giovedì 11 luglio 2013

Le bugie dell'Impero: Non credere a una sola parola di quello che dicono



Le bugie dell'Impero: Non credere a una sola parola di quello che dicono

blackagendareport | mltoday.com
Traduzione cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


I governanti vorrebbero farci credere che il mondo, a ogni momento che passa, sta diventando più complesso e pericoloso, costringendo gli Stati Uniti ad abbandonare le precedenti (e in larga parte fittizie) norme di legalità nazionale e internazionale, per preservare la civiltà.

In verità, stanno disperatamente cercando di mantenere il dominio globale del capitale finanziario statunitense ed europeo e l'ordine mondiale razzista da cui è scaturito.

Le contraddizioni di secoli sono maturate, travolgendo la capacità dell'"Occidente" di contenere le forze emergenti. Si prospetta quindi una guerra incessante e incondizionata: incessante nel senso che si tratta della battaglia finale e disperata per respingere la fine dell'imperialismo, incondizionata in quanto gli imperialisti non conoscono confini giuridici o morali all'uso della forza militare, il loro unico vantaggio rimasto. Per occultare queste semplici verità, gli Stati Uniti e i loro servizi di propaganda inventano contro-realtà, scenari apocalittici imminenti, colmi di esseri malvagi ed eserciti delle tenebre, più di quanti JRR Tolkien ne possa mai immaginare.

In effetti, si lascia libera l'immaginazione, per timore che le menti delle persone che vagano nel regno della verità inciampino in una presa di coscienza del proprio interesse personale, che è molto diverso da quello dei destini di Wall Street o del Progetto per un Nuovo Secolo Americano (aggiornato nella versione "umanitaria" di Obama).

E' una guerra dove troneggiano rappresentazioni deformate.

Saddam "deve andarsene", e così se ne è andato, insieme a un altro milione di iracheni. Gheddafi "deve andarsene", e ben presto anche lui è finito ("Siamo venuti, abbiamo visto, è morto", ha commentato Hillary), insieme a decine di migliaia di neri libici destinati allo sterminio.

"Assad deve andarsene". Assad non ha ancora lasciato: è necessario che gli USA e i loro alleati aumentino il flusso di armi per gli eserciti jihadisti, i cui motti tradotti approssimativamente suonano come "dopo tocca agli infedeli occidentali". Il governo filosovietico dell'Afghanistan è stato il primo della lista USA ad "andarsene", rovesciato dalla rete internazionale jihadista, creata come joint venture tra americani, sauditi e pakistani all'inizio degli anni Ottanta: una rete la cui esistenza ora richiede che diritto costituzionale sia liquidato in territorio statunitense.

Naturalmente, al fine di facilitare tutte queste uscite di governi di Stati sovrani, il diritto internazionale, come lo abbiamo conosciuto, "deve andarsene". Viene sostituito dalla dottrina dell'intervento militare "umanitario" o della "responsabilità di proteggere" (R2P), una riedizione della "responsabilità dell'uomo bianco", progettata per annullare i diritti degli stati minori alla sovranità nazionale, per il capriccio della superpotenza.

L'intero continente africano è caduto sotto l'ombrello R2P (senza mai essere completamente uscito dalla sfera coloniale: ma è proprio questo il punto). La Somalia ha raggiunto un breve periodo di pace nel 2006, sotto il regime delle Corti Islamiche, ampiamente radicate, che aveva sconfitto una schiera di signori della guerra sostenuti dagli Stati Uniti.

Washington ha colpito di nuovo nel corso dello stesso anno attraverso l'Etiopia, suo stato clientelare. Gli americani hanno invocato sia il nemico islamista, sia la "responsabilità di proteggere" per giustificare un'invasione che ha fatto precipitare la Somalia in quella che gli osservatori delle Nazioni Unite definiscono "la peggiore crisi umanitaria in Africa, peggiore del Darfur". Alla fine, gli Stati Uniti hanno arruolato anche l'Unione Africana, in quanto autorità nominale nella missione della CIA sulla Somalia, militarizzando l'intero Corno d'Africa.

Legati statunitensi hanno avviato il massacro fratricida in Ruanda nel 1994, un incendio che è servito come pretesto all'invasione ruandese e ugandese della ricca Repubblica democratica del Congo e la perdita di sei milioni di vite: il tutto sotto la protezione, il finanziamento e la guida dei governi statunitensi susseguitisi, in una finta espiazione per il molto più piccolo "genocidio" in Ruanda.

Il presidente Obama ha inviato Forze Speciali in servizio permanente nella regione alla ricerca di un altro personaggio caricaturale, Joseph Kony, il cui unico difetto è il suo cristianesimo rabbioso ma la cui presenza strategica nella mischia giustifica lo stazionamento dei Berretti Verdi in Congo, Uganda, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan.

