28/05/2014
Comunicato
di Union Borotba (Lotta) sulle "elezioni di sangue" in
Ucraina
Le cosiddette elezioni, tenute dalla giunta Kiev il 25 Maggio, non si possono considerare giuste o legittime. Le elezioni tenute nel bel mezzo della guerra civile nella parte orientale del paese e del terrore neonazista nel Sud e Centro, non sono state libere.
Lo stesso corso della campagna elettorale è stato senza precedenti con ogni inimmaginabile violazione delle norme democratiche. I candidati presidenziali sono stati picchiati e non è stata permessa la campagna. Diversi candidati si sono ritirati per protesta contro la farsa.
A Odessa e in altre regioni, sono stati documentati casi di seggi "sorvegliati" da unità ultra-nazionaliste portati da Kiev e dall'Ucraina occidentale. Ciò non può essere definito altro che come una pressione esplicita sugli elettori.
In Crimea e nelle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, le cosiddette elezioni non si sono svolte. Nelle regioni Odessa e Kharkov, i seggi erano quasi vuoti. Molti di coloro che sono andati a votare hanno annullato il loro voto, scrivendo slogan contro la giunta di Kiev. Tuttavia, la cosiddetta Commissione Elettorale Centrale ha dichiarato una partecipazione del 60%!
Migliaia di persone in diverse città del paese sono scese in strada per protestare contro le "elezioni di sangue". Tuttavia, i risultati annunciati dalla giunta saranno riconosciuti dell'obbediente Commissione Elettorale Centrale e dagli osservatori Occidentali.
Va notata l'ipocrisia dei cosiddetti campioni delle elezioni giuste. Essi criticano le elezioni viziate nella Federazione Russa e in altri paesi, ma adesso chiudono un occhio alla palese falsificazione e
flagrante violazione delle "elezioni" del 25 Maggio. Questo dimostra ancora una volta che il criterio dell'"onestà" per l'opinione pubblica liberal ufficiale non è reale rispetto alle procedure elettorali, ma è leale al regime che tiene le elezioni per l'imperialismo occidentale.
Come previsto, il vincitore dell'"elezione" presidenziale è stato il miliardario Poroshenko. Poroshenko, insieme ad altri miliardari come Igor Kolomoisky e Sergei Taruta, è divenuto la personificazione del trasferimento diretto del potere statale ai grandi capitalisti. Poroshenko è il principale esempio della classe dirigente dell'Ucraina "indipendente" – la parassitaria oligarchia borghese che ha saccheggiato il paese negli ultimi 20 anni.
Il percorso politico di Poroshenko è rivelatore. Alla fine degli anni '90 era un membro leale dell'allora Presidente Kučma del Partito Social Democratico d'Ucraina (Unito). Poi fu uno dei fondatori del Partito delle Regioni. Poi - un amico e alleato del presidente Viktor Yushchenko. Un leader lobbista per la cosiddetta "integrazione Europea", Poroshenko è infine diventato uno dei leader e sponsor di Euromaidan.
Non c'è dubbio che Poroshenko continuerà il corso di Turchinov e Yatsenyuk nell'interesse di un sottile strato dell'oligarchia. Poroshenko continuerà la sporca guerra della giunta contro il proprio popolo nel Donbass. Poroshenko continuerà ad attuare le misure antipopolari imposte dal FMI portando il Paese al disastro economico.
Il trasferimento diretto del potere all'oligarchia e il rafforzamento delle tendenze neo-fasciste sono conseguenze dirette di Euromaidan, come Unione Borotba aveva avvertito lo scorso autunno. Solo le persone politicamente molto ingenue potevano aspettarsi un risultato diverso da un movimento guidato da neoliberisti e ultra-nazionalisti, e sponsorizzato dai più grandi capitalisti.
I risultati hanno mostrato una sconfitta devastante per i nazionalisti radicali - e Tyagnybok [leader di
Svoboda] e Yarosh [leader di Settore Destro], che insieme hanno raggiunto solo il 2 %. Il terrore contro il popolo, contro la sinistra e le forze democratiche e lo spiegamento di unità combattenti nazionaliste, non hanno promosso la crescita della popolarità delle forze fasciste. Tuttavia, nonostante il loro scarso sostegno pubblico, l'estrema destra rimarrà un elemento importante del sistema politico della dittatura Kiev. Il loro ruolo è la violenta repressione degli oppositori del regime oligarchico. Questo è il ruolo tipico dei movimenti fascisti.
