Sahara:
strumenti e conseguenze di un'occupazione
04/09/2012
Sebbene
pensando al Sahara la prima immagine che ci viene in mente è quella
della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) e degli
accampamenti dei rifugiati di Tinduf, l'occupazione del Sahara
Occidentale da parte del Marocco costituisce ancora nel 2012 una
realtà sanguinosa. Invisibile nei mass media, arrivano sue notizie
solo in modo sporadico, quando ha luogo qualche evento che, per le
sue dimensioni, riesce a superare la censura imposta dalla monarchia
alauita, come nel caso del sanguinario smantellamento
dell'accampamento di Gdeim Izik nel novembre 2010.
L'occupazione
del Sahara Occidentale dopo il ritiro delle forze occupanti spagnole
nel 1975, è stata portata a termine con gli strumenti abituali degli
stati espansionisti: occupazione militare, instaurazione di uno stato
poliziesco torturatore, invasione del territorio mediante coloni,
proibizione dei mezzi di comunicazione e organizzazioni dissidenti,
subordinazione dell'attività economica agli interessi della
metropoli e colonizzazione culturale nel tentativo di distruggere i
tratti linguistici e culturali del paese occupato.
Il
Sahara Occidentale presenta, inoltre, una particolarità che lo
distingue da altri molti paesi occupati: quella di essere un
territorio conteso, in attesa di un referendum che conta sull'avallo
dell'ONU. Benché il Marocco lo consideri suo territorio, lo includa
nelle sue mappe e nei suoi programmi scolastici, lo amministri e
sfrutti le sue risorse naturali ed il suo popolo, il suo diritto sul
Sahara Occidentale non è formalmente riconosciuto a livello
internazionale.
Ciò
non è ostacolo alle forze di occupazione nella repressione continua,
continuata ed impunita verso il popolo saharawi. Un numero
impossibile da quantificare di omicidi, ma che arrivano a varie
migliaia dall'inizio dell'occupazione, più di 500 sparizioni,
migliaia di imprigionati in condizioni disumane di sovraffollamento e
di umiliazioni costanti, diverse prigioni segrete nelle quali alcuni
carcerati sono rimasti più di un decennio senza che nessuno sapesse
dove fossero, applicazione sistematica della tortura ai detenuti e
carcerati senza neanche la preoccupazione di non lasciare segni sui
corpi, stupri di donne che organizzavano la lotta contro
l'occupazione o semplicemente perché familiari di qualche
detenuto... tutto ciò è una costante attenuata deliberatamente da
molti stati che si definiscono "democratici." Quegli stessi
stati che dimostrano stupore ed indignazione davanti alle violazioni
dei diritti umani da parte dei governi che non si piegano ai loro
interessi.
Questa
situazione di repressione quotidiana condiziona completamente la vita
del popolo saharawi nei territori occupati, poiché in pratica tutte
le famiglie hanno sofferto la brutale repressione, in un modo o
nell'altro. Le conseguenze per i popoli in lotta, le conosciamo
tutti: esilio, famiglie separate, impossibilità di continuare gli
studi, perdita del posto di lavoro e grandi difficoltà per trovarne
un altro, penuria economica, controllo sociale costante, relegazione
a cittadini di seconda scelta... Come fanno notare alcuni carcerati
dopo essere usciti di prigione, si esce di galera per entrare in
un'altra più grande, chiamata Aaiún, Smara, Dajla...
Ma
se la repressione diretta costituisce il fenomeno più visibile
dell'occupazione, non sono meno importanti altre strategie con le
quali il regime alauí tenta di scardinare l'identità del popolo
saharawi ed appoggia la marochinizzazione. Tra esse lo spostamento
massiccio di popolazione marocchina nei territori occupati, che ebbe
il suo principale precedente nella Marcia verde del 1975.
A
partire da quel momento e specialmente a partire dal 1991, il regime
marocchino ha promosso lo spostamento della popolazione marocchina
per far procedere progressivamente la colonizzazione, offrendo
condizioni vantaggiose ai nuovi coloni (posti di lavoro con stipendi
allettanti, agevolazioni per comprare case, eccetera).
Parte
di questi coloni rappresenta inoltre una forza di scontro addizionale
nei casi in cui le forze repressive si vedono in difficoltà nelle
grandi proteste, che arriva fino alla collaborazione di molti di loro
come spie. Benché non esistano dati affidabili sulla popolazione
perché non esiste un censimento pubblico, la supremazia numerica dei
coloni marocchini nel Sahara Occidentale è un dato di fatto, si
parla di 2 o 3 coloni per ogni saharawi. Con l'alterazione
demografica, il regime marocchino persegue nel suo intento di
annacquare l'identità e la presenza del popolo saharawi cercando di
condizionare a suo favore i risultati di un possibile referendum, che
ogni volta appare sempre più improbabile a causa degli ostacoli
permanenti messi dal Marocco durante gli ultimi due decenni.
Ancora
una volta e come possiamo attualmente verificare in Hego Euskal
Herria, le modifiche del censimento ed i movimenti della popolazione
si rivelano come un arma, come un grossolano stratagemma utilizzato
per gli stati espansionisti per appoggiare la propria occupazione.
