Rivoluzione civile: dall’America Latina all’Europa
di Fabio Marcelli | 20 febbraio 2013
Conobbi
Rafael
Correa,
da poco eletto presidente dell’Ecuador,
all’aeroporto di Cochabamba in Bolivia
nel dicembre 2006. Avevo partecipato a un evento collaterale al
vertice dei presidenti sudamericani (Unasur)
dove avevo svolto un parallelo e un confronto fra i processi di
integrazione regionale in Europa
e in America
Latina.
Stavo facendo la fila al check-in in compagnia di due deputate
salvadoregne, già comandanti guerrigliere del Frente
Farabundo Martì,
quando passò Correa e gli facemmo un applauso. Lui si fermò e ci
chiese da dove venissimo. Lo salutammo e gli augurammo buon lavoro.
Lo
rividi nel novembre 2008 a Quito,
in occasione della presentazione del Rapporto
finale
della Commissione
di indagine sul debito estero, cui avevo avuto occasione di
collaborare. Un lavoro davvero importante ed esemplare, grazie al
quale finalmente è stata fatta chiarezza su un debito
estero
enorme, frutto di vari raggiri e conflitti
d’interessi.
Un’operazione analoga di trasparenza effettiva andrebbe fatta sul
debito pubblico italiano e di tanti altri Paesi, ma il governo
dell’Ecuador è finora stato l’unico a realizzare questa attività
indispensabile. Utile anche a ridurre di molto l’entità del
fardello debitorio, recuperando risorse sottratte alla vorace finanza
e investite in
servizi sociali,
sviluppo
economico
e benessere
del popolo.
In
effetti, con Correa presidente, il denaro è andato a finire dalla
parte giusta. Le cifre parlano da sole: la povertà
è stata ridotta del 12%, aumentate le tasse
nei confronti delle imprese multinazionali,
incrementati gli investimenti in salute,
istruzione
e cultura.
Risultati riconosciuti dal popolo ecuadoriano che domenica, a grande
maggioranza, ha
confermato la sua fiducia nei confronti di Correa.
Per
certi commentatori sono democratici solo quelli che sono “omogenei”
all’Occidente, ovvero possono vantare servilismo nei confronti
delle potenze dominanti e dei poteri finanziari (e autoritarismo nei
confronti dei propri popoli). Tutti gli altri sono pericolosi
populisti, dittatori
mascherati, ecc. Solo chi prende ordini dalle istituzioni finanziarie
internazionali, secondo i pennivendoli di casa nostra, può essere
definito democratico a tutti gli effetti. Ma questa genia, che ha
fatto danni e disastri negli anni passati, è fortunatamente in via
di estinzione in America Latina, tanto è vero che non corrispondono
più pienamente a questi connotati neanche presidenti di destra come
il colombiano Santos
e il cileno Piñera.
E Correa è parte integrante, anzi uno dei protagonisti, di questa
lunga primavera latinoamericana, tanto è vero che ha voluto dedicare
la sua vittoria al comandante Chavez,
che nel frattempo sta meglio ed è tornato in Venezuela,
dove gode del 70% dei consensi e speriamo possa godere di lunga e
fattiva vita alla faccia dei menagramo.
Sfogliando
un libro di storia, qualche giorno fa, sono stato colpito da
un’analogia. Intorno al 1820, mentre in Europa infuriava la
restaurazione
monarchica
guidata dalla Santa
Alleanza,
in America Latina Simon
Bolivar
e altri combattevano per l’indipendenza.
Oggi, a due secoli quasi di distanza, in America Latina sono poste le
nuove frontiere dell’umanità in lotta contro il neoliberismo
e il mercantilismo sfrenato, mentre l’Europa si dibatte in una
profonda crisi di prospettiva dovuta in buona parte al prevalere di
ideologie oramai stantie, espressione solo del potere prevaricatore e
paralizzante delle oligarchie finanziarie. Solo liberandosi di questo
potere sarà possibile restituire un futuro ai nostri Paesi,
nell’interesse dei giovani e delle future generazioni.
Quindi
per molti aspetti va seguito l’esempio dell’America Latina.
Un’altra analogia degna di nota è, a tale riguardo quella tra il
partito di Correa, che si chiama Rivoluzione
Cittadina,
e la coalizione capeggiata da Antonio
Ingroia,
che si chiama Rivoluzione
Civile.
Due elementi in comune: il riferimento alla necessità di una
trasformazione sociale profonda e il richiamo alla cittadinanza, al
protagonismo
dal basso,
al potere di tutti quelli che sono senza potere e senza diritti, ma
sarebbe ora che si svegliassero anche qui da noi.
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