giovedì 16 maggio 2013

VENEZUELA :Sui risultati elettorali del 14 aprile 2013 / Sobre los resultados electorales del 14 abril



Sui risultati elettorali del 14 aprile 2013

Fernando Arribas García * | 

Il risultato finale delle elezioni del 14 aprile 2013 assegna all'opposizione più di 7 milioni e 362 mila voti, con un aumento di circa 770 mila voti rispetto alle elezioni del 7 ottobre 2012. Ma questo incremento, apparentemente impressionante, non è in realtà poi così grande. Si osservi quanto segue.

C'è stato un piccolo aumento dell'astensione dalle elezioni presidenziali del 7 ottobre (dal 19,8% al 20,4%, circa 107 mila astenuti in più). Tuttavia, questo incremento è stato più che compensato da una riduzione dei voti "nulli" (da 1,9% a 0,4%, circa 221 mila in meno). Come risultato netto, abbiamo un aumento del totale dei voti validi (+0,8%, circa 114 mila voti aggiuntivi). C'è stata anche una significativa riduzione dei voti agli "altri" (candidati diversi dai due principali) dal 7 ottobre al 14 aprile (-56,8%, circa 51 mila voti in meno).

In realtà, sia il volume di voti "nulli", come il voto per "altri" erano stati eccessivi nel 2012. In entrambi i casi, i risultati del 7 ottobre superarono i livelli che erano statisticamente attesi in base alle recenti tendenze storiche: ci sono stati circa 170 mila voti "nulli" e circa 60 mila voti agli "altri", più di quelli statisticamente attesi.

Queste anomalie statistiche verificatesi il 7 ottobre hanno una stessa spiegazione: il cambiamento di candidatura di una organizzazione che appoggiava Capriles e lo sostituì (ricordate il "fenomeno" Reyna Sequera, candidata che ottenne il 7 ottobre quasi 71 mila voti, dei quali 66 mila corrispondevano ad una lista che inizialmente appoggiava a Capriles), e l'annullamento dell'appoggio di altre tre organizzazioni al candidato dell'opposizione. In tutti i casi, questi cambiamenti sono stati fatti all'ultimo minuto e non si sono riflessi nella scheda elettorale che era già stata stampata.

Di conseguenza, a Capriles nel 2012 non vennero conteggiati circa 230 mila voti espressi in suo favore dagli elettori, ma utilizzando alcune delle schede che avevano cambiato candidato o annullato la loro posizione, tuttavia avevano la sua foto stampata sulla scheda. Si noti che il 14 aprile l'opposizione ha partecipato con una denominazione unica (MUD, Tavolo dell'Unità Democratica), eliminando così la possibilità che queste situazioni si potessero verificare di nuovo. Quindi la crescita dell'opposizione dal 2012 al 2013 non è stata di 770.000 voti, ma di circa 540 mila voti, per lo più provenienti probabilmente da quella parte di elettorato che si era astenuto il 7 ottobre.

Voto punitivo?

Il risultato finale del 14 aprile assegna al Presidente Maduro più di 7 milioni e 586 mila voti, il che rappresenta una riduzione rispetto al 7 ottobre di circa 605 mila voti, che molto probabilmente si sono astenuti in questa occasione. Si notino i seguenti fatti.

Il voto per il PSUV, principale partito dell'alleanza che guida il processo di cambiamento, ha subito solo una lieve diminuzione in termini proporzionali rispetto al 7 ottobre (-3,0%, circa 194 mila voti), e la maggior parte della diminuzione di voti è stata pagata dagli altri partiti dell'alleanza. In termini proporzionali, i partiti che più hanno sofferto sono stati IPCN (-64,2% rispetto al 7 ottobre, circa 45 mila voti in meno), PRT (-61,5%, 36 mila voti in meno), REDES (-52,4%, 104 mila voti), MEP (-49,9%, 93 mila voti), PPT (-46,6%, 103 mila voti) e PCV (-42,1% rispetto al voto del 7 ottobre, circa 206 mila voti in meno) [*]

