domenica 30 giugno 2013

Ha fallito il socialismo?- ¿Ha fracasado el socialismo?




Ha fallito il socialismo?

È la domanda che molte persone si fanno in tutto il mondo, anche se la borghesia e gli imperialisti asseriscono che sì, il socialismo ha fallito. Questa affermazione tagliente è quella che genera il dubbio negli altri.

Anche noi ci facciamo la stessa domanda, ma ne facciamo anche un altra: ha fallito il capitalismo? E rispondiamo immediatamente: il capitalismo ha completamente fallito e non risponde a nessuna delle aspirazioni degli oppressi dei cinque continenti.

Gli oppressi vogliono la pace e il capitalismo conduce alla guerra, gli oppressi hanno fame e il capitalismo non può offrirgli cibo, gli oppressi hanno bisogno di un posto di lavoro e il capitalismo porta alla disoccupazione, gli oppressi vogliono imparare e il capitalismo li tiene nell'ignoranza, gli oppressi vogliono la libertà e il capitalismo li lega con pesanti catene di ferro...

Questo è il terribile scenario che colpisce migliaia di milioni di persone in tutto il mondo quando si alzano ogni mattina. Pertanto, dire che il socialismo ha fallito, quando il capitalismo ci mostra spudoratamente le sue ferite e frustrazioni, è una vera aberrazione. Se chiediamo a noi stessi se il socialismo ha fallito, la prima cosa da capire è in cosa hanno fallito i paesi socialisti.

Forse nei paesi socialisti i lavoratori pativano la disoccupazione? Soffrivano la fame? Gli operai avevano a disposizione scuole e università per far studiare i loro figli? I paesi socialisti si imbarcarono in guerre e aggredirono i loro vicini? Potevano riunirsi gli operai liberamente per discutere e risolvere i loro problemi?

Pensiamo che la risposta a tutte queste domande sia che, in sostanza, il socialismo ha risolto favorevolmente i problemi più urgenti delle masse sfruttate ed oppresse. E non solo loro: tutta l'umanità, tutto il mondo è avanzato con esso; tutti dovremmo sentirci partecipi e orgogliosi che, per la prima volta, si è dimostrato che il capitalismo non è la fine della storia e che è possibile costruire una nuova società in cui tutti siamo padroni del nostro destino, per imbarcarci verso la pace, la libertà e la prosperità in modo definitivo. Il socialismo è l'unica alternativa. Questo è ciò che è veramente importante: adesso e solo adesso, è dimostrato che il capitalismo è la causa dei nostri problemi e che la soluzione è quella di ucciderlo e di costruire il socialismo come passo verso il comunismo, l'abolizione dello Stato, delle classi sociali e della lotta di classe.

Il socialismo non è un'utopia, non è un sogno: si può e si deve edificare. La storia dimostra che i popoli non si suicidano, che sempre sono stati capaci di unirsi per cercare soluzioni alla loro miseria e che, inevitabilmente, in tutto il mondo si solleveranno in milioni per schiacciare la borghesia e aprire la strada ad una nuova società. Pertanto, il socialismo è possibile, è inevitabile e nulla può impedire la sua venuta.

Ma il socialismo non è nemmeno il paradiso. Gli atei già sanno che il paradiso non esiste, ma ci sono alcuni che stanno iniziando a scoprire adesso che sotto il socialismo ci sono stati anche dei problemi e talvolta gravi problemi, se non corretti adeguatamente, possono farci arretrare.

Pertanto, è importante parlare delle grandi conquiste storiche del socialismo, ma non possiamo nascondere il fatto che ci sono stati anche dei difetti e dei mali e che tutte queste carenze e mali non possiamo imputarle solo alla triste eredità del capitalismo, ma provengono da errori propri del socialismo.

Quando questi problemi affiorano in alcune riunioni, si prendono in considerazione solo alcune esperienze specifiche di alcuni paesi socialisti, in particolare l'Unione Sovietica. Ma di solito si dimenticano le altre, come la Comune di Parigi, la più antica, quella che Marx ed Engels hanno vissuto molto da vicino.

Diciamo questo perché tutta quella crosta piccolo borghese che prolifera in diversi movimenti popolari, non serve ad altro che demoralizzare, seminare sconcerto e confusione.

La caduta della Comune di Parigi del 1871, che è stata una pesante sconfitta per la classe operaia mondiale, non ha in nessun modo demoralizzato Marx ed Engels, che presero da essa importanti esperienze senza le quali la Rivoluzione di Ottobre sarebbe stata impossibile. Non esiste crisi, né crollo rivoluzionario che non si può convertire in una vittoria. Questa è anche la lezione che Lenin ha tratto dalla Rivoluzione russa del 1905, anch'essa fallita.

Noi comunisti non siamo nostalgici; né possiamo vivere del passato, né nemmeno prendere in considerazione solo i nostri successi, che, del resto, sono moltissimi e molto importanti (più dei fallimenti, ovviamente). Se parliamo del passato, è per apprendere da esso e questo costituisce l'essenza stessa del nostro movimento. E' ciò che contraddistingue la nostra rivoluzione da tutte le rivoluzioni del passato.

Ricordiamo quel passaggio che Marx scrisse 150 anni fa ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte: "Le rivoluzioni proletarie, invece, criticano continuamente se stesse; interrompono ad ogni istante il loro proprio corso; ritornano su ciò che già sembrava cosa compiuta per ricominciare daccapo, si fanno beffe in modo spietato e senza riguardi delle mezze misure, delle debolezze e delle miserie dei loro primi tentativi; sembra che abbattono il loro avversario solo perché questo attinga dalla terra nuove forze e si levi di nuovo più formidabile di fronte ad esse; si ritraggono continuamente, spaventate dall'infinita immensità dei loro propri scopi, sino a che si crea la situazione in cui è reso impossibile ogni ritorno indietro e le circostanze stesse gridano: Hic Rhodus, hic salta! Qui è la rosa, qui devi ballare".

Tuttavia, a molti piacerebbe che le cose fossero in altro modo, che tutto fosse come una sfilata giocosa su una strada dritta che avanza continuamente, senza fermarsi, senza battute d'arresto e colpendo il bersaglio ad ogni passaggio. Ma le cose non sono mai state così, non lo sono adesso e non lo saranno mai. Chi la pensa in altro modo dovrebbe pensare seriamente a dedicarsi alle proprie questioni personali, perché se esamina se stesso capirà che non contribuisce in nulla, che è un peso per il movimento, che trasmette agli altri il suo pessimismo, la sua confusione e demoralizzazione.

Come spesso accade, il più delle volte, questo tipo di persone non hanno il coraggio di riconoscere il loro vero stato d'animo e danno la colpa gli altri, in particolare ai lavoratori. Essi si considerano persone coscienti, impegnate e dedite alla lotta; il problema è che le masse sono molto arretrate, egoiste e sono fortemente influenzate dal capitalismo, dal consumismo e dalla bella vita. Secondo questo criterio, così diffuso, il problema non starebbe nell'avanguardia, ma nelle masse.

Beh, questo non è solamente falso, ma la divulgazione di tali erronee opinioni è profondamente corrosiva e, naturalmente, impropria per dei rivoluzionari. Siamo convinti che le masse si leveranno contro il capitalismo e ciò che ci chiediamo ogni giorno è se, quando ciò accadrà, saremo pronti a compiere il nostro dovere di comunisti, di avanguardia rivoluzionaria. Saremo in grado di essere avanguardia di questo movimento? Saremo in grado di guidare le lotte del proletariato e dirigerle verso la frantumazione della borghesia e del suo Stato?

