domenica 13 ottobre 2019

Trump e il suo cortile in profonda crisi: controrivoluzione, ciclo breve e pericoloso

Clodovaldo Hernández, Laiguana TVHistoire et Societé,

Trump, Ecuador, Argentina, Perù e l’opposizione venezuelana soffrono di crisi simultanee: un momento di grande pericolo
Donald Trump deve affrontare l’impeachment. Ivan Duque è stato ridicolizzato col suo dossier contro il Venezuela. Jair Bolsonaro ha dato il peggior discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (anche se aveva seri concorrenti dai due che lo precedevano). L’élite politica del Perù, sede del gruppo infuriato di Lima, continua a collassare. Macri (Argentina neoliberista) è al conto alla rovescia con una crisi economica monumentale. Il presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernández, è stato smascherato come narcos. Il cileno Sebastien Piñera è screditato. E, per completare, l’Ecuador del rinnegato Lenin Moreno è entrato nel vortice del conflitto economico, sociale e politico e ha deciso di affrontare questa situazione con la risposta classica dei governi di destra: dichiarare lo stato d’emergenza. In sintesi, tutto ciò dà l’impressione che Trump e l’appendice della sua politica contro il Venezuela, cioè il gruppo di Lima, attraversano crisi simultanee, alcune più intense di altre, ma tutte legate ai loro scenari interni, di quelli di cui parlano così raramente quanto persistono nel dimostrare che l’unica questione urgente del continente è rovesciare Nicolas Maduro. La crisi è anche quella subita dall’opposizione venezuelana, in particolare la parte che cercava di assumere il controllo da mesi contro la volontà del popolo e prima di tutto la giustizia. Ciò configura un momento di grande pericolo per i popoli dei Paesi citati e anche per il Venezuela, perché è sempre stato il sotterfugio di tali capi distogliere l’attenzione e cercare di sfuggirvi incolumi. Nella trance in cui si trovano, non sarebbe strano che essi provino a riutilizzarlo come distrazione.
Opposizione in rotta completa
Il settore dell’opposizione più direttamente collegato agli Stati Uniti e al gruppo di Lima ha appena subito sconfitte consecutive e devastanti, come la trasmissione delle foto di Juan Guaidó coi capi dei gruppi narcoparamilitari e la confessione di Lilian Tintori su tali relazioni vergognose. In precedenza, c’erano state le insolite dichiarazioni dello pseudoambasciatrice nel Regno Unito, Vanessa Neumann, in cui raccomandava di rinunciare al territorio esequibo in cambio del sostegno politico internazionale al “presidente ad interim”. Durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, i risultati furono disastrosi per il campo antichavista, perché ancora una volta creavano aspettative tutt’altro che soddisfatte. Loro, che vantano così tanto il controllo della scena internazionale, uscivano dai forum diplomatici con la coda tra le gambe. La crisi interna fu espressa anche da sintomi come le dimissioni (non a Guaidó, ma al suo capo politico Leopoldo Lopez) del presunto rappresentante della Banca interamericana di sviluppo Ricardo Hausmann che, secondo alcuni analisti, doveva dimostrare fino a che punto Guaido è riconosciuto a livello internazionale secondo la borghesia venezuelana. Le crisi di Centro imperiale, suoi satelliti e classe politica dell’opposizione venezuelana sono simultanee, anche se è forse la stessa crisi espressa in sintomi specifici in ciascun caso.
Trump nelle corde
L’apertura dell’impeachment di Trump avveniva subito dopo il suo famigerato discorso all’ONU in cui, ancora una volta, cercava di attribuire tutti i mali del pianeta ai Paesi che definisce nemici, un elenco in cui c’erano superpotenze come Cina e Russia e nazioni più piccole ma ribelli al suo comando, come Iran, Corea democratica, Cuba e Venezuela. Messo personalmente alle corde, la pericolosità di tale personaggio aumenta esponenzialmente.