Noi non riconosciamo l'esito di queste pseudo-elezioni ignorate dalla maggioranza. Noi continueremo la campagna di disobbedienza civile contro la giunta di oligarchi e nazionalisti.
Original :
Chi
uccide e chi muore in Venezuela
Modesto Emilio Guerriero | aporrea.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Gli assassini di una delle guardie del corpo del presidente Maduro e di un dirigente chavista di primo piano evidenziano che la campagna della destra, orchestrata a Miami, Colombia e nello stesso Venezuela, viaggia verso una violenza senza freni. Durante i primi giorni di maggio in Venezuela sono stati assassinati in pochi giorni una guardia del corpo del presidente Nicolás Maduro e un personaggio centrale del chavismo, Eliécer Otaiza. Entrambi i fatti hanno fatto scattare l'allarme rosso, procurando un'ansia paragonabile solo a quella sperimentata con la violenza sfrenata tra febbraio e marzo di quest'anno. Otaiza aveva partecipato alla fondazione del movimento chavista o bolivariano, ma quando è stato ammazzato ricopriva un'alta carica rappresentativa nell'amministrazione della capitale. Insieme al fratello gemello, ha accompagnato Hugo Chávez da quando uscì di prigione nel luglio 1994, come guardia nel pellegrinaggio che fece in centinaia di città, paesi, campagne e quartieri venezuelani, nel corso del quale il leader bolivariano diffuse il messaggio del nuovo movimento nazionalista germogliato due anni prima, il 4 febbraio 1992.
Nel mondo, non si ammazzano guardie del corpo presidenziali e leader politici tutti i giorni. In realtà, i resoconti giornalistici riportano solo 6 casi negli ultimi 23 anni, di cui 4 avvenuti in attacchi golpisti in Africa centrale, 1 nella recente crisi ucraina e il sesto in Colombia.La ragione di un numero così scarso di episodi criminali di questo tipo nella lotta politica internazionale è che eliminare una guardia del corpo presidenziale o qualcuno con un percorso militante come Eliécer Otaiza in Venezuela, così vicino al governo, rappresenta come un atto diretto contro il centro stesso del potere. Il presidente venezuelano e il suo ministro dell'Interno definirono il caso come un "crimine politico pianificato da Miami", dove una parte dell'opposizione conservatrice venezuelana tesse le sue cospirazioni, assolda mercenari e addestra militarmente giovani studenti conservatori. In realtà, è ben più che Miami. Si sono create nicchie di cospirazione e addestramento a Bogotà, Táchira e nelle grandi tenute dei ricchi allevatori venezuelani. Alcuni gruppi di paramilitari, disoccupati in Colombia, sono diventati molto attivi tra l'opposizione venezuelana. Il punto di partenza per qualunque approccio su ciò che accade in Venezuela è il grado di incompatibilità assoluta tra il Venezuela come stato-nazione, come governo, sistema politico e movimento sociale, e il dominio emisferico statunitense. In questo contesto si sviluppa il complicato dilemma interno di saper finire quello che si è cominciato.
Questo distacco del dominio yankee spiega che la società venezuelana è soggetta dal 2002 alla più crudele delle pressioni esterne e interne volte a minare la sua governabilità, frenare lo sviluppo e sconfiggere le sue forze sociali. In 12 anni ci sono stati un colpo di stato nell'aprile 2002, benché sconfitto nelle successive 47 ore, tre complotti golpisti nel 2003, 2004 e 2005, oltre a un attacco industriale e petrolifero. Si contano anche per lo meno 4 tentativi di assassinare Chávez e circa 250 aggressioni a funzionari governativi. Il totale dei chavisti assassinati tra il 2002 e il 2014 è spaventoso: 357. Esso include i 7 medici cubani assassinati o feriti e i 256 contadini crivellati dal 2003. Questa macabra statistica avvicina il Venezuela a scenari di violenza politica acuta come quella della Colombia, dove la borghesia impone la sua pace sociale a suon di pallottole, persecuzioni e deportazioni. Per essere precisi, i suoi promotori mirano a trasformare il paese in qualcosa di simile a quello che avviene da un anno a questa parte in Siria o da tre mesi in Ucraina.
