación saudita no es ayudar al Ejército
Libanés a defender el país es porque está destinada –por el
contrario– a sembrar la división entre los uniformados
libaneses. Más que proporcionarles una verdadera preparación
militar, la formación que Francia aportará a los militares
libaneses estará destinada a la «francización» de los
oficiales. Y el dinero que quede se destinará a la
construcción de bonitos cuarteles y a la compra de costosos
vehículos oficiales.
Por
otro lado, también existe la posibilidad de que no llegue al
Líbano ni un centavo de ese dinero. En efecto, según
el artículo 52 de la Constitución libanesa [6],
el donativo debe obtener la aprobación del consejo de ministros.
Pero el gabinete dimitente de Najib Mikati no se ha reunido en
9 meses y no ha podido por ende transmitir esa
aprobación al parlamento para que la ratifiquen los diputados.
Al
presentar el donativo a los libaneses, el presidente Michel Sleiman
creyó oportuno precisar, sin que nadie se lo pidiera, que en
las negociaciones con Riad no se mencionó una posible
posposición de la elección presidencial libanesa con prórroga
de su propio mandato, ni tampoco la composición de un
nuevo gobierno. Una precisión que da risa porque resulta evidente
que esos fueron precisamente los principales puntos de la
negociación.
El
presidente libanés se comprometió ante sus interlocutores sauditas
y franceses a formar un gobierno de «tecnócratas»,
sin chiitas ni drusos, y a imponerlo al parlamento.
El término «tecnócrata» se aplica en este caso a
una serie de altos funcionarios internacionales que han hecho carrera
en el Banco Mundial, el FMI, etc., y también mostrando su sumisión
al credo estadounidense. O sea que será un gobierno de
proestadounidenses en un país que se resiste al dictado del Imperio.
Pero ¿no se puede lograr una mayoría en el parlamento con
3 000 millones de dólares?
Por
desgracia, el príncipe Talal Arslane, heredero de los fundadores del
principado del Monte Líbano en el siglo XII y presidente del Partido
Demócrata, arremetió de inmediato contra el presidente recordándole
que, en virtud del Acuerdo de Taef [7],
en Líbano el poder ejecutivo es una prerrogativa del consejo de
ministros [8]
y que este último tiene que reflejar obligatoriamente la composición
confesional del país [9].
Lo anterior quiere decir que la formación de un gobierno de
tecnócratas en Líbano constituye una violación flagrante del
Acuerdo de Taef. lo cual convertiría al presidente Sleiman en
un golpista, sea cual sea su capacidad para sobornar al
parlamento.
Pero
es muy probable que el asunto no termine ahí. El 15 de enero,
el Ejército Libanés detuvo en la frontera a Jamal Daftardar, uno de
los lugartenientes de Majed al-Majed.
El
presidente Francois Hollande seguramente va a deplorar profundamente
que su homólogo libanés fracase en su intento de vender su propio
país por 50 millones de dólares. Pero de todas
maneras, visto desde París, lo importante es la repartición
de los 2 999 millones restantes.
[1]
Ahmad Assi Jarba pertenece a la tribu beduina de los Chamar, de la
que también proviene el rey Abdallah. Antes del inicio de los
incidentes, Jarba ya había sido condenado en Siria por tráfico de
drogas. Los Chamar son nómadas que se mueven a través del desierto
de Arabia y de Siria.
[2]
«Los magistrados y funcionarios de la primera categoría o
su equivalente en todas las administraciones públicas,
establecimientos públicos y toda otra persona moral de derecho
público no pueden ser elegidos durante el ejercicio de sus
funciones ni durante los 2 años siguientes a la fecha de
su dimisión y al cese efectivo del ejercicio de sus funciones o a la
fecha de su jubilación.»
[3]
El general Roukoz, sin lugar a dudas el militar más prestigioso del
Líbano, era quien hubiese tenido que ser designado como jefe del
Estado Mayor. Pero es yerno del general Michel Aoun, presidente de la
Corriente Patriótica Libre, formación aliada del Hezbollah.
[4]
«Le
dossier des mercenaires du Fatah al-Islam est clos»,
por Thierry Meyssan, Réseau Voltaire,
27 de agosto de 2007.
[5]
A raíz de la firma del Tratado de Lancaster House, Francia y el
Reino Unido intervinieron en Libia y en Siria organizando en esos
países seudorevoluciones y destrucciones de Estados. Pero, al
resultar la operación siria un fracaso, Londres se retiró de ella
mientras que París sigue apoyando activamente a la «Coalición
Nacional»
dirigida por el saudo-sirio Ahmad Assi Jarba.
[6]
«El
Presidente de la República negocia los tratados y los ratifica de
común acuerdo con el Jefe del Gobierno. Estos [los tratados] sólo
se considerarán ratificados después de obtener la aprobación del
Consejo de Ministros. El Gobierno informa a la Cámara de Diputados
[sobre los tratados] cuando el interés del país y la seguridad del
Estado así lo permiten. Los tratados con implicaciones para las
finanzas del Estado, los tratados comerciales y todos los tratados
que no pueden ser anulados al expirar cada año sólo pueden
ser ratificados después de obtener la aprobación de la Cámara de
Diputados.»
[7]
«Accord
de Taëf»,
Réseau Voltaire,
23 de octubre de 1989.
[8]
«El
Consejo de Ministros representa el poder ejecutivo.»
Intellettuale
francese, presidente-fondatore del Rete Voltaire e della conferenza
Axis for Peace. Pubblica
analisi di politica internazionale nella stampa araba,
latino-americana e russa. Ultimo libro pubblicato: L’Effroyable
imposture : Tome 2, Manipulations et désinformations (éd.
JP Bertand, 2007). Recente libro tradotto in italiano: Il
Pentagate. Altri documenti sull’11
Nessun commento:
Posta un commento