Intervista al ministro Rodriguez Torres fatta da Geraldina Colotti e pubblicata in "il Manifesto"
Un ministro al servizio della pace
Venezuela
in fermento per le misure contro la «guerra economica» adottate
dal presidente Nicolas Maduro e per le elezioni comunali di
domenica, che l’opposizione vuole trasformare in un plebiscito
contro il chavismo. A Caracas, abbiamo incontrato Miguel
Rodriguez Torres, ministro degli Interni, giustizia e pace e
massimo dirigente dell’intelligence venezuelana. Torres, 49 anni,
chavista della prima ora, ha accettato l’intervista all’uscita
dall’aula parlamentare in cui si è approvato (tra le proteste
dell’opposizione) il Plan della patria, il piano di governo, ideato da
Hugo Chávez. Cinque assi strategici basati su un nuovo modello
produttivo che cerca di coniugare petrolio e ambientalismo,
proprietà statale, privata e autogestita, e punta alla
costruzione di uno stato comunale. Torres è l’espressione di governo
di quell’alleanza civico-militare che ha sostenuto il defunto
presidente Chávez e che continua a funzionare con Maduro.
All’insegna del «Socialismo del secolo XXI».
Militare, agente segreto, ministro degli Interni. Un’immagine che stride nell’immaginario di molti, a sinistra, anche in America latina. Qual è stato il suo percorso?
Vengo dalle Forze armate, sono Maggiore generale dell’esercito, mi sono formato all’Accademia militare tra l’80 e l’84. Nell’85 ho cominciato l’attività di cospiratore contro la Quarta repubblica, ero nella brigata di paracadutismo agli ordini del comandante Urdaneta Fernandez, fondatore del Movimento bolivariano rivoluzionario Mbr200 dello stato Zulia. Allora c’erano due tipologie di cospiratori, l’Mbr200 e i movimenti di resistenza popolare della sinistra, legati alla guerriglia degli anni ’60 e ’70. Ci siamo uniti. Nell’Mbr200 ho partecipato alla ribellione militare del 4 febbraio ’92 insieme al comandante Chávez. Ero capitano e mi sono occupato dell’operazione sulla Casona, la residenza presidenziale. La ribellione è fallita e sono andato in carcere per due anni e un mese. Al Cuartel San Carlo, dove poi ci hanno raggiunto anche altri gruppi arrestati nel secondo tentativo del 27 novembre, mi sono messo a studiare: il marxismo e i padri dell’indipendenza, Simon Bolivar e soprattutto il suo maestro, Simon Rodriguez. A 28 anni, avevo una formazione militare, ma nessuna base teorica per trasformare in politica la mia inquietudine, la ribellione maturata dopo la rivolta popolare dell’89, il caracazo. Allora l’esercito aveva sparato sulla folla, provocando migliaia di morti. Quando mio fratello maggiore, un marxista, mi ha chiesto cosa volessimo fare con la proprietà privata se fossimo andati al potere, non sapevo rispondere. A quel tempo siamo stati ripetutamente avvicinati da gruppi di estrema destra, convinti che volessimo seguire il modello cileno, ma li abbiamo respinti. Poi Rafael Caldera vinse le elezioni e propose un processo di pacificazione: se avessimo rinunciato all’esercito, saremmo usciti dal carcere. Accettarono in molti, io e altri no. Cominciò una trattativa. Alla fine reintegrai l’esercito, ma cominciarono le persecuzioni: trasferimenti continui, arresti e interrogatori prima di ogni evento politico. Senza garanzia e rispetto per i diritti umani. Chávez decise di lasciare la divisa per poter fare politica apertamente, perché ai militari era proibito. Mi chiese di accompagnarlo, ma io pensavo avessimo bisogno di una doppia rivoluzione, dal basso e dall’alto, perché non avevamo le forze per farne una di tipo tradizionale. Gli ho detto: Comandante, col carisma e la dialettica che ha, lei vincerà le elezioni. Si è schermito, ma è andata così, contro tutti i pronostici. Dopo la vittoria del ‘98, mi ha chiamato a dirigere la Disip, diventata Servicio Bolivariano de Inteligencia. E oggi sono anche Ministro degli Interni, Giustizia e Pace. L’esperienza politica me la sono formata prima nei Comitati bolivariani, nuclei di 8–10 persone presenti di tutti i quartieri con i quali mantenevamo i contatti dalla prigione, poi con i Circoli bolivariani che il presidente Chávez mi ha chiamato a coordinare nel 2001, agli ordini di Diosdado Cabello. Peccato che abbiamo ceduto al ricatto della destra e alla demonizzazione dei circoli e li abbiamo sciolti. A loro dobbiamo parte della vittoria sul golpe dell’aprile 2002.