Il Venezuela corre il rischio di una guerra civile provocata, diretta e finanziata dai gruppi di potere degli Stati uniti, da parte dei governi della destra latinoamericana, utilizzando a tal scopo come la cavalleria alcuni settori dell'opposizione venezuelana, cioè l'avanguardia necessaria che agisce in nome di tutti i capitalisti.Ci sono altri morti con altri responsabili che tuttavia non andrebbero imputati al governo, né al sistema politico. Si tratta di 5 operai caduti in uno sciopero per mano della polizia agli ordini di un governatore bolivariano corrotto, in una città dell'interno, e 3 morti nello Stato di Aragua, nel centro-nord del paese, nel corso di una disputa tra sindacalisti classisti e un gruppo della burocrazia corporativa filogovernativa. Ciò che definisce il processo bolivariano è l'attacco permanente di Washington e della borghesia latinoamericana per abbatterlo. In questo scenario di tensioni costanti, il governo e la direzione politica del
La mappa della morte
Ma queste due vittime dei sicari politici dell'opposizione non sono apparse come fatti polizieschi e ancor meno come idee balorde di rivalsa conservatrice. Otaiza e l'appartenente alla sicurezza di Maduro sono solo due sintomi del dramma nazionale in corso. Tra febbraio e maggio, una parte dell'opposizione è stata protagonista di una "rivolta dei ricchi", come venne titolata con arguzie giornalistica dal corrispondente di The Guardian, sorpreso dall'abbigliamento e dalle auto lussuose delle persone che vedeva sulle barricate. Da quella rivolta risultarono 48 morti, dei quali solo 15 oppositori. La cosa sorprendente in termini umani di questa statistica, si somma ad una sorpresa più sconcertante. Le due cifre di questi morti si invertono nelle teste dell gente disinformata - la maggioranza - che si orienta con le informazioni pubblicate accuratamente nelle catene televisive e quotidiani dominanti e da giornalisti senza scrupoli come Jorge Lanata o deputati legati agli oppositori venezuelani, come Federico Pinedo
Tra il 12 febbraio e il 28 di marzo, agenzie come la colombiana NTN24, la CNN e quotidiani come El País e ABC in Spagna, Miami Herald, El Nacional di Caracas e Clarín di Buenos Aires, rispetto ai fatti venezuelani hanno pubblicato 21 fotografie ad alto contenuto di violenza, però avvenuta in altri paesi, copiandole dalle "reti sociali". Uno delle principali vettori di questa falsa informazione è sono i media di J. J. Rendón, ex consigliere di Manuel Santos e Uribe Vélez, uno dei più importanti cospiratori venezuelani all'estero (vive a Miami dal 2006). Con quelle immagini di morte e di violenza hanno costruito relazioni giornalistiche false. In ognuna di esse apparivano giovani o donne colpite da agenti di sicurezza. Quelle fotografie o riprese video furono usate dagli editori per titolare articoli che affermavano che "il governo spara e tortura la società civile e gli studenti oppositori", come hanno detto la CNN e il Miami Herald e ripreso gli altri media. Con quella falsificazione su larga scala hanno ottenuto due cose: convincere mezzo pianeta che in Venezuela esiste una dittatura assassina e, contemporaneamente, invertire i fatti reali. Molta gente si convinse che i morti erano tutti oppositori. "Giovani studenti indifesi che escono disarmati nelle strade per reclamare i loro diritti democratici contro un governo dispotico che spara a distanza ravvicinata", raccontava il conduttore Jorge Lanata in uno dei suoi programmi, forse una proiezione psichica per soddisfare un desiderio profondo.
Questa truffa informativa deliberata si trasforma in grossolanità giornalistica appena si approfondisca la realtà. Risulta che dei 15 caduti dell'opposizione, solo 5 sono di responsabilità governativa e appena 3 per mano dei militanti chavisti. In termini di responsabilità politica, tutti i morti, compresi quelli degli oppositori sono stati causati dalla "rivolta dei ricchi", cominciata a febbraio senza una fine prevista. Mercoledì 7 maggio, due mesi e mezzo dopo, continuavano ancora le azioni violente dei gruppi oppositori. Ci sono segnali di un'altra rivolta per giugno, protetta dai Mondiali di calcio.A differenza dei dirigenti dell'opposizione venezuelana e dei loro soci giornalisti e parlamentari all'estero, il governo si è assunto la responsabilità delle azioni dei suoi membri. Ha destituito il capo della polizia che disubbidì all'ordine presidenziale di non sparare il 12 febbraio e ha portato in giudizio una decina agenti della guardia nazionale, in alcuni casi per atti di violenza personale. Le altre sette persone dell'opposizione sono cadute per effetto dalle proprie azioni, sulle barricate o in incidenti individuali nel corso delle azioni violente. La procura li ha definiti casi di "morte indiretta", perché non ci fu intenzionalità. Può essere, ma in termini politici, esiste una causa certa: le barricate organizzate da loro stessi come parte di una rivolta "dei ricchi" In queste azioni contro il governo, tre militanti dell'opposizione si sono uccisi con le loro mani: a uno scoppiò un mortaio che si preparava ad usare contro la Guardia nazionale, un altro rimase fulminato abbattendo un'insegna pubblicitaria per fare una barricata e il terzo cadde da una terrazza, in un quartiere ricco di Caracas, dopo aver sparato contro i corpi di sicurezza dello stato.