Quindi noi comunisti, dobbiamo essere critici non con le masse, ma con noi stessi, con ciò che diciamo e facciamo e saremmo un gruppo di furfanti della peggior specie, se pretendessimo di giustificarci con l'arretratezza degli altri, della stragrande maggioranza (per reale che questa arretratezza possa essere).

Chi è veramente arretrato? Questa nostra posizione spiega, ulteriormente, la stessa arretratezza del movimento di massa. Vediamo. Forse alcuni pensano che l'arretratezza cresca naturalmente, che le masse sono arretrate per loro natura o per ignoranza. Qualcuno è anche convinto che le masse sono arretrate per l'influenza della propaganda borghese e della televisione.

Tutto ciò non sono altro che menzogne. E' solo una parte della verità, che deve essere integrata da un'altra: le masse sono anche frustrate e demoralizzate dai tanti tradimenti che hanno visto per molti anni. Ed è di questo aspetto che nessuno vuole parlare e, pertanto, a noi spetta portare alla luce la sporcizia. Cerchiamo di essere chiari: dal 1939, in condizioni terribili, gli operai spagnoli hanno offerto esempio senza precedenti di resistenza abnegata contro il fascismo; diedero tutto e in migliaia morirono nella lotta. Solo durante il periodo della transizione il fascismo uccise più di 500 antifascisti e tuttavia, cosa hanno fatto ancora gli operai accanto a loro? Che atteggiamento assunsero coloro che si proclamavano avanguardia? Alzarono la testa nella lotta o la nascosero sotto la sabbia? Per caso queste circostanze non influenzano lo stato d'animo attuale delle masse?

Tutto ciò ci porta, ancora una volta, al punto di partenza: il problema non sono le masse, ma l'avanguardia, il cumulo del disfattismo, della confusione e demoralizzazione che coloro che si considerano come persone coscienti, stanno trasmettendo attorno a loro. Nonostante l'immensa fiducia che le masse hanno depositato nei paesi socialisti e nelle organizzazioni comuniste, il revisionismo ha tradito il movimento operaio dal 1956. E' logico che le masse ci guardino con sospetto. Sono morti un milione di combattenti nella guerra contro il fascismo, per poi anni dopo i comunisti riconciliarsi con loro? Abbastanza eroico è stato che, nonostante questo, nonostante il tradimento revisionista, gli operai siano andati avanti per molti anni nel buio, spontaneamente.

Riflettiamo un po': il socialismo in nessun paese è stato sconfitto dal capitalismo, ma piuttosto il contrario. Le masse hanno vinto tutte le guerre che sono state combattute contro i loro oppressori, perché sono invincibili. Solo per una cosa è stato dimostrato che le masse non sono pronte: il tradimento dalle proprie file, la pugnalata alla schiena di tutti coloro che si proclamano i loro migliori difensori, di coloro che si riempiono la bocca di frasi marxiste-leniniste apprese a memoria.

A questo proposito vogliamo solo aggiungere una cosa a quello che abbiamo già detto sulle nostre stesse origini: alcuni pensano che non si deve essere settari per evitare che molti combattenti di valore vadano fuori del Partito Comunista. Questo è vero, ma tenete conto che i problemi più grandi che ha sofferto il movimento operaio non provengono propriamente da tali errori settari, ma precisamente che tutti questi soggetti in ultima analisi non sono tali e starebbero meglio fuori dai ranghi delle file rivoluzionarie.

Una lunga esperienza storica dimostra che i rivoluzionari autentici si ritrovano, pur lontani che siamo. Talvolta, non conoscendo l'esistenza dell'altro, il nemico ci mette insieme nelle stesse barricate. Se non ci troviamo è perché non siamo nella stessa lotta e quindi non vale la pena che ci inganniamo parlando di una falsa unità tra di noi.

Pertanto, è chiaro che questa non è la cosa più importante. La cosa importante è proprio il contrario e cioè che il fascismo non ha schiacciato il glorioso Partito Comunista e che nemmeno l'imperialismo ha vinto nell'Unione Sovietica. I problemi sono venuti dal di dentro, perché vi era dentro chi non doveva esserci, non perché erano fuori quelli che dovevano essere dentro. Questo già lo sapevamo da quando Lenin disse quella paradossale frase così tanto dimenticata: un partito comunista si rafforza epurandosi.

Abbiamo tutti letto molte volte che le famose purghe di Stalin ridussero la dirigenza bolscevica fino al punto che restò da solo al comando. Ma se esaminiamo l'esperienza storica di ogni rivoluzione, è successo lo stesso in ognuna di esse.

Forse nella Rivoluzione francese non si fecero rotolare le teste degli stessi rivoluzionari, oltre a quelle dei marchesi? Non è successo lo stesso in Messico? Perché succede questo? E' drammatica responsabilità degli stessi rivoluzionari? Sono le masse che fanno la rivoluzione. La risposta a queste domande, a nostro avviso, è la seguente: la rivoluzione non la fanno i comunisti, ma le masse. Come suggerisce il nome, è una massa eterogenea di milioni di persone che si sono lanciate nella battaglia per il bisogno e la disperazione della loro situazione. Ognuna di quelle persone che rischiano la vita nella lotta, ha problemi concreti e urgenti del tipo più vario, per i quali rivendica una soluzione.

Giustamente i problemi arrivano quando si cerca di determinare non solo qual è la soluzione ad ogni problema, ma come raggiungerla. Poi tutte le rivoluzioni hanno aperto più alternative, ciascuna delle quali si presenta come la soluzione per antonomasia.

Perché queste alternative non possono discutersi con calma e risolversi pacificamente?

Anche se la borghesia dice il contrario, i comunisti sono a favore per la risoluzione di tutti i problemi della rivoluzione in modo pacifico. Ma, sembra stupido dirlo. Parlare della rivoluzione è soltanto la metà della questione, l'altra metà è la controrivoluzione.

Una rivoluzione scatena una feroce contro-rivoluzione e da secoli i borghesi sono maestri nell'arte della menzogna, dell'inganno, dell'infiltrazione e dello scontro. Se sappiamo che questo lo fanno adesso, quando hanno tutto il potere nelle loro mani, cosa faranno quando ne saranno privati? Faranno di tutto: useranno i carri armati, lanceranno i missili con testate radioattive e non gli dispiacerà di organizzare un massacro di grandi dimensioni per farla franca.

La controrivoluzione impedisce che i problemi siano risolti (adesso e dopo) pacificamente. E' sempre stato e, purtroppo, sempre continuerà ad esser così anche in futuro. Inganneremmo i lavoratori se gli dicessimo un'altra cosa e dobbiamo essere pronti a questa eventualità perché dialogare è facile, ma dall'altro bisogna imparare a sparare con i cannoni.

Questa è anche la radice del crollo dei paesi socialisti (da non confondere con il crollo del socialismo). Alcuni credono che il socialismo sia un modo di produzione, un punto di arrivo, quando, in realtà, il socialismo è solo una fase di transizione per il vero punto di destinazione, che è l'abolizione delle classi, della lotta di classe e, quindi, di tutti gli Stati, della violenza e ogni forma di potere e di oppressione di un uomo su un altro. Noi vogliamo arrivare li e il socialismo è l'unica strada.