La Disip
evoca terrore, torture e sparizioni, vi ha operato anche
l’anticastrista cubano Posada Carriles. Cos’è cambiato?
Con la proprietà privata com’è andata? Cos’è per lei il Socialismo del XXI secolo?
L’opposizione pensa di disconoscere anche queste elezioni e si prepara a un referendum revocatorio del presidente. Quali sono i rischi?
Purtroppo l’opposizione è diretta da un gruppo come Primero Justicia che ha radici fasciste, proviene da un’organizzazione che si chiamava Tradizione famiglia e proprietà, con tanto di svastiche e contorni. Hanno il controllo sulle altre forze della Mud come Ad o Copei. Non c’è dialogo, dobbiamo conquistare un’egemonia su quella parte di popolo che li appoggia. Il giorno delle presidenziali, il 14 aprile, all’approssimarsi dei risultati, con il consenso di Maduro mi sono riunito con 2 alti dirigenti dell’opposizione. Ho chiesto loro di rispettare il patto proposto dal presidente: riconoscere il risultato, anche solo per un voto, qualunque fosse il vincitore. Ma quando hanno visto che avevamo vinto noi, hanno abbandonato il tavolo, innescando le violenze post elettorali. Pensavano che Maduro cadesse subito, poi hanno visto che così non è hanno ricominciato con i complotti, istigati dall’esterno come avveniva con Chávez. Nel 2004, abbiamo arrestato 150 paramilitari colombiani venuti a ucciderlo. Oggi sono in carcere tre sicari venuti dalla Colombia per Maduro. E Leopoldo Lopez, un leader di Voluntad popular che ha violato tutte le leggi durante il golpe del 2002 insieme a Enrique Capriles, ha promesso fuoco fumo e piombo anche per l’8 dicembre.
La
Disip sorge quando comincia la lotta contro la guerriglia in
Venezuela. Era un ibrido di intelligence e polizia al di sopra della
legge in cui imperversarono personaggi come Orlando Bosch e
Posada Carriles. Tutto quel che la Cia e il Mossad volevano fare in
Centroamerica passava per la Disip. Quando andammo al governo,
scoprimmo però che il fenomeno Chávez aveva fatto breccia anche su
alcuni funzionari che si erano tenuti a distanza da quel terrore e
ci appoggiavano. Ci è costato molto invertire la tendenza,
allontanare quell’ombra nefasta, ma abbiamo fatto pulizia,
mandando progressivamente in pensione quel personale e
formandone un altro basato sulla prevenzione, la tecnica – perché
tutti gli stati devono proteggersi – e i diritti umani. Per
costruire un modello nostro, prendiamo il buono un po’ dappertutto,
dai russi, dai cubani… Facciamo parte del Foro di intelligence
iberoamericano ma lì sono ossessionati dal tema del terrorismo
islamico, dall’Eta, eccetera. Noi agiamo sulle cause, e abbiamo il
problema del terrorismo di estrema destra, ma da quell’orecchio il
Forum non ci sente. Così abbiamo creato Fialba, Forum d’intelligence
dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America:
per creare meccanismi comuni di prevenzione, per esempio contro
attacchi finanziari alla moneta alternativa, il Sucre, che
funziona nell’Alba. Quello che spaventa i paesi capitalisti non è
la nostra forza militare, ma quella di un modello alternativo.