Questo emerge da queste cinque fonti consultate sul web: Red de Apoyo por la Justicia y la Paz, Provea, Amnistía Internacional, Red de colectivos La Araña Feminista, Centro para la Paz y los Derechos Humanos de la UCV e il quotidiano digitale Aporrea che hanno registrato quotidianamente le morti. Il resto dei morti per atti violenti si divide in due tipologie: 15 senza attività politica e che potrebbero essere registrati né chavisti, né antichavisti. Gli altri 18 morti erano chavisti o bolivariani di tre tipi: 10 sono registrati come membri dei corpi di sicurezza (Custodia Presidencial, GNB, PNB e SEBIN), 1 era un funzionario della Procura generale, i rimanenti avevano militato col PSUV o in raggruppamenti sociali bolivariani. A questi ultimi due gruppi appartenevano Eliécer Otaiza e la guardia del corpo presidenziale. (…) I componenti attivi del soggetto fascista che ha animato gli scontri sono gli studenti delle università private e privatizzate. Anche alcuni distaccamenti della classe povera delle baraccopoli dei quartieri marginali di Caracas e di due o tre grandi città. I suoi operatori sul terreno sono gruppi di paramilitari associati e finanziati dalla Fondazione Internazionalismo per la Democrazia, diretta dall'ex presidente colombiano Álvaro Uribe Vélez. Contano anche su appoggio tattico di gruppi neonazisti provenienti dall'Europa come il noto Otpor, che in comunione con altre Ong come la NED, Canvas, AEI e Freedom House, orientano, organizzano e armano con tattiche e metodi diversi, oltre 2000 studenti addestrati militarmente a Miami e in Colombia alle tecniche di guerra (civile) "di bassa intensità."
La relazione ufficiale presentata lo scorso 2 maggio dal ministro dell'Interno del Venezuela, Rodríguez Torres, è dettagliata, basata su dati, fonti, testimonianze e documentazione ottenuta dal governo bolivariano (Vedere "30 claves del plan insurreccional contra Venezuela" , poderenlared.com del 5 maggio 2014). Il carattere di questo soggetto sociale nuovo obbliga a ripensare tutto quello che ha affrontato fino ad ora la "rivoluzione bolivariana" e il suo governo. Se questo fascismo non sarà distrutto, la "rivoluzione bolivariana" si incamminerà inesorabilmente verso una sconfitta come quella guatemalteca del 1954, argentina del1955, brasiliana del 1964, cilena del 1973, peruviana del 1975, boliviana del 1977 o salvadoregna del 1982. L'altra strada è ugualmente pericolosa benché sia diversa, perché si basi sull'illusione che una "opposizione democratica" affronterà un'altra che non lo è. Chi uccide e chi muore in Venezuela non è una cronaca giornalistica o una statistica sociale. Affinché non si trasformi in un record perverso, grottesco, del disastro umano in cammino, deve essere fermato "prima che sia tardi", come ha sottolineato al presidente Maduro il capitano della Guardia nazionale bolivariana, José Guillén Araque, il 12 febbraio, "morto con un colpo in fronte il 17 marzo mentre tentava di ostacolare una barricata" (L. Bracci, Alba Ciudad, 15/4/14). La frase la fece conoscere proprio lo stesso presidente nella camera ardente il 18 di quel mese, tuttavia il suo contenuto trascende la necessità di un programma sociale, politico e militare: combattere per tempo il fascismo venezuelano.