La
dipendenza economica del Sahara occupato è anche un aspetto da
sottolineare poiché condiziona non solo la vita giornaliera dei
saharawi, ma anche la validità del loro futuro stato. Se già di per
sé il Sahara è un territorio che ostacola o direttamente rende
impossibile gran parte delle attività economiche, il Sahara liberato
o RASD si trova in pieno deserto e le terre coltivabili sono
principalmente sotto occupazione marocchina.
Le
principali attività produttive nel Sahara Occidentale sono
l'estrazione di fosfati, la pesca nelle zone marittime saharawi e la
produzione di ortaggi in zone molto localizzate; attività destinate
principalmente all'esportazione e ad ingrassare la monarchia alauí,
come è stato denunciato varie volte da diverse istanze. Sostenuta in
uno sistema di furto di risorse naturali, senza uno sviluppo
equilibrato tra i differenti settori economici, ricevendo dal Marocco
in pratica la totalità di fattori produttivi e degli alimenti,
l'economia del Sahara Occidentale è completamente determinata dalla
sua condizione di colonia.
Un
altro aspetto dell'occupazione è il suo effetto deculturizzante che
va molto oltre le conseguenze ovvie della supremazia demografica
della popolazione marocchina su una cultura ed una lingua (il
hassannia) che considera strano ed inferiore. Tutta una serie di
misure legali assicurano un programma di studi educativo sostenuto
dall'ideologia espansionista marocchina, una relegazione totale del
hassania e perfino la proibizione di determinate pratiche abituali
del popolo saharawi, come per esempio l'installazione di haimas
[accampamenti ndt] nel deserto e lo smantellamento di Gdeim Izik.
In
sintesi, tutta una strategia con varie espressioni per ridurre al
minimo un popolo e consumare di fatto l'occupazione di un territorio.
Nonostante ciò, il popolo saharawi continua a lottare e si
intensifica il sentimento e la coscienza contro l'occupazione,
specialmente tra la gioventù. Di fronte all'occupazione e
all'occultamento internazionale e lungi da essere un popolo dominato,
le migliaia di combattenti caduti e repressi, le proteste giornaliere
e l'evidente presenza militare e poliziesca per strada mostrano che
il popolo saharawi prosegue a lottare attivamente per il suo diritto
ad essere libero, ad essere un popolo.
Il
compito degli altri popoli del mondo è triplice e complementare:
solidarizzare con la sua lotta, smascherare la complicità criminale
degli stati che danno copertura all'occupazione del Sahara e lottare
per la libertà del proprio paese di fronte a questi stati
imperialisti, cosa che costituisce in ultima istanza il migliore
contributo che possiamo offrire agli altri popoli del mondo, compreso
il saharawi.
Sahara:
herramientas y consecuencias de una ocupación
Si
bien al hacer referencia al Sahara la primera imagen que se nos viene
a la mente es la de la República Árabe Saharaui Democrática (RASD)
y los campamentos de refugiados de Tinduf, la ocupación del Sahara
Occidental por Marruecos constituye una realidad sangrante todavía
en 2012. Invisibilizada en los medios de comunicación, sólo nos
llegan noticias muy esporádicamente, cuando tiene lugar algún
suceso que, por sus dimensiones, consigue superar la censura impuesta
por la monarquía alauita, como fue el caso del sangriento
desmantelamiento del campamento de Gdeim Izik en noviembre de 2010.
La
ocupación del Sahara occidental tras la retirada de las fuerzas
ocupantes españolas en 1975 se ha llevado a cabo utilizando las
herramientas habituales de los estados expansionistas: ocupación
militar, instauración de un estado policial torturador, invasión
del territorio mediante colonos, prohibición de medios de
comunicación y organizaciones disidentes, subordinación de la
actividad económica a los intereses de la metrópoli y colonización
cultural que intenta destruir los rasgos lingüísticos y culturales
del pueblo ocupado. El Sahara occidental presenta, además, una
particularidad que lo diferencia de otros muchos pueblos ocupados; la
de ser un territorio en disputa, en espera de un referéndum que
cuenta con el aval de la ONU. Aunque Marruecos lo considere su
territorio, lo incluya en sus mapas y en su currículum educativo, lo
administre y explote sus recursos naturales y a sus pobladores, su
derecho sobre el Sahara occidental no está formalmente reconocido a
nivel internacional.
Ello
no es óbice para que las fuerzas de ocupación repriman de forma
continuada y con total impunidad al pueblo saharaui. Un numero
imposible de cuantificar de asesinados pero que llegan a varios miles
desde el comienzo de la ocupación, más de 500 desaparecidos, miles
de encarcelados en unas condiciones infrahumanas de hacinamiento y
humillaciones constantes, varias cárceles secretas en las que
algunos presos han permanecido más de una década sin que nadie
supiera su paradero, aplicación sistemática de la tortura a los
detenidos y presos sin preocuparse siquiera de no dejar marcas,
violación de mujeres por organizarse y luchar contra la ocupación o
simplemente por ser familiares de algún detenido... son una
constante obviada deliberadamente por muchos estados autodenominados
«democráticos». Esos mismos estados que aparentan asombro e
indignación ante violaciones de los derechos humanos por parte de
gobiernos que no se pliegan a sus intereses.