Il
Venezuela non è un’isola come non lo è nessun paese oggi. La
globalizzazione non è né un bene né un male, è una realtà. Il
socialismo che vogliamo costruire, il cammino che stiamo aprendo
deve tenerne conto e al contempo avanzare con i propri principi
finché il socialismo non riesce a estendersi a un arco di paesi
che abbiano la forza di scontrarsi frontalmente col capitalismo.
Per questo la nostra costituzione ha una flessibilità nel campo
dell’economia che consente l’esistenza della proprietà privata ma
promuove anche altri modelli di proprietà sociale e collettiva. Sul
piano internazionale, lavoriamo alla formazione di un mondo
multipolare basato su relazioni solidali e paritarie, con l’Alba,
il Mercosur, Unasur, la Celac. In campo sociale, portiamo avanti
una lotta senza quartiere alla povertà e all’esclusione. In quello
politico, promuoviamo la massima partecipazione del popolo,
perché sia soggetto delle proprie decisioni ed eserciti il suo
ruolo politico. Oggi abbiamo presentato il Plan della Patria, che
definisce questo socialismo. La differenza più profonda della
nostra rivoluzione con quelle del passato è la scelta di usare gli
stessi strumenti della democrazia rappresentativa che
intendiamo trasformare. Dopo 14 anni e la ventesima elezione, il
cammino è ancora lento, complicato e rischioso. Ma se sappiamo
lavorare bene dando sempre più potere e organizzazione al popolo e
rendendolo cosciente di essere il soggetto della sua
trasformazione, il cambiamento sarà profondo e duraturo.
Tuttavia, non dimentichiamo le lezioni della storia, e se la
destra ci obbliga a prendere un’altra strada, non ci faremo
sorprendere.
L’opposizione pensa di disconoscere anche queste elezioni e si prepara a un referendum revocatorio del presidente. Quali sono i rischi?
Purtroppo l’opposizione è diretta da un gruppo come Primero Justicia che ha radici fasciste, proviene da un’organizzazione che si chiamava Tradizione famiglia e proprietà, con tanto di svastiche e contorni. Hanno il controllo sulle altre forze della Mud come Ad o Copei. Non c’è dialogo, dobbiamo conquistare un’egemonia su quella parte di popolo che li appoggia. Il giorno delle presidenziali, il 14 aprile, all’approssimarsi dei risultati, con il consenso di Maduro mi sono riunito con 2 alti dirigenti dell’opposizione. Ho chiesto loro di rispettare il patto proposto dal presidente: riconoscere il risultato, anche solo per un voto, qualunque fosse il vincitore. Ma quando hanno visto che avevamo vinto noi, hanno abbandonato il tavolo, innescando le violenze post elettorali. Pensavano che Maduro cadesse subito, poi hanno visto che così non è hanno ricominciato con i complotti, istigati dall’esterno come avveniva con Chávez. Nel 2004, abbiamo arrestato 150 paramilitari colombiani venuti a ucciderlo. Oggi sono in carcere tre sicari venuti dalla Colombia per Maduro. E Leopoldo Lopez, un leader di Voluntad popular che ha violato tutte le leggi durante il golpe del 2002 insieme a Enrique Capriles, ha promesso fuoco fumo e piombo anche per l’8 dicembre.
“Hay hombres que hasta después de muertos dan luz de aurora” José Martí
¡Chávez VIVE, la lucha SIGUE!
¡Viva el pueblo de Chávez!
¡Vivan los hermanos CUBANOS!
¡Viva la REVOLUCIÓN!
¡Viva el pueblo de Chávez!
¡Vivan los hermanos CUBANOS!
¡Viva la REVOLUCIÓN!
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