Forse molti parlano del fallimento del socialismo, perché non sanno quello che è il socialismo e si immaginano, nella loro infinita ingenuità, che dopo aver fatto la rivoluzione del 1917 la Russia fosse un paese socialista nel 1918. Ovviamente questo non è accaduto perché il socialismo è una fase di transizione che richiede tempo per la sua costruzione, durante il quale agiscono forze, come abbiamo detto, di natura molto diversa. Alcune spingono in avanti e altre spingono indietro.

Nella Critica del Programma di Gotha, Marx già diceva che il socialismo si crea sulle rovine del capitalismo e pertanto, presenta ancora tutti i suoi aspetti, in campo economico, morale e intellettuale; il sigillo della vecchia società dal cui seno essa è uscita. Come i satelliti spaziali, il primo problema del socialismo è decollare, rompere con l'inerzia del passato e con la legge di gravità che ci tiene alla terra. Senza ciò non possiamo raggiungere il cielo.

Ma poi si scopre che il cielo che abbiamo ottenuto non è quello che descrive la Bibbia e appaiono nuovi problemi e nuovi antagonismi che anch'essi dobbiamo essere in grado di risolvere adeguatamente, perché se deviamo di un solo millimetro da un percorso preciso, invece di andare verso la Luna andremo verso Giove o, quel che è peggio, ricadiamo sulla Terra.

Se non si rompe totalmente e assolutamente con il capitalismo e ognuno dei suoi mali, se tutte le contraddizioni che il socialismo genera non si risolvono correttamente, se la rivoluzione si intorpidisce, i problemi si vanno ad accumulare fino a che diventare insolubili.

Il capitalismo non è la fine della storia e nemmeno il socialismo. La storia non si ferma mai. Quando i paesi socialisti non avanzavano, in realtà stavano retrocedendo, non solo per la pressione imperialista, ma perché ad essa si sono uniti errori propri, creando un rapporto di forze molto sfavorevole, che alla fine lo ha sepolto.

Il compito non è facile. Ma è più facile per noi di quanto lo fosse per i parigini nel 1871 o per i sovietici nel 1917. Ora sappiamo molto di più e noi possiamo continuare a imparare dalla loro esperienza, continuiamo a discutere e giungere a una migliore comprensione, non per esser degli studiosi, ma per migliorare quello che hanno fatto, evitare i loro errori e moltiplicare i loro grandi successi.

La Comune di Parigi è durata solo poche settimane, l'Unione Sovietica è durata quarant'anni. La seguente durerà quaranta secoli! Il socialismo non solo non ha fallito, ma ha messo tutta l'umanità sulle vette più alte mai raggiunte. Abbiamo motivo di essere molto ottimisti.


¿Ha fracasado el socialismo?