Quien mata y quien muere en Venezuela
Por: Modesto Emilio Guerrero
Los
asesinatos de un custodio del presidente Maduro y de un destacado
dirigente chavista evidencian que la campaña de la derecha,
orquestada desde Miami, Colombia y la propia Venezuela, se ha
inclinado por la violencia sin freno. Durante
los primeros días de mayo fueron asesinados en Venezuela, con pocos
días de diferencia, un custodio del presidente Nicolás Maduro y un
personaje central del chavismo llamado Eliécer Otaiza. Ambos hechos
pusieron las alarmas en rojo, causando remezones solo comparables a
los vividos en el país por la violencia desatada entre febrero y
marzo de este año. Este
último hombre, Otaiza, había participado en la fundación del
movimiento chavista, o bolivariano, pero además tenía, cuando lo
mataron, un alto cargo de representación en el poder municipal de la
capital. Junto con su hermano mellizo, acompañaron a Hugo Chávez
desde que salió de la cárcel en julio de 1994, como custodios en la
romería que hizo por centenares de ciudades, pueblos, campos y
barrios venezolanos, en los que el líder bolivariano difundió el
mensaje del nuevo movimiento nacionalista brotado dos años antes, el
4 de febrero de 1992.
No
se matan custodios presidenciales y líderes políticos todo los días
en este mundo. De hecho, los registros periodísticos solo reseñan
seis casos en los últimos 23 años, cuatro de ellos en asaltos
golpistas en África Central, uno en la reciente crisis de Ucrania y
un sexto en Colombia.La
razón para un registro tan escaso de episodios criminales de ese
rango en la lucha política internacional es que eliminar a un
custodio presidencial o alguien con la trayectoria militante de
Eliécer Otaiza en Venezuela, tan cercano al gobierno como él, es un
acto directo contra el centro mismo del poder. El presidente
venezolano y su ministro del Interior definieron el caso como un
“crimen político planificado desde Miami”, donde una parte de la
oposición derechista venezolana fragua sus conspiraciones, contrata
mercenarios y entrena militarmente a jóvenes estudiantes
derechistas. En realidad, es más que Miami. Se han verificado nichos
de conspiración y entrenamiento en Bogotá, Táchira y haciendas
grandes de ricos ganaderos venezolanos. Algunos grupos de
paramilitares, desocupados en Colombia, se han vuelto muy activos
entre la oposición venezolana. El
punto de partida para cualquier aproximación a lo que pasa en
Venezuela es el grado de incompatibilidad absoluta entre Venezuela
como Estado-nación, como gobierno y sistema político y como
movimiento social, frente al dominio hemisférico estadounidense. En
ese contexto se desarrolla el complicado dilema interno de saber cómo
terminar lo comenzado.
Ese
distanciamiento del dominio yanqui explica que la sociedad venezolana
esté sometida desde el año 2002 a la más cruel de las presiones
externas e internas para descalabrar su gobernabilidad, frenar su
desarrollo y derrotar sus fuerzas sociales. En 12 años ha sufrido un
golpe de Estado en abril de 2002, aunque derrotado en las siguientes
47 horas, luego tres intentonas golpistas en 2003, 2004 y 2005,
además de un paro industrial y petrolero. También se cuentan por lo
menos cuatro intentos de magnicidio a Chávez y alrededor de 250
agresiones a funcionarios gubernamentales. La suma de los chavistas
asesinados entre 2002 y 2014 aterroriza: 357. Incluye los siete
médicos cubanos asesinados o heridos y los 256 campesinos
acribillados desde 2003. Esa
estadística macabra acerca a Venezuela a escenarios de violencia
política aguda como el de Colombia, donde la burguesía impuso su
paz social a balas, persecución y desplazamientos. Para ser
precisos, sus promotores tienen el proyecto de convertir al país en
algo similar a lo que estamos presenciando desde un año atrás en
Siria, o hace tres meses en Ucrania. Venezuela se enfrenta al riesgo
de una guerra civil provocada, dirigida y financiada por grupos de
poder de EE.UU., por gobiernos de la derecha latinoamericana, usando
para ello a sectores de la oposición venezolana que se han
desprendido para actuar como la caballería, la vanguardia necesaria
que actúa en nombre de todos los capitalistas. Hay
otros muertos con otros responsables, que sin embargo, no definen al
gobierno ni al sistema político. Se trata de cinco obreros caídos
en medio de una huelga por acción policial bajo órdenes de un
gobernador bolivariano corrupto en una ciudad del interior, y tres
más que cayeron en el Estado de Aragua, ubicado en el centro-norte
del país, en medio de una disputa entre sindicalistas clasistas y un
grupo de la burocracia gremial oficialista.
Lo
que define al proceso bolivariano es el ataque permanente de
Washington y las burguesías latinoamericanas para derrocarlo. En ese
escenario de tensiones constantes, el gobierno y la dirección
política del chavismo se debate entre políticas duales que en
muchos casos han sido acertadas, pero en otras ha convertido los
crímenes en casos policiales, incluso aislados, donde el proyecto
revolucionario contenido en el Programa de la Patria y el Golpe de
Timón se subordina al incidente. En ese tratamiento policial del
incidente se disuelve la fuerza social que debe sostener la defensa
de las conquistas del proceso revolucionario y hacerlo avanzar.
