Come operaio che per quasi 40 anni ha lavorato alla Magona d'Italia - Piombino oggi della multinazionale Arcelor - Mittal , dopo aver letto una intervista di un "lavoratore" Lucchini che deturpa l'immagine dell'operaio siderurgico - metalmeccanico,
costretto in linea di massima ad una vita di turni di lavoro massacranti,
in condizioni ambientali e lavorative che coloro che non l'hanno
vissute non possono neanche immaginare, mi sento in dovere di
inserire un articolo di un personaggio politico storico e di spessore
come Giorgio Nebbia.
il link dell'articolo per me vergognoso e questo :
“Sandino
Piombino.
La fabbrica è qualcosa di più di un posto di lavoro
*
Giorgio Nebbia
Secondo
me, la chiusura di una fabbrica dovrebbe essere intesa come un lutto
nazionale. Lo spegnimento dell'ultimo, ormai rimasto unico, altoforno
dell'acciaieria di Piombino meriterebbe l'esposizione delle bandiere
a mezz'asta. Con la morte di una fabbrica scompaiono non soltanto i
posti di lavoro; forse i lavoratori dell'acciaieria di Piombino
conserveranno un salario, forse saranno convertiti in operatori
ecologici per spazzare le scorie di un secolo e mezzo di polveri e
fumi; forse l'acciaieria a ciclo integrale sarà convertita in
acciaieria con forni elettrici per trattare rottami o col processo
Corex, senza cokeria e altoforno.
In un momento di crisi come questo il pericolo di perdere un salario è certamente prioritario rispetto ad altre considerazioni. Ma "la fabbrica" è qualcosa di più di un posto di lavoro; la fabbrica è qualcosa di vivo che trasforma le risorse della natura, minerali o prodotti agricoli, in merci, in oggetti non solo vendibili, ma utili, necessari per la vita di altre persone. La fabbrica è storia; attraverso i capannoni di Piombino sono passate generazioni di operai e tecnici; accanto a quelle macchine sono morti padri di famiglia, per imprevidenza o egoismo dei datori di lavoro (non a caso i sette omicidi di Torino si sono avuti in un'altra acciaieria, quella della Thyssen Krupp); in quella fabbrica si sono concretizzate le speranze del primo giorno di lavoro e l'orgoglio di entrare a far parte di una famiglia, si sono svolte azioni di solidarietà, come anche di conflitti.
Nella "fabbrica" è nata la classe operaia - parola che non si deve oggi pronunciare - sono cresciuti i conflitti per un orario di lavoro più decente, per un salario che permettesse di sfamare le famiglie e di mandare i figli a scuola. Nella fabbrica è nata, con buona pace degli ecologisti da salotto, l'ecologia, la consapevolezza che le merci che gli operai stavano producendo si formavano trasformando la natura, con processi che inevitabilmente generano fumi e scorie che avvelenano prima di tutto gli operai all'interno e poi le famiglie all'esterno del muro di cinta, e poi la comunità più in generale. Lotte per nuovi diritti, di salario ed ecologici, che hanno fatto nascere la società moderna e da cui ha tratto beneficio tutta intera la comunità di un paese.
La fabbrica è stata la culla del capitalismo e dei "padroni", di quelli che sfruttavano gli operai nel nome del profitto e che oggi, per lo stesso motivo, spostano fabbriche e lavoro da un punto all'altro del globo; padroni che sono stati sordi alla domanda di nuovi diritti dei dipendenti e della società, risparmiando per evitare depuratori e filtri e maggiore sicurezza. Piombino è stata "fabbrica" in tutti questi sensi, sorella delle innumerevoli fabbriche di questa terra; per questo la sua morte è un lutto.