L'argomentazione del "voto punitivo" è basata sul malcontento popolare di fronte alle gravi carenze della gestione governativa, gli effetti della svalutazione, i fallimenti del servizio elettrico, la scarsità di beni di consumo, l'aumento della criminalità e l'aumento dell'inflazione. Ma questo pone un problema statistico: se i risultati dell'alleanza fossero classificati semplicemente come "voto punitivo", allora questa punizione, a parità di condizioni ("con le altre variabili immutate") dovrebbe ripartirsi tra tutti i partiti dell'alleanza e a ciascuno toccherebbe una quota direttamente proporzionale al suo peso relativo in essa.

Tuttavia questo non è accaduto. Fino al 14 aprile, il PSUV rappresentava il 78% dell'alleanza, per cui statisticamente questo partito avrebbe dovuto ricevere il 78% della "punizione", perdendo 472 mila voti. Allo stesso modo, il PCV (che rappresentava il 6% dell'alleanza), avrebbe dovuto perdere solo 36 mila voti e, seguendo la stessa logica, al PPT sarebbe dovuto corrispondere una riduzione di soli 16 mila voti, REDES 15 mila, al MEP 14 mila, a IPCN 5 mila e PRT 4 mila. Il fatto che la riduzione di voti dell'alleanza non sia distribuito proporzionalmente tra i partiti che la compongono e che il principale componente dell'alleanza sia stato il meno "punito" dall'elettorato, indebolisce l'ipotesi del "voto punitivo".

Ci devono esser stati, pertanto, altri fattori che sono entrati in gioco e che spiegano questi risultati. E' probabile, per esempio, che si sia verificato il fenomeno della "astensione punitiva", che già si presentò con forza nel 2007 e contribuì alla sconfitta elettorale del cosiddetto "chavismo" nel referendum sulla riforma costituzionale.

La relativamente piccola diminuzione di voti al PSUV, indebolisce anche l'ipotesi della diserzione o frammentazione intenzionale degli elettori di questa organizzazione per presunte tensioni o divisioni interne. Tutto indica che la reazione emotiva degli elettori del PSUV per la morte del presidente Chavez, ha temporaneamente unificato il partito proteggendolo da un ulteriore collasso. E' possibile, tuttavia, che alcune delle tensioni intra-PSUV siano state drenate da Tupamaros (77 mila voti in più rispetto al 7 ottobre), come si verificò anche in occasione delle elezioni parlamentari del 2010.

Il risultato del PCV

Il PCV ha subito una significativa riduzione dei voti: dai quasi 490 mila del 7 ottobre ai circa 284 mila del 14 aprile. Questa riduzione, anche se sensibile, non era del tutto inaspettata e non deve allarmare più di tanto. Il nostro Ufficio politico nella riunione dell'8 ottobre e l'XI Plenum del Comitato Centrale - realizzato due settimane dopo - aveva avvertito che questi 490 mila voti non erano "nostri", ma rappresentavano la volontà di diverse correnti del movimento operaio e popolare, di ampi settori classisti, critici, propositivi, autonomi e rivoluzionari, che sono a favore di un approfondimento del processo, di una sua depurazione e del conseguente orientamento verso il socialismo. Una parte di queste correnti hanno espresso le loro aspirazioni e il loro disaccordo lo scorso anno attraverso la nostra scheda. Non lo hanno fatto il 14 aprile, ma probabilmente torneranno a farlo ancora in futuro. Tuttavia, è nostro obbligo capire le cause di questa riduzione significativa della nostra base elettorale.

L'ipotesi del "voto punitivo" tuttavia è ancor meno adeguata per spiegare la riduzione del voto al PCV, che per il resto dell'alleanza. Non ha senso pensare che il partito che è stato meno coinvolto nelle attività di governo, sia stato uno dei più "puniti" dalla reazione popolare a questa gestione.