El
mapa de la muerte. Pero estas dos víctimas resonantes del sicariato
político opositor en el país no aparecieron en el escenario como si
fueran sucesos policiales, y menos como caprichos de la revancha
derechista. Otaiza y el miembro de la seguridad de Maduro son apenas
dos síntomas escandalosos del drama nacional en curso.
Entre
febrero y mayo, una parte de la oposición protagonizó una “revuelta
de ricos”, como tituló con buen tino periodístico el corresponsal
de The Guardian, sorprendido por el atuendo personal y los autos
lujosos de las personas que vio en las marchas y en las barricadas.
De esa revuelta resultaron 48 muertos, de los cuales solo 15 son
opositores.
A
lo sorprendente en términos humanos de esta estadística, se suma
una sorpresa más desconcertante. Estas dos cifras de muertos se
invierten en las cabezas de gente desinformada –la mayoría–, que
se orienta por las informaciones editadas cuidadosamente en las
cadenas televisivas y diarios dominantes y por periodistas sin
escrúpulo como Jorge Lanata, o diputados asociados a los opositores
venezolanos, como Federico Pinedo.
Entre
el día 12 de febrero y el día 28 de marzo, cadenas como NTN24, de
Colombia, CNN, y diarios como El País y ABC, de España, Miami
Herald, El Nacional de Caracas y Clarín, de Buenos Aires, ubicaron
dentro del acontecimiento venezolano 21 imágenes fotográficas de
alta violencia, pero ocurridas en otros países. Las copiaban de las
“redes sociales” desde fuentes armadas en territorio venezolano y
colombiano. Una de las principales agencias de esa información falsa
fue la empresa de medios de J. J. Rendón, ex asesor de Juan Manuel
Santos y Uribe Vélez, uno de los más destacados conspiradores
venezolanos en el exterior (vive en Miami desde 2006). Con
esas imágenes de muerte y violencia construyeron informes
periodísticos falsos. En cada una de ellas aparecían jóvenes o
mujeres golpeadas por agentes de seguridad. Esas fotografías o
filmaciones de video fueron usadas por los editores para titular
informes en los que afirmaban que “el gobierno dispara y tortura a
la sociedad civil y estudiantes opositores”, como dijeron la CNN y
el Miami Herald y replicaron los otros medios.
Con
esa falsificación a gran escala lograron dos cosas. Convencer a
medio planeta de que en Venezuela existe una dictadura asesina y al
mismo tiempo, invertir los hechos de la realidad: mucha gente quedó
convencida de que los muertos son todos opositores. “Jóvenes
estudiantes indefensos que salen desarmados a las calles para
reclamar por sus derechos democráticos contra un gobierno despótico
que les dispara a mansalva”, así relató el conductor Jorge Lanata
en uno de sus programas, quizás una proyección psíquica para
satisfacer un deseo profundo. Esta
estafa informativa deliberada se convierte en grosería periodística
cuando hurgamos en la realidad. Resulta que de los 15 caídos de la
oposición solo 5 son de responsabilidad gubernamental y apenas 3 por
acción de la militancia chavista. En
términos de responsabilidad política, todos los muertos, incluidos
los de gente opositora, fueron causados por la “revuelta de ricos”
comenzada en febrero sin fin previsto. El día miércoles 7 de mayo,
dos meses y medio después, aún continuaban los actos violentos de
los grupos opositores. Hay señales de otra revuelta para junio,
amparados en el Mundial de Fútbol. A
diferencia de los dirigentes de la oposición venezolana y sus socios
periodísticos y parlamentarios en el exterior, el gobierno se hizo
responsable por las acciones de sus miembros. Destituyó al jefe
policial que desobedeció la orden presidencial de no disparar el 12
de febrero y mantiene a una decena de guardias nacionales procesados
judicialmente, en algunos casos por ejercer actos de violencia
personal.
Las
otras siete personas de la oposición, cayeron por efecto de sus
propias acciones, dentro de las barricadas o en accidentes
individuales en acciones violentas. La Fiscalía llamó a este tipo
de casos “muerte indirecta”, porque no hubo intencionalidad.
Puede ser, pero en términos políticos, sí existe una causa
identificada: las barricadas organizadas por ellos mismos como parte
de una revuelta “de ricos”.