A maggior ragione per il fatto che a Piombino si produceva l'acciaio, non una merce qualunque, ma la merce specialissima che permette di costruire grattacieli e ferrovie, di conservare in scatola gli alimenti, di muoversi e di scambiare conoscenze e pensieri, presente nelle abitazioni, nei ponti e nelle strade, in tutti i macchinari,
perfino nelle merci più "verdi" ed "ecologiche". Una merce che, nel bene e nel male, ha accompagnato il "progresso" non solo merceologico, ma anche scientifico, sociale, economico ed umano. Non a caso il rivoluzionario Josef Giugashvili aveva scelto, come nome di battaglia, Stalin, quello russo dell'acciaio
In un momento di crisi come questo il pericolo di perdere un salario è certamente prioritario rispetto ad altre considerazioni. Ma "la fabbrica" è qualcosa di più di un posto di lavoro; la fabbrica è qualcosa di vivo che trasforma le risorse della natura, minerali o prodotti agricoli, in merci, in oggetti non solo vendibili, ma utili, necessari per la vita di altre persone. La fabbrica è storia; attraverso i capannoni di Piombino sono passate generazioni di operai e tecnici; accanto a quelle macchine sono morti padri di famiglia, per imprevidenza o egoismo dei datori di lavoro (non a caso i sette omicidi di Torino si sono avuti in un'altra acciaieria, quella della Thyssen Krupp); in quella fabbrica si sono concretizzate le speranze del primo giorno di lavoro e l'orgoglio di entrare a far parte di una famiglia, si sono svolte azioni di solidarietà, come anche di conflitti.
Nella "fabbrica" è nata la classe operaia - parola che non si deve oggi pronunciare - sono cresciuti i conflitti per un orario di lavoro più decente, per un salario che permettesse di sfamare le famiglie e di mandare i figli a scuola. Nella fabbrica è nata, con buona pace degli ecologisti da salotto, l'ecologia, la consapevolezza che le merci che gli operai stavano producendo si formavano trasformando la natura, con processi che inevitabilmente generano fumi e scorie che avvelenano prima di tutto gli operai all'interno e poi le famiglie all'esterno del muro di cinta, e poi la comunità più in generale. Lotte per nuovi diritti, di salario ed ecologici, che hanno fatto nascere la società moderna e da cui ha tratto beneficio tutta intera la comunità di un paese.
La fabbrica è stata la culla del capitalismo e dei "padroni", di quelli che sfruttavano gli operai nel nome del profitto e che oggi, per lo stesso motivo, spostano fabbriche e lavoro da un punto all'altro del globo; padroni che sono stati sordi alla domanda di nuovi diritti dei dipendenti e della società, risparmiando per evitare depuratori e filtri e maggiore sicurezza. Piombino è stata "fabbrica" in tutti questi sensi, sorella delle innumerevoli fabbriche di questa terra; per questo la sua morte è un lutto.
A maggior ragione per il fatto che a Piombino si produceva l'acciaio, non una merce qualunque, ma la merce specialissima che permette di costruire grattacieli e ferrovie, di conservare in scatola gli alimenti, di muoversi e di scambiare conoscenze e pensieri, presente nelle abitazioni, nei ponti e nelle strade, in tutti i macchinari,
perfino nelle merci più "verdi" ed "ecologiche". Una merce che, nel bene e nel male, ha accompagnato il "progresso" non solo merceologico, ma anche scientifico, sociale, economico ed umano. Non a caso il rivoluzionario Josef Giugashvili aveva scelto, come nome di battaglia, Stalin, quello russo dell'acciaio
articolo
tratto da www.resistenze.org.
Tramite eddyburg.it
Giorgio
Nebbia nato a Bologna nel 1926 ha svolto attività di ricerca
nell'ambito della merceologia, con particolare riferimento
all'analisi del ciclo delle merci. Si è poi occupato di risorse
naturali , studiando la energia solare , la dissalazione
delle acque e il problema dell'acqua,
temi sui quali ha pubblicato numerosi contributi scientifici.
In
campo politico, è
sempre stato su posizioni di Sinistra,
battendosi in particolare contro il rilancio del nucleare
come energia pulita. È stato eletto alla Camera
dei deputati per la IX
Legislatura (1983
al 1987)[2]
e, poi, al Senato
per la X
Legislatura della Repubblica Italiana (dal 1987
al 1992)[3]
nel
gruppo della sinistra indipendente.
notizie
tratte da http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Nebbia
Video "1.9.9.3. Operai Fuori" realizzato in VHS dal Centro di documentazione multimediale "Lev Tolstoj Piombino" nel 1994 grazie al finanziamento del CPA di Firenze Sud .
foto AFO tratta da http://www.controradio.it/
e foto di Paolo Francini durante lo sciopero della fame per Pasqua
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