Si noti che, come ha sottolineato l'Ufficio politico e il Comitato Centrale nel mese di ottobre, una delle componenti importanti del nostro voto proviene di solito dalle correnti classiste del movimento operaio. Questo era particolarmente vero nel 2012, come risultato della lunga offensiva guidata dal PCV per una nuova e rivoluzionaria legge sul lavoro (LOT) e in favore dell'approvazione della Legge sui Consigli dei lavoratori e lavoratrici. Negli oltre tre anni in cui durò questa campagna, per il PCV, in particolare attraverso la Corrente classista dei lavoratori "Cruz Villegas", si crearono stretti legami di collaborazione e appoggio reciproco con i settori più avanzati e organizzati della classe lavoratrice, che ebbe concreta espressione elettorale il 7 ottobre.

Ma nei mesi trascorsi tra le due elezioni presidenziali, questo rapporto è diventato un po' meno stretto, in parte perché già si era raggiunta la riforma della LOT, nonostante tutti i suoi difetti, e in parte perché gli eventi nazionali (tre elezioni in sei mesi, la malattia e la morte del presidente Chavez, la svalutazione ed i suoi effetti) hanno distratto il centro dell'attenzione del movimento operaio cambiando le sue priorità, ciò che ha inciso sulla politica del PCV.

Sindacalismo di classe e "astensione punitiva"

Si deve inoltre tener conto della tensione che esiste tra i settori più avanzati del movimento operaio-sindacale e il governo, in vista dei numerosi conflitti lavorativi che si sono verificati in questi ultimi anni, e la risposta insoddisfacente data dal governo a queste situazioni, sia come patrocinatore dei diversi enti e imprese dello Stato, che in qualità di responsabile e arbitro dei rapporti di lavoro attraverso gli Ispettorati e altre agenzie del Ministero del Lavoro (Mintrass). I numerosi casi di vessazioni e ostilità contro i Consigli dei lavoratori, l'ostacolo alla formalizzazione dei sindacati in processo di costituzione, il ritardo e la riluttanza nella discussione e firma dei contratti e accordi collettivi, il licenziamento ingiustificato e gli abusi generalizzati nel lavoro in cui è incorso il governo, tanto in qualità di parte padronale che nel Mintrass, hanno creato un clima di rabbia tra i lavoratori organizzati.

E a questo si aggiungono gli attacchi orchestrati negli ultimi due anni dal governo e dal PSUV contro l'Unione Nazionale dei Lavoratori (UNETE), nel processo di costituzione della cosiddetta Centrale Bolivariana Socialista dei Lavoratori (CBST), organizzazione di carattere padronale, dipendente e sottomessa al governo, che ha causato gravi danni alla già fragile unità del movimento operaio-sindacale. Non è un caso che UNETE, che aveva attivamente fatto campagna per la rielezione del presidente Chavez nel mese di ottobre, non abbia partecipato alla campagna per l'elezione dell'attuale presidente Maduro, che molti identificano come uno dei principali dirigenti del settore che ha scatenato la campagna di attacchi contro UNETE e il sindacalismo di classe autonomo.

Non abbiamo alcun dubbio che, con l'inibizione di UNETE, nel cui seno sviluppa la propria attività la Corrente classista dei lavoratori "Cruz Villegas", e il malessere generale tra i settori più coscienti e avanzati del movimento operaio-sindacale, il PCV abbia perso il 14 aprile decine di migliaia di voti che ci avevano accompagnato nelle precedenti elezioni presidenziali e che questa volta hanno ingrossato le fila della "astensione punitiva".

E' stato difficile per coloro che hanno subito gravi e ripetuti attacchi, generalmente attribuiti a un settore vicino al presidente Maduro, votare per lui. E il PCV non è riuscito a far loro comprendere appieno l'importanza delle elezioni che si avvicinavano e la necessità di rinviare temporaneamente le loro legittime lamentele di fronte alla contraddizione principale del momento, dal momento che la possibilità della soluzione reale delle loro rivendicazioni dipende dalla continuità e dall'approfondimento del processo rivoluzionario di cambiamento, nella prospettiva dell'obiettivo socialista.