De
esas acciones contra el gobierno resultaron muertos tres militantes
opositores por sus propias manos: a uno le explotó un mortero que
preparaba contra la Guardia Nacional, otro se electrocutó derribando
una valla publicitaria para hacer una barricada y el tercero se cayó
de una terraza en un barrio rico de Caracas, luego de disparar contra
los cuerpos de seguridad del Estado.
Así
se desprende de estas cinco fuentes consultables en la web: Red de
Apoyo por la Justicia y la Paz, Provea, Amnistía Internacional, Red
de colectivos La Araña Feminista, Centro para la Paz y los Derechos
Humanos de la UCV, y el diario web Aporrea, que llevó el registro
diario de las víctimas mortales.
El
resto de los fallecidos por actos violentos se divide en dos tipos de
personas: 15 vecinos y vecinas sin actividad política, que podrían
ser contabilizadas como ni chavistas ni antichavistas. Los otros 18
caídos mortales eran chavistas o bolivarianos de tres tipos: 10
están registrados como miembros de los cuerpos de seguridad pública
del Estado (Custodia Presidencial, GNB, PNB y el SEBIN), 1 era fiscal
del Ministerio Público, el resto tenía actividad militante conocida
con el PSUV o agrupaciones sociales bolivarianas. A estos dos últimos
grupos pertenecieron Eliécer Otaiza y el guardaespaldas
presidencial.
Al
fascismo no se le discute. La periodista radial y militante
bolivariana Hindu Anderi se preguntaba en un artículo de opinión
reciente: “¿Después de Otaiza quién sigue?” (Aporrea, 5 de
mayo 2014). El aparente tremendismo de la expresión puede confundir
a quienes creen, a veces con ingenuidad, que la política, en su
dimensión más histórica, se reduce a una cuestión de poder, de
relaciones de fuerza o, peor, de hechos consumados a los que hay que
adaptarse.
La
respuesta a la inquietante cuestión planteada por Anderi nos devela
las complejas dimensiones del acontecimiento venezolano.
La
dimensión mediática nos muestra que mientras no se modifique la
cultura dominante, ellos tendrán ganada esa batalla, porque el
mensaje elaborado en los medios encontrará en “la gente” el
sentido común que necesita para convertir en verdad hasta la mentira
más grosera. Por ejemplo, que Venezuela es una dictadura, que no hay
libertad de prensa y que los muertos son inocentes estudiantes
opositores.
En
cambio, la dimensión político-militar no está en las manos de
ellos. La defensa del proceso bolivariano dependerá de que tenga,
como comprensión rectora, que “al fascismo no se le discute, se le
destruye”, como gritaba Buenaventura Durruti durante la Guerra
Civil Española, contra los republicanos, socialistas y comunistas
moderados de la República.
Matar
altos funcionarios, custodios presidenciales o agentes de la Guardia
Nacional Bolivariana es un acto límite en cualquier enfrentamiento
político, en este caso entre chavismo y antichavismo. Allí nace la
justificable duda de la periodista venezolana Hindu.
En
términos más amplios, también es un acto límite en la conducta
humana, matar ciudadanos desarmados por diferencias de opinión o
llevar una remera roja del chavismo o un tatuaje del rostro de Chávez
en el brazo. Los opositores venezolanos han atravesado esos límites
humanos. Atravesaron alambres en las calles para degollar,
incendiaron 11 planteles universitarios, estaciones de subte,
rociaron con gasolina a guardias nacionales y les tiraron yesqueros
encendidos, envenenaron un depósito de agua potable en Mérida.
Llegaron al extremo de comenzar a quemar un preescolar estatal con 75
niños y sus maestras adentro.
Estas
fronteras humanas en la lucha política solo son traspasadas cuando
una de las partes se convenció de hacer la guerra a la otra. En ese
punto nace lo que desde 1921 se conoce como fascismo, que en la
definición del primero que la estudió en el terreno europeo “es
la decisión de la burguesía de actuar con métodos de guerra civil
contra las fuerzas del proletariado y sus partidos” (La lucha
contra el fascismo en Alemania, L. Trotsky, Edic. Pluma, pp. 56). En
la Venezuela bolivariana ha brotado el sujeto fascista, un bicho casi
desconocido en su historia política contemporánea. Al revés de
Argentina, Brasil, El Salvador o Chile, brotó en febrero de este
año, aunque las puntas de sus pezuñas fueron vistas varias veces
desde abril de 2002.