Con l'esorcismo ai danni di Muammar Gheddafi in Libia, gli jihadisti in tutta l'Africa del nord fino alla Nigeria settentrionale si sono rivitalizzati, dando il via libera alla rinascita coloniale francese e all'ulteriore espansione di AFRICOM, il Comando USA Africa.

Solo cinque anni dopo la sua nascita ufficiale, AFRICOM regna sovrana nel continente, con legami con i militari di tutti gli stati africani, tranne l'Eritrea e lo Zimbabwe. (Prima o poi anche loro "devono andare").

La nuova era del diritto euro-americano regna sull'Africa nella forma della Corte penale internazionale. Le attenzioni della Corte sono riservate per gli africani, il cui presunto deficit di civiltà monopolizza le risorse del sistema giudiziario globale. Anche questo è R2P.

Tornando alla riluttante Siria, gli jihadisti, nel loro impiego di dimostrare che Assad deve davvero andare, inviano agli americani campioni di sangue prelevati da presunte vittime di armi chimiche. Obama annuncia che ha intenzione di fare quello che effettivamente avrebbe dovuto fare da tempo: inviare armi ai "ribelli".

Il Washington Post, dimenticando il suo dovere di seguire le veline dell'amministrazione, documenta che la decisione di trasferire armi agli jihadisti era stata fatta due settimane prima che la "prova" arrivasse. Le menzogne diventano confuse e sono rapidamente sostituite da nuove storie.

Solo le menzogne fanno apparire queste situazioni complesse: falsità per coprire i plurimi genocidi USA ai danni dell'Africa, per tessere una tela di preoccupazione umanitaria, quando la semplice verità è che gli americani e gli europei hanno stabilito il dominio militare sul continente per i loro avidi scopi.

Le bugie che hanno tentato di camuffare un susseguirsi di aggressioni sfrontate contro un inoffensivo governo laico arabo al fine di rimuovere eventuali ostacoli alla dominazione USA del Nord Africa e del Vicino Oriente. Inganni a corollario della menzogna centrale nell'offensiva globale degli Stati Uniti dal 9/11: che gli Stati Uniti siano impegnati in una guerra globale contro gli jihadisti armati.

In realtà, gli jihadisti sono contractor assoldati dagli americani nel mondo arabo, mondo in cui gli Stati Uniti sono ampiamente invisi. Washington è stato il padrino dello jihadismo internazionale, almeno dai primi anni Ottanta in Afghanistan, e ora lo è, ancora una volta e piuttosto apertamente, in Siria come in Libia, almeno per il momento.

La semplice verità è che gli Stati Uniti sono in guerra per perpetuare l'egemonia sul pianeta, per la conservazione del sistema imperiale e dei suoi dominatori. In una tale guerra, ognuno e ovunque è un potenziale nemico, compresa la popolazione a casa.

Ecco perché Bradley Manning e Julian Assange e, ora, Edward Snowden sono considerati così pericolosi, perché minano il consenso popolare verso le politiche menzognere del governo.

L'amministrazione ha inviato i suoi agenti a Capitol Hill e tutte le testate pseudo-giornalistiche di regime per spiegare come l'intercettazione del traffico cellulare e Internet ha impedito "più di 50 potenziali eventi terroristici dall'11/9", tra cui almeno 10 "minacce con base in patria", per bocca del Generale Keith Alexander della National Security Agency. I dettagli sono, naturalmente, segreti.

Tuttavia, ciò che sappiamo circa lo spionaggio interno al "terrore" è sufficiente per respingere l'intero presupposto per le vaste imprese algoritmiche della NSA. La minaccia "terrorista" reale sul suolo americano è chiaramente relativamente lieve. Altrimenti, perché mai l'FBI si sarebbe applicata alla fabbricazione di jihadisti nostrani, inscenando elaborate coperture per uomini neri senzatetto a Miami, che non riuscirebbero a mettere insieme il biglietto dell'autobus per Chicago, tanto meno una bomba alla Sears Tower?

Perché devono attrarre e intrappolare degli emarginati, senza capacità e alcuna inclinazione per la guerra clandestina, in piani per attacchi dinamitardi a sinagoghe e per abbattere aerei militari, a Newburgh e New York? Perché questo flusso costante di invenzioni terrorizzanti da parte del governo, se la realtà è così copiosa?

Se l'FBI, con l'assistenza della NSA, sta scoprendo un numero significativo di terroristi veri, non stiamo forse assistendo ad un numero corrispondente di arresti "perp walk"? [prassi della polizia Usa di eseguire un arresto in un luogo pubblico e dopo un po' di tempo per dare l'opportunità ai media di ritrarre foto e video dell'evento, ndr]. Certo che si. L'unica conclusione logica è che il terrorismo è una minaccia interna pressoché trascurabile, del tutto inidonea a giustificare lo spionaggio della NSA praticamente su ogni americano.