Es la pregunta que mucha gente se hace en todo el mundo, aunque la burguesía y los imperialistas lo ponen como una aseveración: sí, el socialismo ha fracasado, dicen. Esta afirmación tajante es lo que genera la duda entre los demás.
Nosotros nos hacemos esa misma pregunta, pero además nos hacemos otra: ¿Ha fracasado el capitalismo?, e inmediatamente respondemos con la afirmativa: el capitalismo ha fracasado totalmente y no satisface ninguna de las aspiraciones de los oprimidos de los cinco
continentes.
Los oprimidos quieren paz y el capitalismo nos conduce a la guerra; los oprimidos tienen hambre y el capitalismo no puede ofrecerles comida; los oprimidos necesitan un trabajo y el capitalismo los conduce al desempleo; los oprimidos quieren aprender y el capitalismo los mantiene en la ignorancia, los oprimidos quieren libertad y el capitalismo los ata con pesadas cadenas de hierro,…
Ese es el terrible panorama que padecen miles de millones de personas en todo el mundo cuando se levantan cada mañana. Por eso, decir que el socialismo ha fracasado cuando el capitalismo nos muestra impúdicamente sus llagas y sus frustraciones es una verdadera aberración. Si de ahí pasamos a preguntarnos si el socialismo ha fracasado, lo primero que habrá que concretar es en qué han fracasado los países socialistas.
¿Acaso en los países socialistas los trabajadores padecieron el desempleo? ¿Sufrieron hambre? ¿Los obreros disponían de escuelas y universidades para que sus hijos estudiaran? ¿Se embarcaron los países socialistas en guerras y agredieron a sus vecinos? ¿Podían reunirse los obreros libremente para discutir y resolver sus problemas?
Nosotros pensamos que la respuesta a todas esas preguntas es que, en esencia, el socialismo resolvió de manera favorable los problemas más acuciantes de las masas explotadas y oprimidas. Y no sólo ellos: toda la humanidad, todo el mundo salió ganando con ello; todos debemos sentirnos partícipes y orgullososde que, por primera vez, se demostrara que el capitalismo no es el fin de la historia y que es posible construir una nueva sociedad en la que todos seamos dueños de nuestro destino para embarcarnos rumbo a la paz, la libertad y el bienestar de una manera definitiva. El socialismo es la única alternativa. Eso es lo realmente importante: ahora y sólo ahora está comprobado que el capitalismo es la causa de nuestros problemas y que la solución está en acabar con él y construir el socialismo como paso previo hacia el comunismo, la abolición del Estado, de las clases sociales y de la lucha de clases.
El socialismo no es una utopía, no es un sueño: se puede y se debe edificar. La historia demuestra que los pueblos no se suicidan, que siempre han sido capaces de juntarse para buscar soluciones a su miseria y que, inevitablemente, en todo el mundo se levantarán por millones para aplastar a la burguesía y abrir el camino hacia una sociedad nueva. Por tanto, el socialismo no es posible, es inevitable, y nada ni nadie puede impedir su advenimiento.
Pero el socialismo tampoco es el paraíso. Los ateos ya sabíamos que el paraíso no existe pero hay algunos que empiezan a descubrir ahora que bajo el socialismo también hubo problemas, y a veces problemas importantes que si no se solucionan correctamente pueden conducirnos marcha atrás.
Por tanto es importante hablar de los grandes logros históricos del socialismo, pero no podemos ocultar que también existieron deficiencias y lacras, y que todas esas deficiencias y lacras no las podemos imputar sólo al triste legado del capitalismo sino que provienen de errores cometidos por el propio socialismo.
Cuando estas cuestiones afloran en algunas reuniones, sólo se tienen en cuenta algunas experiencias concretas de algunos países socialistas, sobre todo de la Unión Soviética. Pero se olvidan habitualmente de otras, como la Comuna de París, la más antigua, aquella que Marx y Engels vivieron muy de cerca.
Decimos esto porque toda esa costra de pequeño burgueses que proliferan por los diversos movimientos populares, no pretenden otra cosa que desmoralizar, sembrar el desconcierto y la confusión.
La caída de la Comuna de París de 1871, que fue una dura derrota de la clase obrera mundial, en modo alguno desmoralizó a Marx y Engels, que sacaron de ella importantes experiencias sin las cuales laRevolución de Octubre hubiera resultado imposible. No existe crisis ni descalabro revolucionario que no se pueda convertir en una victoria. Esa es también la lección que Lenin extrajo de la Revolución rusa de 1905, también fracasada.
Los comunistas no somos nostálgicos; ni podemos vivir del pasado ni tampoco tener en cuenta sólo nuestros aciertos, que, por lo demás, son muchísimos y muy importantes (más que los fracasos, por supuesto). Si hablamos del pasado es para aprender de él y eso constituye la esencia misma de nuestro movimiento. Es lo que diferencia a nuestra revolución de todas las revoluciones pasadas.
Recordemos aquel pasaje que Marx escribió hace 150 años en el Dieciocho Brumario de Luis Bonaparte: las revoluciones proletarias, decía, se critican constantemente a sí mismas, sobre lo que parecía terminado, para comenzarlo de nuevo desde el principio, se burlan concienzuda y cruelmente de las indecisiones, de los lados fijos y de la mezquindad de sus primeros intentos, parece que sólo derriban a su adversario para que éste saque de la tierra nuevas fuerzas y vuelva a levantarse más gigantesco frente a ellas, retroceden constantemente aterradas ante la vaga enormidad de sus propios fines.Los aguafiestas.
Sin embargo, a muchos les gustaría que las cosas fueran de otra manera, que todo fuera como un desfile jocoso en línea recta avanzando continuamente, sin paradas, sin retrocesos y acertando en la diana con cada uno de los pasos. Pero las cosas nunca han sido así, no lo son ahora y no lo serán nunca. Quienopine de otra manera debe meditar seriamente acerca de dedicarse a sus asuntos personales porque si se examina a sí mismo se apercibirá de que no contribuye en nada, que es una carga para el movimiento, que transmite a los demás su pesimismo, su confusión y su desmoralización.
Ocurre que, la mayor parte de las veces, ese tipo de personas no tienen el coraje de reconocer su auténtico estado de ánimo y echan la culpa a los demás, especialmente a los trabajadores. Ellos se consideran a sí mismos personas conscientes, comprometidas y abnegadas en la lucha; el problema es que las masas están muy atrasadas, son egoístas y están muy influenciadas por el capitalismo, el consumismo y la buena vida. Según este criterio -tan extendido- el problema no estaría en la vanguardia sino en las masas.
Pues bien, eso no solamente es falso sino que la divulgación de ese tipo de opiniones erróneas es profundamente corrosiva, y por supuesto, es impropio de revolucionarios. Nosotros estamos convencidos de que las masas se levantarán contra el capitalismo, y lo que nos preguntamos a nosotros mismos cada día es lo siguiente: cuando eso suceda, ¿estaremos preparados para cumplir con nuestra obligación de comunistas, de vanguardia revolucionaria? ¿Conseguiremos estar a la cabeza de ese movimiento? ¿Seremos capaces de orientar las luchas del proletariado y encaminarlas hacia el aplastamiento de la burguesía y su Estado?
Por eso nosotros, los comunistas, con quienes debemos ser críticos no es con las masas sino con nosotros mismos, con lo que decimos y hacemos, y nos convertiremos en un atajo de canallas de la peor especie cuando pretendamos justificarnos con el atraso de los demás, de la inmensa mayoría (por real que pueda ser ese atraso).
¿Quién está realmente atrasado? Esa postura nuestra explica, además, el mismo atraso del movimiento de masas. Veamos. Quizá haya quien piense que ese atraso brota espontáneamente, que las masas son atrasadas por su propia naturaleza o por ignorancia. También hay quien está convencido de que las masas están atrasadas por influencia de la propaganda burguesa y la televisión.
Todo eso no es que sea mentira. Es que es sólo una parte de la verdad que tiene que ser complementada con la otra: las masas también están frustradas y desmoralizadas por las múltiples traiciones que han observado a su alrededor durante muchos años. Y éste es el aspecto del que nadie quiere hablar y, por tanto, a nosotros nos corresponde sacar a la luz los trapos sucios. Seamos claros: desde 1939, en condiciones terribles, los obreros españoles han ofrecido un ejemplo inaudito de resistencia abnegada contra el fascismo; lo dieron todo y murieron miles en la lucha. Sólo durante la transición el fascismo asesinó a tiro limpio a más de 500 antifascistas y, sin embargo, ¿qué vieron los obreros a su alrededor? ¿qué actitud tomaron aquellos que se proclamaban como su vanguardia? ¿Sepusieron a la cabeza de la lucha o la escondieron debajo del ala? ¿Acaso esas circunstancias no influyen sobre el estado de ánimo actual de las masas?
Todo esto nos lleva, otra vez, al punto de partida: el problema no son las masas sino la vanguardia, el cúmulo de derrotismo, de confusión y de desmoralización que los que se consideran a sí mismos como personas conscientes están transmitiendo a su alrededor. A pesar de la inmensa confianza que las masas tenían depositada en los países socialistas y en las organizaciones comunistas, el revisionismo lleva traicionando al movimiento obrero desde 1956. Es lógico que las masas nos miren con desconfianza. ¿Murieron un millón de combatientes en la guerra contra el fascismo para que quince años después los comunistas se reconciliaran con ellos? Bastante heroico fue que a pesar de ello, a pesar de la traición revisionista, los obreros siguieran adelante durante muchos años a tientas, de manera espontánea.
Reflexionemos un poco: en ningún país del mundo el socialismo ha sido derrotado por el capitalismo, sino todo lo contrario. Las masas han ganado todas las guerras que han emprendido contra sus opresores porque son invencibles. Sólo hay una cosa para la cual se ha demostrado que las masas no están preparadas: la traición desde sus propias filas, la puñalada por la espalda de todos aquellos que se proclaman como sus mejores defensores, de los que se llenan la boca de frases marxista-leninistas aprendidas de memoria.
Con respecto a esto sólo queremos añadir una cosa a lo mucho que venimos hablando desde nuestros mismos orígenes: hay quien piensa que no se debe ser sectario para evitar que muchos luchadores valiosos se queden fuera del partido comunista. Eso es cierto, pero hay que tener en cuenta que los mayores problemas que viene padeciendo el movimiento obrero no provienen precisamente de ese tipo de errores sectarios sino precisamente de que todos esos sujetos tan valiosos resultan finalmente no ser tales y estarían mejor apartados de las filas revolucionarias.
Una larga experiencia histórica demuestra que los auténticos revolucionarios acabamos encontrándonos, por lejanos que estemos. A veces, sin saber unos de la existencia de los otros, el enemigo nos junta en las mismas barricadas. Si no nos encontramos es porque no estamos en la misma lucha y entonces no merece la pena que nos engañemos hablando de una falsa unidad entre nosotros.
Por lo tanto, es claro que eso no es lo más importante. Lo importante es justamente lo contrario, a saber, que en España el fascismo no aplastó al glorioso Partido Comunista y que en la URSS el imperialismo tampoco lo logró. Los problemas vinieron desde dentro, porque estaba dentro quien no debía, no porque estuviera fuera quien debía estar dentro. Esto ya lo sabíamos desde que Lenin estableció aquella frase paradójica tan olvidada: un partido comunista se fortalece depurándose.
Todos hemos leído muchas veces que las famosas depuraciones de Stalin cercenaron a la dirección bolchevique, hasta el punto de que se quedó él solito al frente. Pero si examinamos la experiencia historica de cualquier revolución, sucedió lo mismo en cualquiera de ellas.
¿Acaso en la revolución francesa no rodaron las cabezas de los propios revolucionarios además de las de los marqueses? ¿No sucedió eso mismo en México? ¿Por qué ocurre esto? ¿Es ese drama responsabilidad de los propios revolucionarios? Son las masas las que hacen la revolución. La respuesta a esas preguntas, a nuestro modo de ver, es la siguiente: la revolución no la hacen los comunistas sino las masas. Como su propio nombre indica, las masas es un conglomerado heterogéneo de millones de personas que se han lanzado a la batalla por la necesidad y la desesperación de su situación. Cada una de esas personas que arriesga su vida en la lucha tiene problemas concretos y urgentes de la más variada especie para los que reclama una solución.
Justamente los problemas provienen cuando se trata de determinar no solamente cuál es la solución de cada problema sino cómo alcanzarla. Entonces todas las revoluciones han visto abrirse múltiples alternativas, cada una de las cuales se presenta como la solución por antonomasia.
¿Por qué esas alternativas no pueden discutirse serenamente y resolverse de manera pacífica?
Aunque la burguesía diga lo contrario, los comunistas somos partidarios de resolver todos los problemas de la revolución de forma pacífica. Pero -parece tonto decirlo. Hablar de la revolución es sólo hablar de la mitad de la cuestión. la otra mitad es la contrarrevolución.
Una revolución desata una feroz contrarrevolución y desde hace siglos los burgueses son maestros en el arte de la mentira, el engaño, la manipulación, la infiltración y el enfrentamiento. Si sabemos que esto lo hacen ahora, cuando tienen todo el poder en sus manos, ¿qué no harán cuando se vean privados de él? Lo harán todo: sacarán a los tanques, lanzarán misiles con cabezas radiactivas y no les importará organizar una carnicería de enormes dimensiones para salirse con la suya.
La contrarrevolución impide que los problemas se solucionen (ahora y luego) de manera pacífica. Así ha sido siempre y -lamentablemente- así seguirá siendo en el futuro. Engañaríamos a los trabajadores si les dijéramos otra cosa y nosotros mismos debemos estar preparados para esa eventualidad porque dialogares fácil pero para lo otro hay que aprender a disparar los cañones.
Esa es la raíz también del hundimiento de los países socialistas (que no hay que confundir con el hundimiento del socialismo). Hay quien cree que el socialismo es un modo de producción, un punto de llegada cuando, en realidad, el socialismo no es más que una fase de transición hacia el verdadero punto de destino, que es la abolición de las clases, de la lucha de clases y, por tanto, de todos los Estados, de la violencia y de toda forma de poder y de opresión de un hombre sobre otro. Nosotros queremos llegar ahí; el socialismo es sólo el trayecto.
Quizá muchos hablen del fracaso del socialismo porque no saben lo que es el socialismo y se imaginen -en su infinita ingenuidad- que tras hacer la revolución en 1917 Rusia era un país socialista en 1918. Obviamente eso no sucedió así porque el socialismo es una etapa de transición que requiere un tiempo para su edificación durante el cual actúan fuerzas -como ya hemos dicho- de muy distinta naturaleza. Unas empujan hacia adelante y otras empujan hacia atrás.
En la Crítica del Programa de Gotha, Marx ya decía que el socialismo se crea sobre las ruinas del capitalismo y por lo tanto, presenta todavía en todos sus aspectos, en lo económico, en lo moral y en lo intelectual, el sello de la vieja sociedad de cuya entraña procede. Como los satélites espaciales, el primer problema del socialismo es despegar, romper con la inercia del pasado y con la ley de la gravedad que nos sujeta a la tierra. Sin eso no podemos alcanzar el cielo.
Pero luego resulta que el cielo al que llegamos no es el que describe la Biblia y que aparecen nuevos problemas y nuevos antagonismos que también hay que saber resolver de manera adecuada porque si nos desviamos sólo un milímetro de la trayectoria precisa, en lugar de ir a la Luna acabamos en Júpiter o, lo que es peor, volvemos a caer en la Tierra.
Si no se despega, ni se rompe total y absolutamente con el capitalismo y cada una de sus lacras, si las contradicciones de todo tipo que el socialismo engendra no se solucionan correctamente, si la revolución se adormece, los problemas se irán acumulando hasta hacerse insolubles.
El capitalismo no es el fin de la historia y el socialismo tampoco. La historia no se detiene nunca. Cuando los países socialistas no avanzaban en realidad estaban retrocediendo, no sólo por la presión imperialista sino porque a ella se le unieron los errores propios, creando una correlación de fuerzas muydesfavorable que los acabó sepultando.
La tarea no es nada fácil. Pero es más fácil para nosotros de lo que fue para los parisinos en 1871 o los soviéticos en 1917. Ahora sabemos mucho más y podemos seguir aprendiendo de su experiencia, podemos seguir discutiendo y llegaremos a una comprensión mucho mejor, no para ser unos eruditos sino para mejorar lo que ellos hicieron, evitar sus errores y multiplicar sus gigantescos éxitos.
La Comuna de París sólo duró unas semanas. la Unión Soviética duró cuarenta años. El siguiente durará cuarenta siglos!. El socialismo no solamente no ha fracasado sino que ha puesto a toda la humanidad en las más altas cumbres jamás alcanzadas. Tenemos motivos para ser muy optimistas.
A los fascistas no se les respeta duro se les combate.