* Membro del Comitato Centrale e del Dipartimento nazionale d'istruzione ideologica del PCV.

Articolo pubblicato su Tribuna Popular 220

NdR 
[*] Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV); Partito Comunista del Venezuela (PCV); Movimento Elettorale del Popolo (MEP); Patria per Tutti (PPT); Indipendenti per la Comunità Nazionale (IPCN); REDES; Partito Rivoluzionario del Lavoro (PRT)



Sobre los resultados electorales del 14 abril

Fernando Arribas García *

El resultado final de las elecciones del 14-A adjudica a la oposición más de 7 millones 362 mil votos, lo que representa un crecimiento de unos 770 mil votos con respecto al 7 de octubre de 2012. Pero este aumento aparentemente impresionante no es en realidad tan grande. Obsérvese lo siguiente:
Hubo un pequeño incremento de la abstención desde las elecciones presidenciales del 7-O (de 19,8% a 20,4%, unos 107 mil abstencionistas más). Sin embargo, este incremento fue compensado con creces por una reducción de los votos «nulos» (de 1,9% a 0,4%, unos 221 mil menos). Como resultado neto, hubo un aumento del total de votos válidos (+0,8%, unos 114 mil votos adicionales). Hubo además una reducción importante de los votos por «otros» (candidatos distintos a los dos principales) desde el 7-O al 14-A (-56,8%, unos 51 mil votos menos).
En realidad, tanto el volumen de votos «nulos» como el de votos por «otros» habían sido excesivos en 2012. En ambos casos, los resultados del 7-O superaron los niveles que eran estadísticamente esperables según las tendencias históricas recientes: hubo unos 170 mil votos «nulos» y unos 60 mil votos por «otros» más que lo que era estadísticamente esperable.
Estas anormalidades estadísticas ocurridas el 7-O tienen una misma explicación: el cambio de candidatura de una organización que apoyaba a Capriles y lo sustituyó (recuérdese el «fenómeno» Reyna Sequera, candidata que obtuvo el 7-O casi 71 mil votos, de los cuales 66 mil correspondieron a una tarjeta que inicialmente apoyaba a Capriles), y las anulaciones del apoyo de otras tres organizaciones al candidato de la oposición. En todos los casos, estos cambios fueron hechos a última hora y no quedaron reflejados en la boleta electoral que ya estaba impresa.
En consecuencia, a Capriles no se le contabilizaron en 2012 unos 230 mil votos que fueron emitidos en su favor por los electores, pero usando alguna de las tarjetas que habían cambiado de candidato o anulado su postulación, y sin embargo tenían su foto impresa en la boleta. Obsérvese que el 14-A la oposición participó bajo una denominación única (MUD), con lo que se eliminó la posibilidad de que ocurrieran de nuevo estas situaciones. Así que el crecimiento de la oposición de 2012 a 2013 no fue de 770 mil votos sino de alrededor de 540 mil votos, seguramente procedentes en su mayoría de la porción del electorado que se había abstenido el 7-O.
¿«Voto castigo»?
El resultado final del 14-A adjudica al Presidente Maduro más de 7 millones 586 mil votos, lo que representa una reducción con respecto al 7-O de unos 605 mil votos, que muy probablemente se abstuvieron en esta oportunidad. Obsérvense los siguientes hechos:
La votación por el PSUV, principal partido de la alianza que impulsa el proceso de cambios, sufrió apenas una leve disminución en términos proporcionales con respecto al 7-O (-3,0%, unos 194 mil votos), y el grueso de la disminución del voto de la alianza fue sufrido por el resto de los partidos de la misma. En términos proporcionales, los partidos que más sufrieron fueron IPCN (-64,2% de su votación del 7-O, unos 45 mil votos menos), PRT (-61,5%, 36 mil votos menos), REDES (-52,4%, 104 mil votos), MEP (-49,9%, 93 mil votos), PPT (-46,6%, 103 mil votos) y PCV (-42,1% de su votación del 7-O, unos 206 mil votos menos).