Quindi, cosa stanno cercando? Schemi, modelli di pensiero e di comportamento che combinati rivelano l'esistenza di coorti di persone che potrebbero, come gruppo, o come rete vivente, creare problemi allo Stato in futuro. Persone che non necessariamente si conoscono tra loro, ma i cui modelli di vita le rendono potenzialmente problematiche per i governanti, tendenzialmente in qualche futura crisi.

Una propensione al dissenso, per esempio. La
dimensione di queste corti sospette, di questi gruppi che rispondono a modelli simili, possono essere grandi o piccoli, a seconda dei criteri immessi dal programmatore. Quindi, a quale tipo di americani sono interessati i programmatori?

Chiedetelo a Edward Snowden. Lui è l'unico a parlare.

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mercoledì 3 luglio 2013

Datagate, il volo di Morales "dirottato" a Vienna. Presidente furioso: "Non sono un criminale"

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Datagate, il volo di Morales "dirottato" a Vienna. Presidente furioso: "Non sono un criminale"

Il ministro degli Esteri boliviano, David Choquehuanca, ha riunito una conferenza stampa di emergenza per denunciare quella che ha definito "un'ingiustizia nata da sospetti senza fondamento", negando che Edward Snowden si trovi a bordo dell'aereo con il quale il presidente Evo Morales stava rientrando nel suo Paese. Choquehuanca ha raccontato che circa mezz'ora prima di arrivare a Lisbona per uno scalo tecnico sul volo Mosca-La Paz, le autorità portoghesi hanno segnalato all'equipaggio che avevano revocato il suo permesso di atterrare nell'aeroporto della Capitale. Poco dopo, ha aggiunto, anche le autorità francesi hanno comunicato ai responsabili del volo una decisione analoga, obbligando l'aereo a volare fino a Vienna, dove finalmente è potuto atterrare. La polizia dell'aeroporto di Vienna, in mattinata, ha perquisito l'aereo di Morales e non ha trovato traccia a bordo dell'ex analista della Cia. Dopo oltre dieci ore a bordo del suo aereo, Morales si è chiesto - visibilmente stanco - se fosse stato sequestrato o arrestato. Poi ha dato sfogo a una durissima reazione: "Non sono un criminale" ha sbottato il presidente boliviano.



L'ambasciatore boliviano presso le Nazioni Unite, Sacha Llorenti, ha detto oggi che il suo Paese ha presentato una denuncia al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, perché il presidente Evo Morales è stato vittima di "un atto di agressione" da parte di vari paesi europei e che "la vita del presidente, della sua delegazione e dell'equipaggio è stata messa in pericolo". "Denunciamo dinanzi alla comunità internazionale un atteggiamento non amichevole e di palese aggressione'' da parte di Francia e Portogallo nei confronti di Evo Morales: l'aver negato l'accesso all'aereo presidenziale costituisce una ''violazione della Convenzione di Vienna'', ha ribadito l'ambasciatore boliviano a Roma Antolin Ayaviri Gomez.  ''Non c'è giustificazione. Non soltanto il popolo boliviano, ma tutti sono dispiaciuti di quanto accaduto'' che testimonia ''ciò che l'imperialismo fa con i popoli''. Così anche il vicepresidente boliviano, Alvaro Garcia Linera, che ha denunciato il sequestro di Evo Morales "da parte dell'imperialismo in Europa".



Kirchner: ''Tutti pazzi''. "Sono tutti pazzi": con queste parole la presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, ha criticato la vicenda sul suo account Twitter. ''Sono tutti pazzi, ed è un giudizio definitivo. I capi di Stato e il loro aereo godono di una immunità totale, non è possibile questo grado di impunità'', ha scritto Kirchner.



Il divieto di entrare nel proprio spazio aereo di Francia e Portogallo al volo con il presidente boliviano Evo Morales, per il timore cha a bordo ci fosse Edward Snowden, ha subito suscitato le reazioni della Bolivia, oltre al Venezuela e all'Ecuador. La Paz e Caracas hanno chiesto una riunione di urgenza dell'Unasur, il gruppo regionale sudamericano creato anni fa dal Hugo Chavez. Su Twitter il ministro degli Esteri dell'Ecuador, Ricardo Patino, scrive: "Ho appena parlato con il ministro degli esteri del Perù, Eda Rivas. Il Perù (presidente pro tempore dell'Unione delle nazioni sudamericane, ndr) ha chiesto ai paesi dell'Unasur la disponibilità per una riunione urgente dei presidenti domattina". Qualche ora fa, il presidente del Venezuela Nicolas Maduro (che su Twitter ha manifestato il proprio appoggio al collega boliviano, affermando che ''sono state violate tutte le immunità internazionali che proteggono i capi di Stato'' a causa dell' ''ossessione imperiale''), aveva detto che Snowden deve essere "protetto", ricordando che si tratta di un giovane "che ha osato dire delle verità sul tentativo dell'impero americano di controllare il mondo".



da Liberazione on lone in data:03/07/2013