Macri in spirale
Il governo di Mauricio Macri, in Argentina, era sopravanzato sin dalle ultime elezioni, in cui chiaramente affermava lo status di minoranza contro l’opzione Alberto Fernández e Cristina Fernández. Questo fatto politico scatenava la peggiore crisi economica ed perciò l’Argentina arriverà alle elezioni presidenziali in un quadro che ricorda alcuni dei suoi periodi peggiori, prima della leadership dei Kirchner.
Il ridicolo Duque
La crisi colpiva l’élite al potere della Colombia da mesi, a causa delle politiche dannose del governo di Ivan Duque. Da lì, i suoi grandi sforzi per distogliere lo sguardo sul Venezuela. Ma i suoi tentativi erano anche molto goffi, specialmente quello di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, usando foto che non corrispondevano alle accuse che avrebbero dovuto supportare. Tale scandalo causava gravi danni alla sua immagine già fortemente oscurata e ciò mentre si trovava all’antivigilia delle elezioni regionali e municipali. Questa situazione, come nel caso di Trump, rende la Colombia un avversario particolarmente pericoloso per il Venezuela.
Lima decapitata di nuovo
Se qualcosa mostra la crisi del gruppo di Lima (che la diplomazia venezuelana chiama “manifesto di Lima”) è l’instabilità del Paese assediato. Questa caratteristica fu già stata evidenziata quando fu licenziato, per corruzione, il presidente Pedro Pablo Kuzcinski, persona particolarmente ligia agli ordini di Washington. Al suo posto fu chiamato Martin Voyer, che mantenne la linea antichavista e la subordinazione agli Stati Uniti. I problemi interni esplosero e Voyer scelse di sciogliere il Parlamento, provocando la lotta di potere che la stampa globale, al servizio del capitalismo egemonico, cerca di mascherare a tutti i costi.
Narcopolítica a fior di pelle
Il discorso degli Stati Uniti e dei suoi sostenitori contro l’influenza del traffico di droga nei governi latinoamericani andava a benedirsi nei giorni scorsi. Alle accuse diffamatorie di Duque (smentite dalla stessa stampa colombiana) si aggiungono le vere foto di Guaidó coi capi del narcoparamilitarismo. Inoltre, è ormai chiaro il rapporto di Juan Orlando Hernández, imposto dagli Stati Uniti all’Honduras, col maggior narcotrafficante dell’emisfero negli ultimi tempi, il messicano Joaquín “El chapo” Guzman. È ovvio che chi insulta costantemente il governo venezuelano con la falsa pretesa che sia una narcodictadura sono proprio quelli che hanno più spiegazioni da dare sui loro legami coi grandi capi del traffico di droga.
Ecuador, cambia rotta
Nelle ultime ore, un altro allarme si accedeva per la destra dell’emisfero. L’Ecuador, il cui popolo si ribella al governo sempre più neoliberista di Lenin Moreno. Le ultime misure economiche, chiaramente ispirate dal Fondo Monetario Internazionale, esaurivano la pazienza delle masse, in particolare di chi aveva votato Moreno nella convinzione che continuasse, in linea generale, le politiche economiche di Rafael Correa. Di fronte alle manifestazioni popolari, Moreno reagiva nel migliore stile dei regimi di destra dell’America Latina nella storia, decretando lo stato di eccezione e ordinando l’escalation della repressione. Questa è una risposta che, in Venezuela, fu nota in tutta la sua drammatica intensità nel febbraio 1989, col secondo governo di Carlos Andrés Pérez. Ancora una volta, ci si chiede quale sarebbe stato l’atteggiamento degli altri governi nella regione se Maduro avesse dichiarato uno stato di emergenza o la sospensione delle garanzie costituzionali, in circostanze in cui molte persone lo raccomandavano, come nel caso dei quattro mesi di violenze terroristiche nel 2017 o dopo l’attentato del 2018.
Traduzione di Alessandro Lattanzio