La argumentación del «voto castigo» se sustenta en la insatisfacción popular ante las graves deficiencias de la gestión gubernamental, los efectos de la devaluación, las deficiencias del servicio eléctrico, la escasez de bienes de consumo, el auge de la delincuencia y el repunte de la inflación. Pero esto plantea un problema estadístico: si los resultados de la alianza del proceso se debieran simplemente al llamado «voto castigo», entonces ese castigo, bajo condiciones ceteris paribus («con las demás variables inalteradas») se habría repartido proporcionalmente entre todos los partidos de la alianza y a cada cual le habría tocado una alícuota directamente proporcional a su peso relativo en el total de la alianza.
Sin embargo esto no fue así. Hasta el 14-A, el PSUV representaba el 78% de la alianza, por lo que lo estadísticamente esperable era que este partido recibiera el 78% del «castigo» y hubiera perdido 472 mil votos. De igual manera, el PCV (que representaba 6,0% de la alianza), debería haber perdido sólo 36 mil votos; y, siguiendo con la misma lógica, a PPT le correspondía una reducción de apenas 16 mil votos, a REDES 15 mil, a MEP 14 mil, a IPCN 5 mil y a PRT 4 mil. El hecho de que la reducción del voto de la alianza no se haya distribuido proporcionalmente entre los partidos que la componen y que el principal componente de la alianza haya sido el menos «castigado» por el electorado, debilita la hipótesis del «voto castigo».
Tiene que haber habido, por lo tanto, otros factores que entraron en juego y explican los resultados de la alianza. Es probable, por ejemplo, que haya ocurrido el fenómeno de la «abstención castigo», que ya se hizo presente con fuerza en 2007 y contribuyó a la derrota electoral del denominado «chavismo» en el referendo por la reforma constitucional.
La relativamente pequeña disminución de la votación del PSUV, también debilita la hipótesis de la deserción o fragmentación intencional de los votantes de esta organización por supuestas tensiones o divisiones internas. Todo indica que la reacción emotiva de los votantes del PSUV ante la muerte del Presidente Chávez, unificó temporalmente a este partido y lo protegió de un mayor descalabro. Es posible sin embargo que algunas de las tensiones intra-PSUV se hayan drenado hacia Tupamaro (77 mil votos más que el 7-O), como podría haber ocurrido también en las elecciones parlamentarias de 2010.
La votación del PCV
El PCV sufrió una significativa reducción de su votación: de casi 490 mil votos el 7-O a unos 284 mil el 14-A. Esta reducción, aunque sensible, no era enteramente inesperada ni debe alarmarnos en exceso; ya nuestro Buró Político, en su reunión del 8 de octubre, y el XI Pleno del Comité Central –realizado menos de dos semanas más tarde–, advirtieron que esos 490 mil votos no eran «nuestros», sino que representaban la voluntad de diferentes corrientes del movimiento obrero y popular, de amplios sectores clasistas, críticos, propositivos, autónomos y revolucionarios, que están a favor de la profundización del proceso, su depuración y orientación consecuente hacia el socialismo. Una parte de estas corrientes que expresaron sus aspiraciones y su disconformidad el año pasado a través de nuestra tarjeta, no lo hicieron el 14-A, pero seguramente volverán a hacerlo en el futuro. No obstante, es nuestra obligación profundizar en las causas de esa notable reducción de nuestro caudal electoral.
La hipótesis del «voto castigo» es todavía menos adecuada para explicar la reducción de la votación del PCV, que para la del resto de la alianza. No tiene sentido suponer que el partido que ha estado menos asociado con la gestión de gobierno, haya sido uno de los más «castigados» por la reacción popular ante esa gestión.