Dicha
situación de represión diaria condiciona por completo la vida del
pueblo saharaui en los territorios ocupados, ya que prácticamente
todas las familias han sufrido la brutal represión de una u otra
forma. Las consecuencias las conocemos todos los pueblos en lucha:
exiliados, familias rotas, imposibilidad de continuar los estudios,
pérdida del puesto de trabajo y grandes dificultades para encontrar
otro, penurias económicas, control social constante, relegación a
ser ciudadanos de segunda... Como señalan algunos presos tras
abandonar la prisión, salen de una cárcel para entrar en otra
mayor, llamada El Aaiún, Smara, Dajla...
Pero
si la represión directa constituye el fenómeno más visible de la
ocupación, no son menos importantes otras estrategias con las que el
régimen alauí intenta socavar la identidad del pueblo saharaui y
afianzar la marroquización. Entre ellas destaca el desplazamiento
masivo de población marroquí a los territorios ocupados, el cual
tuvo su principal precedente en la Marcha verde de 1975.
A
partir de ese momento, y especialmente a partir del alto el fuego de
1991, el régimen marroquí ha impulsado el desplazamiento de
población marroquí para consumar progresivamente la colonización,
ofreciendo condiciones ventajosas a los nuevos colonos (puestos de
trabajo con sueldos atractivos, facilidades para comprar casas, etc).
Parte de estos colonos supone además una fuerza de choque adicional
para los casos en que las fuerzas represoras se ven desbordadas en
grandes protestas, al margen de la colaboración de muchos de ellos
como chivatos. Aunque no existen datos fiables sobre la población
porque no existe un censo público, la supremacía numérica de los
colonos marroquíes en el Sahara Occidental es un hecho (se habla de
2 o 3 colonos por cada saharaui). Con la alteración demográfica, el
régimen marroquí persigue diluir la identidad y presencia del
pueblo saharaui e intentar condicionar a su favor los resultados de
un posible referéndum que cada vez se ve más improbable, debido a
los permanentes obstáculos puestos por Marruecos a lo largo de las
últimas dos décadas. Una vez más, y tal y como podemos comprobar
actualmente en Hego Euskal Herria, las alteraciones del censo y los
movimientos de población se revelan como un arma, como una burda
estratagema, utilizada por los estados expansionistas para afianzar
su ocupación.
La
dependencia económica del Sahara ocupado es también un aspecto a
destacar, ya que condiciona no sólo la vida diaria de los saharauis
sino también la viabilidad de su futuro estado. Si ya de por sí el
Sahara es un territorio que dificulta o directamente imposibilita
gran parte de las actividades económicas, el Sahara liberado o RASD
se encuentra en pleno desierto, quedando las tierras cultivables
principalmente bajo ocupación marroquí. En este sentido, las
principales actividades productivas en el Sahara Occidental son la
extracción de fosfatos, la pesca en los caladeros saharauis y la
producción de hortalizas en zonas muy localizadas; actividades
destinadas principalmente a la exportación y a engordar las arcas de
la monarquía alauí, como se ha denunciado reiteradamente desde
diversas instancias. Sustentada en un esquema de robo de recursos
naturales, sin un desarrollo equilibrado entre los diferentes
sectores económicos, recibiendo desde Marruecos la práctica
totalidad de insumos y alimentos, la economía del Sahara Occidental
está totalmente determinada por su condición de colonia.
Otro
aspecto de la ocupación es su efecto aculturizante, que va mucho más
allá de las consecuencias obvias de la supremacía demográfica de
la población marroquí sobre una cultura y un idioma (el hassannia)
que consideran extraño e inferior. Toda una batería de medidas
legales aseguran un currículum educativo sustentado en la ideología
expansionista marroquí, una relegación total del hassania e incluso
la prohibición de determinadas prácticas habituales del pueblo
saharaui, como por ejemplo la instalación de haimas en el desierto
desde el desmantelamiento de Gdeim Izik.
En
resumen, toda una estrategia con variadas expresiones para minorizar
a un pueblo y consumar de facto la ocupación de un territorio. A
pesar de ello, el pueblo saharaui sigue luchando y se intensifica el
sentimiento y la conciencia contra la ocupación, especialmente entre
la juventud. Frente a la ocupación y la ocultación internacional, y
lejos de ser un pueblo dominado, los miles de luchadores y luchadoras
caídos y reprimidos, las protestas diarias y la evidente presencia
militar y policial en las calles muestran que el pueblo saharaui
sigue vivo y luchando por su derecho a ser libre, a ser un pueblo
más.
La
labor de los demás pueblos del mundo es triple y complementaria:
solidarizarnos con su lucha, desenmascarar la complicidad criminal de
los estados que dan cobertura a la ocupación del Sahara y luchar por
la libertad del propio pueblo frente a dichos estados imperialistas,
lo cual constituye en último término la mejor aportación que
podemos ofrecer a los demás pueblos del mundo, incluido el saharaui.
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