immagini da internet inserite da autore blog corrente

venerdì 28 giugno 2013

Antimperialismo : "A colloquio con Bahar dopo la sua liberazione"


Movimento Antimperialista
A colloquio con Bahar dopo la sua liberazione

Dopo il pagamento di una cauzione di 10.000 euro richiesta dallo Stato spagnolo, Bahar Kimyongür - che era stato arrestato il 17 giugno - è stato rilasciato ed è rientrato a casa a Bruxelles sabato 22 giugno. Lo abbiamo sentito e ci ha spiegato qual'è la situazione attuale.

Bahar. "Siamo in attesa di venire a conoscenza delle motivazioni per cui lo Stato turco richiede la mia estradizione. Che sembrano essere le stesse del 2006 dove infine fui assolto. Per cui questa storia sembra  veramente una presa in giro perché nessun tribunale mi può giudicare due volte per lo stesso presunto reato. Ora  nel giro di due mesi ci sarà il processo in Spagna a cui dovrò essere assolutamente presente pena l'arresto automatico in qualsiasi luogo mi trovo."

AG:
Come avete vissuto questi giorni in Spagna tu e la tua famiglia?

Bahar: "In maniera dolorosa perché eravamo in vacanza con i figli di tre e quattro anni. Ma mia moglie e i piccoli hanno reagito con grande dignità nell'attesa della mia liberazione. Comparire davanti all'Udienza Nazionale spagnola è stata un esperienza significativa perché ho dovuto deporre davanti ad un organismo estremamente politico di cui tutti conosciamo il  ruolo e la storia".

AG:
Vedi un legame della tua vicenda con la situazione turca?

Bahar: "Certo. Erdogan continua a sostenere che i "responsabili dei disordini sono terroristi e comunque gente che vive all'estero". Quello che non possono sopportare è il nostro continuo impegno di denuncia verso la politica estera turca in particolar modo per come sta agendo contro il popolo siriano".

AG:
Del movimento in Turchia che giudizio dai?

Bahar: "Assolutamente positivo. E' un movimento largo, ma che comprende anche le forze di avanguardia. E' un movimento, ci tengo a sottolinearlo, totalmente diverso per qualità e prospettive da quelli delle cosiddette rivolte arabe. Tutt'altro".

AG:
Cosa pensi si possa fare in questo momento e per la tua situazione in particolar modo?