No
es necesaria la existencia de un “proletariado” o de fuertes
partidos marxistas o anarquistas, como los de aquellas décadas
iniciales. El chavismo y su poderoso movimiento social les huelen a
lo mismo, aunque no lo sean, porque enfrentan a enemigos similares.
El fascismo contemporáneo mutó y se adaptó al tipo de enemigos
“nacionales” y “plebeyos”, que debe enfrentar en países como
los nuestros. Para
comprender su aparición este año y no antes, debe recordarse que la
actual generación de jóvenes pertenecientes a familias ricas y
medias altas fue amamantada en los últimos 14 años por una sola
mamadera: odio al chavismo, como si fuera el mismísimo Lucifer rojo. En
esta década y media de cinco gobiernos continuos del líder
bolivariano y su continuador, Nicolás Maduro, la derecha venezolana
ha sufrido la mayor cantidad de derrotas que derecha alguna haya
registrado en este planeta. 17 sobre 18 procesos de votación de
escala nacional. Perdió el control del dispositivo de la renta
petrolera y el gobierno que la
mantenía encarnada oficialmente en el
modo de vida norteamericano, sus valores, finanzas, empresas y
cultura. La cultura dominante en Venezuela no depende solo la de la
clase dominante. Está en fuerte y permanente disputa con una cultura
de izquierda inspirada en el ideario socialista del siglo XXI. Sus
calles, simbología gubernamental, discursos, medios oficiales y
comunitarios y su movimiento social bolivariano son muestra de ello.
Esta
breve suma es suficiente para producir horror entre los
privilegiados, no solo de Venezuela.
Los
componentes activos de este sujeto fascista son los estudiantes de
las universidades privadas y privatizadas. También algunos
desprendimientos lúmpenes de la clase pobre de los barrios
marginales de Caracas y de dos o tres ciudades grandes. Sus
operadores en el terreno son grupos de paramilitares asociados y
financiados por la Fundación Internacionalismo para la Democracia,
dirigida por el expresidente colombiano Álvaro Uribe Vélez. También
cuentan con apoyo táctico de grupos neonazis llegados de Europa como
la conocida Otpor, la que junto a otras ONG como la NED, Canvas, AEI
y Freedom House, orientan, organizan y arman con tácticas y métodos
diversos, a más de 2 mil estudiantes entrenados militarmente en
Miami y Colombia en técnicas de guerra (civil) “de baja
intensidad”. El
informe oficial presentado el pasado 2 de mayo por el ministro del
Interior de Venezuela, Rodríguez Torres, es, además de
pormenorizado, suficientemente basado en datos, fuentes, testimonios
y documentación obtenida por el gobierno bolivariano (Ver: “30
claves del plan insurreccional contra Venezuela”, poderenlared.com
del 5 de mayo 2014). El
carácter de este sujeto social nuevo obliga a repensar todo lo que
enfrentaron la “revolución bolivariana” y su gobierno hasta
ahora. Especialmente la estrategia de defensa, por aquello que
aconsejaba Durruti, entre otros que sufrieron el tiempo del fascismo
europeo. Si el fascismo no es destruido, la “revolución
bolivariana” se encaminará inexorablemente hacia una derrota como
la guatemalteca de 1954, la argentina de 1955, la brasileña de 1964,
la chilena de 1973, la peruana de 1975, la boliviana de 1977, o la
salvadoreña de 1982. El otro camino es igual de peligroso aunque sea
distinto, porque se basa en la ilusión de que una “oposición
democrática” enfrentará a otra que no lo es. Quién
mata y quién muere en Venezuela no es una crónica periodística o
una estadística social. Para que no se convierta en un registro
pervertido, grotesco, del desastre humano en marcha, debe ser parado
“antes de que sea tarde”, como le advirtió al presidente Maduro
el capitán de la Guardia Nacional Bolivariana, José Guillén
Araque, el 12 de febrero, “muerto de un balazo en la frente el 17
de marzo mientras trataba de impedir una barricada” (L. Bracci,
Alba Ciudad, 15/4/14). La
frase la dio a conocer el propio presidente en el velatorio el 18 de
ese mes, sin embargo su contenido lo trasciende hasta la necesidad de
un programa social, político y militar: impedir que el fascismo
venezolano se convierta en temprano.
Modesto
Emilio Guerriero | aporrea.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
¡se tiene que resistir y combatir el fascismo con cada medio necesario!!!!
si deve resistere e combattere il fascismo con ogni mezzo necessario !!!!
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