Obsérvese que, como lo apuntaban el Buró Político y el Comité Central en octubre, uno de los componentes importantes de nuestra votación proviene habitualmente de las corrientes clasistas del movimiento obrero. Esto fue particularmente cierto en 2012, como resultado de la larga ofensiva liderizada por el PCV en pro de una nueva y revolucionaria Ley Orgánica del Trabajo (LOT) y en pro de la aprobación de la Ley de los Consejos de Trabajadores y Trabajadoras. En los más de tres años que duró esa campaña, el PCV, especialmente a través de la Corriente Clasista de Trabajadores «Cruz Villegas», forjó lazos estrechos de colaboración y apoyo mutuo con los sectores más avanzados y organizados de la clase trabajadora, lo que tuvo expresión electoral concreta el 7-O.
Pero en los meses que transcurrieron entre ambas elecciones presidenciales, esa relación se hizo algo menos estrecha, en parte porque ya se había logrado la reforma de la LOT, pese a todas sus deficiencias, y en parte porque los acontecimientos nacionales (tres procesos electorales en seis meses, la enfermedad y muerte del Presidente Chávez, la devaluación y sus efectos) distrajeron el foco de atención del movimiento obrero y modificaron sus prioridades, lo que incidió en la política del PCV.
El sindicalismo clasista y la «abstención castigo»
Asimismo, debe tomarse en cuenta la tensión que existe entre los sectores más avanzados del movimiento obrero-sindical y el gobierno, en vista de los numerosos conflictos laborales que se han venido suscitando en los últimos años, y la insatisfactoria respuesta que ha dado el gobierno a estas situaciones, ya en calidad de patrono en los diferentes entes y empresas del Estado, o ya en calidad de rector y árbitro de la relación laboral desde las Inspectorías y otras dependencias del Ministerio del Trabajo (Mintrass). Los numerosos casos de acoso y hostigamiento contra los Consejos de Trabajadores, obstaculización de la formalización de sindicatos en proceso de constitución, demora y renuencia en la discusión y firma de contratos y convenciones colectivas, despido injustificado, y maltrato laboral generalizado en que ha incurrido el gobierno, tanto en su condición de parte patronal como desde el Mintrass, han creado un clima de molestia entre los trabajadores organizados.
Y a ello hay que agregar los ataques orquestados en los dos últimos años desde el gobierno y desde el PSUV contra la Unión Nacional de Trabajadores (UNETE), en el proceso de constitución de la llamada Central Bolivariana Socialista de Trabajadores (CBST), organización de carácter patronal, dependiente y sumisa al gobierno, que ha causado serios daños a la ya frágil unidad del movimiento obrero-sindical. No es casual que UNETE, que había hecho campaña activamente a favor de la reelección del Presidente Chávez en octubre, se haya inhibido de participar en la campaña por la elección del hoy Presidente Maduro, a quien además muchos identifican como uno de los dirigentes fundamentales del sector que desató esa campaña de ataques contra UNETE y el sindicalismo clasista autónomo.
No nos cabe duda de que, con la inhibición de UNETE, en cuyo seno desarrolla su actividad la Corriente Clasista de Trabajadores «Cruz Villegas», y el malestar generalizado entre los sectores más conscientes y avanzados del movimiento obrero-sindical, el PCV dejó de recibir el 14-A decenas de miles de votos que nos habían acompañado en la anterior elección presidencial y que en esta oportunidad pasaron a engrosar las filas de la «abstención castigo».
Era difícil que quienes han sufrido severos y reiterados ataques generalmente atribuidos a un sector cercano al Presidente Maduro, votaran por él. Y el PCV no logró hacerles entender a cabalidad la importancia de la elección que se avecinaba y la necesidad de posponer temporalmente sus legítimos reclamos ante la contradicción principal del momento, en vista de que la posibilidad de la solución real de sus reivindicaciones depende de la continuidad y profundización revolucionaria del proceso de cambios, en la perspectiva del objetivo socialista.
*Miembro del Comité Central y del Departamento Nacional de Educación Ideológica del PCV.
Artículo publicado en Tribuna Popular 220

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