Bahar: "Continuare a denunciare i crimini dell'imperialismo e a lottare ognuno nel proprio paese contro l'imperialismo di casa propria. Questo è l'aiuto migliore. Vorrei anche dire che sono rimasto molto colpito dalla grande solidarietà espressa nei miei confronti".
Ringraziamo Bahar per questa chiacchierata. Ribadiamo la nostra vicinanza a lui, alla sua famiglia e ai suoi compagni, la nostra solidarietà alla ribellione del popolo turco contro Erdogan e ai resistenti siriani che cercano di opporsi alla brutale aggressione imperialista.
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domenica 16 giugno 2013

Cuba, Stati Uniti e la lotta contro il terrorismo - Cuba, Estados Unidos y la lucha contra el terrorismo



Cuba, Stati Uniti e la lotta
contro il terrorismo

16.03.2013 -Salim Lamrani (Opera Mundi)  http://lapupilainsomne.wordpress.com


Gli USA hanno appena nuovamente collocato Cuba nella lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo, sollevando l'ira dell'Avana che respinge un'accusa "arbitraria".

Dal 1982, Cuba è parte della lista delle nazioni che sponsorizzano il terrorismo internazionale, fornita dal Dipartimento di Stato, con l'attuazione di varie sanzioni come conseguenza. L'amministrazione repubblicana di Ronald Reagan decise di inserire l'isola per il suo sostegno che offriva ai movimenti rivoluzionari dell'America Latina, in particolare in El Salvador. In quell'epoca, il governo conservatore aveva deciso di abbandonare la politica di riavvicinamento con L'Avana, che aveva stabilito il suo predecessore James Carter, che stava sul punto di normalizzare le relazioni con Cuba.

Nel suo ultimo rapporto pubblicato il 30 maggio 2013, Washington giustifica il mantenimento di L'Avana nel gruppo che comprende l'Iran, la Siria e il Sudan, sottolineando che "in passato, alcuni membri delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) sono stati autorizzati a rifugiarsi a Cuba". Il rapporto sottolinea anche che "il governo cubano continua a proteggere fuggitivi ricercati negli Stati Uniti. Il governo cubano offre anche supporto come alloggi, buoni pasto e assistenza medica a questi individui". Infine, il documento si riferisce alla presenza di separatisti baschi a Cuba. [1]

Tuttavia, Washington omette evidenziare alcuni elementi chiave che distruggono le varie accuse. Per quanto riguarda le FARC, L'Avana ha effettivamente, in passato, ospitato alcuni elementi. Ma fu la Colombia che chiese questo al governo cubano, nel quadro di negoziati destinati a portare ad un accordo di pace. Così, a partire dal novembre 2012, Cuba è sede di negoziati tra i rappresentanti delle FARC e del governo colombiano. Il rapporto del Dipartimento di Stato ammette che Cuba "accoglie colloqui di pace" tra la guerriglia e lo Stato colombiano, e segnala che non vi è "alcuna indizio che il governo cubano fornisca armi o addestramento paramilitare a gruppi terroristici". [2]

Wayne S. Smith, un ex ambasciatore degli Stati Uniti a Cuba, ha dichiarato la sua incomprensione dopo la pubblicazione del rapporto: "Il governo colombiano, lontano da accusare Cuba di albergare guerriglieri ha ripetutamente salutato il contributo di L'Avana al processo di pace" [3 ]

In quanto ai membri dell'ETA, Washington omette segnalare, inoltre, che L'Avana ha solo risposto ad una richiesta del governo spagnolo di Felipe González di accogliere alcuni leader, nel quadro dei colloqui di pace con l'organizzazione separatista basca.

Jim McGovern, rappresentante repubblicano dello Stato del Massachussetts, ha anche espresso il suo disaccordo con la decisione del Dipartimento di Stato. "Non c'é nessuna prove che Cuba fornisca sostegno a gruppi terroristici", ha detto, ricordando che la Colombia aveva spesso salutato il "ruolo costruttivo" dell'isola nella ricerca di un accordo di pace. [4] Anthony Quainton, ambasciatore all'origine dell'inclusione di Cuba nella lista dei paesi terroristi nel 1982, ha anche espresso la sua disapprovazione: "E' giunto il momento di ritirare Cuba dalla lista, per i nostri mutui interessi".

Allo stesso modo, Patrick Ryan, ex ambasciatore degli Stati Uniti, autore dei rapporti sul terrorismo tra il 2007 e il 2009, ha lanciato un appello a Washington per porre fine alla stigmatizzazione di L'Avana:

"Come ex diplomatico americano, autore dEi rapporti sul terrorismo tra il 2007 e il 2009 [...], ho visitato Cuba diverse volte come parte del mio lavoro. Sono convinto che mantenere Cuba nella lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo è assurdo e altamente politico, particolarmente viste le evidenti omissioni.

Dove é la Corea del Nord, che ha lanciato attacchi contro il Sud negli ultimi anni - e che di recente ha minacciato di lanciare un attacco nucleare contro gli Stati Uniti? [...] Nessuna fonte credibile di informazione afferma che Cuba rappresenta attualmente una minaccia per la nostra sicurezza.

Per troppo tempo, una piccola minoranza di politici cubano americani detta la politica estera degli Stati Uniti verso uno dei nostri vicini più prossimi geograficamente, e ha usato questa lista di paesi terroristi altamente discutibile per giustificare il mantenimento di un embargo risalente alla Guerra Fredda.

Curiosamente questi membri del Congresso sostengono la libertà dei cubani di recarsi negli Stati Uniti, ma non la libertà degli americani di viaggiare a Cuba, e utilizzano la giustificazione del terrorismo per questo.

Il fatto che alcuni membri del gruppo separatista basco ETA sono si trovino nell'isola con la benedizione del governo spagnolo, che i membri delle FARC sono a Cuba nel corso dei negoziati di pace sostenuti dal governo colombiano e che diversi latitanti dalla giustizia americana - di fatto nessuno di loro è stato accusato di terrorismo  -  hanno vissuto lì esiliati dal 1979, non sono argomenti credibili per mantenere l'accusa [...]. "

E' tempo di adottare un nuovo approccio perché la nostra attuale anacronistica politica ha fallito strepitosamente da più di mezzo secolo". [5]

Da parte sua, il governo dell'Avana ha condannato la strumentalizzazione della guerra contro il terrorismo per fini politici. In una lunga dichiarazione, il
Ministero degli Affari Esteri ha risposto a Washington: "Nuovamente, questa decisione vergognosa è stata presa, ignorando deliberatamente la verità e ignorando l’ampio consenso e il reclamo esplicito di numerosi settori della società statunitense e della comunità internazionale, perchè si ponga fine a questa ingiustizia.

L’unico proposito di questo spregevole esercizio è il tentativo di giustificare il mantenimento del blocco, una politica fallita che il mondo intero condanna.

Il Governo degli Stati Uniti insiste nel mantenere questa designazione arbitraria e unilaterale nonostante il fallimento totale delle accuse ridicole e degli argomenti senza fondamento che tradizionalmente ha utilizzato negli ultimi anni, come accusa per questo[…].”

Il territorio di Cuba non è mai stato usato e non si userà mai per ospitare terroristi di nessuna origine, né per organizzare, finanziare o perpetrare azioni di terrorismo contro nessun paese del mondo, includendo gli Stati Uniti. Il Governo cubano respinge e condanna senza eccezioni ogni azione di terrorismo in qualsiasi luogo, in qualsiasi circostanza e qualsiasi siano le motivazioni che si sostengono.

Al contrario, il governo degli Stati Uniti utilizza il terrorismo di Stato come un’arma contro paesi che sfidano i suoi interessi, provocando la morte tra la popolazione civile. Ha usato aerei senza equipaggio per perpetrare esecuzioni extragiudiziarie di presunti terroristi includendo degli statunitensi, con il risultato della morte di centinaia di civili innocenti.[6]

Il governo inoltre accusa  Washington di ospitare terroristi di origine cubana responsabili di diverse centinaia di assassini, qualcosa che gli Stati Uniti non negano. Dal 1959, il terrorismo proveniente dagli Stati Uniti ha ucciso 3478 cubani e  2099 inabili. Il caso più emblematico è quello di Luis Posada Carriles. Ex poliziotto sotto il regime dittatoriale di Fulgencio Batista, Posada fu reclutato dalla CIA nel 1961 ed è diventato un esperto di esplosivi. E'responsabile di più di un centinaio di assassini, tra cui l'attentato del 6 ottobre 1976 che ha causato l'esplosione, in pieno volo, di un aereo civile alle Barbados, uccidendo 73 persone, tra cui l'intera squadra di scherma che aveva appena vinto i Giochi Panamericani. Egli è anche autore di una ondata di attacchi terroristici che hanno colpito l'industria turistica cubana, tra aprile e settembre 1997, che é costata la vita al cittadino italiano Fabio di Celmo e che ha fatto decine di vittime. [7]

Non vi è alcun dubbio sulla colpevolezza di Posada Carriles. In effetti, i rapporti dell' FBI e CIA sono espliciti al riguardo: "Posada e Bosch orchestrarono l'attentato contro l'aereo" [8] Allo stesso modo, nella sua autobiografia 'Le vie del guerriero', apertamente rivendica la sua carriera terroristica. Inoltre, il 12 luglio 1998, Posada Carriles ha rilasciato un'intervista al New York Times in cui si vantava di essere la persona che ha realizzato più attentati contro Cuba, rivendicando la paternità intellettuale degli attentati del 1997. Secondo lui, il turista italiano "si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato". [9]

Di fronte alla recrudescenza degli attentati negli anni 1990, Cuba ha infiltrato vari agenti in Florida per impedire la realizzazione dei progetti terroristici di gruppuscoli di estrema destra di origine cubana. Dopo aver raccolto un voluminoso rapporto su 64 persone coinvolte in atti violenti contro Cuba, L'Avana ha trasmesso le informazioni all'FBI. Invece di procedere all'arresto degli individui appartenenti ad organizzazioni criminali, Washington ha arrestato cinque agenti infiltrati nell'esilio cubano e li ha condannati a pene detentive che vanno dai 15 anni all'ergastolo, in un processo denunciato da Amnesty International, le Nazioni Unite e non meno di dieci premi Nobel. [10]

La strumentalizzazione a fini politici di un argomento così grave come il terrorismo mina la credibilità del Dipartimento di Stato, accusato di calcolo ed ipocrisia. Da un lato, Washington afferma di guidare una guerra contro il terrorismo, e dall'altro fornisce protezione a criminali come Luis Posada Carriles e sanziona cinque agenti cubani il cui ruolo era quello di impedire la realizzazione di attentati contro Cuba. In nome della guerra economica e ideologica che Washington fa contro L'Avana da più di mezzo secolo, gli Stati Uniti non esitano a mettere nella lista dei paesi terroristi una nazione la cui  principale caratteristica è quella di essere una vittima del terrorismo negli ultimi 50 anni.

Cuba, Estados Unidos y la lucha contra el terrorismo

Salim Lamrani
Estados Unidos acaba de colocar otra vez a Cuba en la lista de países que patrocinan el terrorismo, lo que suscitó la ira de La Habana que rechaza una acusación “arbitraria”.
Desde 1982, Cuba forma parte de la lista de las naciones que patrocinan el terrorismo internacional, que establece el Departamento de Estado, con la aplicación de diversas sanciones como consecuencia. La administración republicana de Ronald Reagan decidió incluir la isla por el apoyo que brindaba a los movimientos revolucionarios de América Latina, particularmente en El Salvador.En aquella época, el gobierno conservador había decidido abandonar la política de acercamiento con La Habana que estableció su predecesor James Carter, el cual estaba a punto de normalizar las relaciones con Cuba.
En su último informe publicado el 30 de mayo de 2013, Washington justifica el mantenimiento de La Habana en el grupo que incluye a Irán, Siria y Sudán, subrayando que  “en el pasado, algunos miembros de las Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) estuvieron autorizadas a refugiarse en Cuba”. El informe enfatiza también que “el gobierno cubano sigue protegiendo a fugitivos buscados en Estados Unidos. El gobierno cubano también proporciona apoyos como viviendas, bonos alimentarios y atención médica a esos individuos”. Finalmente, el documento alude a la presencia de separatistas vascos en Cuba.[1]
No obstante, Washington omite resaltar varios elementos fundamentales que destrozan las distintas acusaciones. En cuanto a las FARC, La Habana acogió efectivamente a algunos elementos en el pasado. Pero fue Colombia quien solicitó al gobierno cubano para ello en el marco de negociaciones destinadas a desembocar en un acuerdo de paz. Así, desde noviembre de 2012, Cuba es la sede de negociaciones entre representantes de las FARC y del gobierno colombiano. El informe del Departamento de Estado admite que Cuba “acoge un diálogo de paz” entre la guerrilla y el Estado colombiano, y señala que no hay “ningún indicio de que el gobierno cubano proporcione armas o entrenamiento paramilitar a grupos terroristas”.[2]
Wayne S. Smith, antiguo embajador estadounidense en Cuba, hizo partícipe de su incomprensión tras la publicación del informe: “El gobierno colombiano, lejos de acusar a Cuba de albergar a guerrilleros, saludó varias veces la contribución de La Habana al proceso de paz”.[3]
En cuanto a los miembros de ETA, Washington omite señalar también que La Habana sólo respondió a una petición del gobierno español de Felipe González de acoger a unos dirigentes, en el marco de negociaciones de paz con la organización separatista vasca.
Jim McGovern, representante republicano del Estado de Massachussetts, también expresó su desacuerdo con la decisión del Departamento de Estado. “No hay ninguna prueba de que Cuba brinde apoyo a grupos terroristas”, apuntó, recordando que Colombia había saludado a menudo “el papel constructivo” de la isla en la búsqueda de un acuerdo de paz.[4] Anthony Quainton, embajador al origen de la inclusión de Cuba en la lista de países terroristas en 1982, también expresó su desaprobación: “Ha llegado el tiempo de retirar a Cuba de la lista, por nuestros intereses mutuos”.
Del mismo modo, Patrick Ryan, antiguo embajador estadounidense, autor de los informes sobre el terrorismo entre 2007 y 2009, lanzó un llamado a Washington de poner fin a la estigmatización de La Habana:
Como antiguo diplomático americano, autor de los informes sobre el terrorismo entre 2007 y 2009 […], visité Cuba varias veces en el marco de mi trabajo. Estoy convencido de que mantener a Cuba en la lista de países que patrocinan el terrorismo es absurdo y altamente político, particularmente vistas las evidentes omisiones.
¿Dónde está Corea del Norte, que lanzó ataques contra el sur durante los últimos años –y que amenazó recientemente con lanzar un ataque nuclear contra Estados Unidos? […] Ninguna fuente creíble de información afirma que Cuba representa actualmente una amenaza a nuestra seguridad.
Desde hace demasiado tiempo, una pequeña minoría de políticos cubanoamericanos dicta la política exterior de Estados Unidos hacia uno de nuestros vecinos geográficamente más cercanos, y ha utilizado esta lista de países terroristas altamente cuestionable para justificar el mantenimiento de un embargo que data de la Guerra Fría.
Curiosamente, esos miembros del Congreso apoyan la libertad de los cubanos de viajar a Estados Unidos, pero no la libertad de los americanos a viajar a Cuba, y utilizan la justificación del terrorismo para ello.
El hecho de que algunos miembros del grupo separatista vasco ETA se encuentren en la isla con la bendición del gobierno español, que los miembros de las FARC se hallen en Cuba durante las negociaciones de paz apoyadas por el gobierno colombiano y que varios fugitivos de la justicia americana –de hecho ninguno de ellos ha sido acusado de terrorismo– hayan vivido allí exilados desde los años 1979, no son argumentos creíbles para mantener la acusación […].”
Es tiempo de adoptar un nuevo enfoque pues nuestra política actual anacrónica ha fracasado estrepitosamente desde hace más de medio siglo”.[5]
Por su parte, el gobierno de La Habana condenó la instrumentalización de la guerra contra el terrorismo para fines políticos. En una larga declaración, el Ministerio de Relaciones Exteriores respondió a Washington:
Nuevamente, esta decisión bochornosa ha sido tomada faltando de manera deliberada a la verdad e ignorando el amplio consenso y el reclamo explícito de numerosos sectores de la sociedad estadounidense y de la comunidad internacional para que se ponga fin a esa injusticia.
El único propósito de este ejercicio desprestigiado contra Cuba es intentar justificar el mantenimiento del bloqueo, una política fracasada que el mundo entero condena.
El Gobierno de los Estados Unidos insiste en mantener esta designación arbitraria y unilateral, a pesar del desplome total de las acusaciones ridículas y de los argumentos endebles que tradicionalmente ha utilizado en los últimos años como excusas para ello […].”
El territorio de Cuba nunca ha sido utilizado y nunca se usará para cobijar a terroristas de ningún origen, ni para organizar, financiar o perpetrar actos de terrorismo contra ningún país del mundo, incluyendo los Estados Unidos. El Gobierno cubano rechaza y condena inequívocamente todo acto de terrorismo, en cualquier lugar, bajo cualquier circunstancia y cualesquiera que sean las motivaciones que se aleguen.
Por el contrario, el Gobierno de los Estados Unidos emplea el terrorismo de Estado como un arma contra países que desafían sus intereses, causando muertes en la población civil. Ha usado aviones no tripulados para perpetrar ejecuciones extrajudiciales de supuestos terroristas, incluso estadounidenses, resultado de lo cual han muerto cientos de civiles inocentes.[6]
El gobierno también acusa a Washington de albergar a terroristas de origen cubano responsables de varias centenas de asesinatos, algo que Estados Unidos no niega. Desde 1959, el terrorismo procedente de Estados Unidos costó la vida a 3.478 cubanos y 2.099 incapacitados. El caso más emblemático es el de Luis Posada Carriles. Antiguo policía bajo el régimen dictatorial de Fulgencio Batista, Posada fue reclutado por la CIA en 1961 y se volvió un experto en explosivos. Es responsable de más de un centenar de asesinatos, entre ellos el atentado del 6 de octubre de 1976 que provocó la explosión en pleno vuelo de un avión civil en Barbados, ocasionando la muerte de 73 personas, entre ellas todo el equipo juvenil de esgrima que acababa de ganar los juegos panamericanos. También es autor de la ola de atentados terroristas que golpeó la industria turística cubana entre abril y septiembre de 1997 que costó la vida al ciudadano italiano Fabio di Celmo y que hizo decenas de víctimas.[7]
No hay ninguna duda de la culpabilidad de Luis Posada Carriles. En efecto, los informes del FBI y de la CIA son explícitos al respecto: “Posada y Bosch orquestaron el atentado contra el avión”.[8] Del mismo modo, en su autobiografía Los caminos del guerrero, reivindica abiertamente su trayectoria terrorista. Además, el 12 de julio de 1998, Posada Carriles concedió una entrevista al New York Times en la cual se vanagloriaba de ser la persona que más atentados realizó contra Cuba, reivindicando la paternidad intelectual de los atentados de 1997. Según él, el turista italiano “se encontraba en el lugar equivocado en el momento equivocado”.[9]
Frente al recrudecimiento de los atentados en los años 1990, Cuba infiltró a varios de agentes en Florida para impedir la realización de los proyectos terroristas de grupúsculos de extrema derecha de origen cubano. Tras reunir un voluminoso informe sobre 64 personas implicadas en actos violentos contra la isla, La Habana transmitió la información al FBI. En vez de proceder al arresto de los individuos que pertenecían a organizaciones criminales, Washington arrestó a los cinco agentes infiltrados en el exilio cubano y los condenó a penas de prisión que van de 15 años a cadena perpetua, durante un juicio que denunciaron Amnistía Internacional, las Naciones Unidas y no menos de diez Premios Nobel.[10]
La instrumentalización para fines políticos de un tema tan grave como el terrorismo perjudica la credibilidad del Departamento de Estado, acusado de cálculo e hipocresía. Por un lado, Washington afirma que lleva una guerra contra el terrorismo, y del otro ofrece la protección a criminales como Luis Posada Carriles y sanciona a cinco agentes cubanos cuyo papel era impedir la realización de atentados contra Cuba. En nombre de la guerra económica e ideológica que Washington lleva contra La Habana desde hace más de medio siglo, Estados Unidos no vacila en ubicar en la lista de países terroristas a una nación cuya principal característica es ser una víctima del terrorismo desde hace cincuenta años.
*Doctor en Estudios Ibéricos y Latinoamericanos de la Universidad Paris Sorbonne-Paris IV, Salim Lamrani es profesor titular de la Universidad de la Reunión y periodista, especialista de las relaciones entre Cuba y Estados Unidos. Su último libro se titula The Economic War Against Cuba. A Historical and Legal Perspective on the U.S. Blockade, New York, Monthly Review Press, 2013, con un prólogo de Wayne S. Smith y un prefacio de Paul Estrade.


[1] Unites States Department of State, «Country Reports on Terrorism 2013», mayo de 2013. http://www.state. gov/documents/ organization/ 210204.pdf (sitio consultado el 2 de junio de 2013).

[2] Ibid.

[3] Latin American Herald Tribune, «U.S. Urged to Drop Cuba from Terror List», 8 de marzo de 2013.
[4] Ibid.

[5] Patrick Ryan, «Former U.S. Diplomat Patrick Ryan: Time to Drop Cuba from Terror List», The Hill, 30 de abril de 2013. http://thehill.com/blogs/global-affairs/guest-commentary/296867-former-us-diplomat-patrick-ryan-#ixzz2SnlLc3RR (sitio consultado el 2 de junio de 2013).

[6] Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de  Cuba, «Cuba no reconoce al Gobierno de EEUU la más mínima autoridad moral para juzgalo»,Cubadebate, 30 de mayo de 2013.

[7] Salim Lamrani, Cuba, ce que les médias ne vous diront jamais, Paris, Estrella, 2009, p. 135-154.

[8] Federal Bureau of Investigation, «Suspected Bombing of Cubana Airlines DC-8 Near barbados, West Indies, October 6, 1976», 7 de octubre de 1976, Luis Posada Carriles, the Declassified Record, The National Security ArchiveGeorge Washington University.http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB153/19761008.pdf (sitio consultado el 3 de junio de 2013).

[9] Ann Louise Bardach & Larry Rohter, «Key Cuba Foe Claims Exiles’ Backing», New York Times,12 de ulio de 1998.

[10] Salim Lamrani, op. cit.

                                                            


 Salim Lamrani
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