venerdì 17 febbraio 2012

I media nascondono il massacro di cui sono responsabili gli USA/Los medios silencian los muertos de los que son responsables los EE UU




I media nascondono il massacro di cui sono responsabili gli Stati Uniti
Danny Lucia - La Grand Soir
07/02/12
Nella guerra usamericana* sono morti più di un milione di iracheni.
Questa frase contiene un test decisivo. La reazione immediata di molti è d’incredulità…perché gli USA non lo farebbero mai. O perché crimini di questa portata non ne avvengono più o perché avvengono solo in posti spaventosi che gli Stati Uniti non hanno ancora liberato.
Un milione di morti è una cifra che ci fa esclamare "perché non è stato fatto nulla per impedirlo?" Certamente, è una cifra che colloca gli Stati Uniti nella categoria dei grandi crimini della storia. Chi non lo crede e non lo vuole accettare non può ammettere che si tratti di una cifra autentica. I cervelli di costoro rifiutano tale possibilità come se fosse un virus strano.
Noam Chomsky ha scritto: "Il segno di una cultura veramente totalitaria sta nel fatto che le cose importanti per la gente hanno perso ogni significato e in questo caso saprebbero solo rispondere con ingiurie".
Di fatto, è stata proprio questa la reazione dei media alla cifra di un milione di morti nel 2007, quando è stata annunciata dai sondaggi di Opinion Research Business (ORB). In realtà, quell’agenzia confermava la conclusione di uno studio condotto l’anno precedente da ricercatori dell’Università John Hopkins pubblicato nel giornale di medicina The Lancet.
Vediamo, ad esempio, Kevin O’Brien, redattore capo del Cleveland Plain Dealer. Quando ha ricevuto la mail che informava sui risultati della ricerca di ORB, che fra i suoi clienti ha il Partito Conservatore Britannico e Morgan Stanley, ha risposto: "Toglietemi dalla vostra mailing list e lasciatemi fuori dalla vostra propaganda!".
"Noi non contiamo i cadaveri!" è stata la celebre risposta del generale Tommy Franks quando un giornalista gli ha fatto domande sulle vittime civili. Ma non è l’unico caso.
Fra i lugubri commenti dell’ultimo mese a proposito della fine della guerra in Iraq,difficilmente si trova una cifra sulla quantità di morti delle vittime irachene. I corrispondenti hanno ripetuto che i dati delle vittime irachene "non si conoscono", il che dimostra che i media hanno per i morti iracheni lo stesso interesse per la quantità di foglie morte in un incendio forestale.
Ciò che Mary Milliken di Reuters ha scritto é tipico: "Oggi stiamo commemorando un’ignota quantità d’iracheni e 4.500 statunitensi morti in questa guerra." uanti statunitensi sono morti, Mary? Quasi 4.500 quanti iracheni? Oh, lo sapete, sono tanti.
"Una quantità sconosciuta" significa che non c’è una stima possibile dell’esatta cifra delle vittime irachene. Invece, di stime ce ne sono due; un’organizzazione chiamata Iraq Body Count (IBC) ha stimato la quantità di iracheni morti in circa 110 mila sulla base di relazioni dei media e delle statistiche del ministero della Sanità. IBC ammette che questa cifra è sicuramente inferiore al reale perché gli eserciti occupanti e i combattenti delle guerre civili settarie non hanno l’abitudine di tenere questa contabilità, ma non è d’accordo con l’alta cifra di ORB e John Hopkins sopra citata.
Senza voler entrare in un dibattito metodologico, sono disponibili alcune cifre che permetterebbero di farsi un’idea delle perdite civili in Iraq. Ma i giornalisti come Kevin O’Brien e Mari Milliken non le fanno conoscere. Il silenzio che regna su queste cifre non è il prodotto di una cospirazione ma risulta dall’evidenza che certe cifre sono incompatibili con la mentalità imperiale statunitense.
Prendiamo un’alta cifra funesta di un decennio precedente. Secondo il Fondo per l’Infanzia dell’ONU, 500 mila bambini iracheni sono morti negli anni 90 a causa delle sanzioni imposte dall’ONU (su pressione degli Stati Uniti) che impedivano l’ingresso di medicine e di altri prodotti di prima necessità. Nel 2000, il coordinatore dell’aiuto umanitario dell’Onu ha rinunciato per protestare contro le sanzioni, due anni dopo che il suo predecessore aveva fatto lo stesso. Entrambi, esperti diplomatici, usarono in seguito la parola "genocidio" riferendosi alla politica statunitense. Se chi legge lo ignorava o lo aveva dimenticato, sappia che non è l’unico. Questo vale anche per chi ha deciso di attaccare l’Iraq. Non c’è altra spiegazione del fatto che la strategia di guerra di occupazione statunitense si basava sulla presunzione che i suoi soldati sarebbero stati accolti, dai padri di quei 600 mila bambini, come liberatori. (Le sanzioni, d’altra parte, non erano state imposte al nord curdo, l’unica parte dell’Iraq che non ha fatto resistenza all’occupazione statunitense).
Non è un caso che la maggioranza dei militanti pacifisti più impegnati sono rivoluzionari, di un colore o di un altro. Siamo capaci di capire l’atrocità commessa contro l’Iraq perché siamo radicali e viceversa. Noi, i rivoluzionari, ci confrontiamo con la saggezza convenzionale che ci accusa di essere fanatici del motto "il fine giustifica i mezzi", senza preoccuparci del sangue versato perché vogliamo trasformare la società. Ma è stata Madeleine Albright, la Segretaria di Stato di quell’epoca, che a proposito della morte di 500 mila bambini iracheni ha detto: "era il prezzo da pagare". Ed è stato Leon Panetta, attuale segretario della difesa che ha usato la stessa espressione a proposito della seconda invasione e dell’occupazione dell’Irak.
Tutte quelle parole sono l’espressione di un ordine fanatico, cui tutti dovremmo opporci con tutte le nostre forze.
* Ho usato il vocabolo "usamericano" al posto del tradizionale "americano" perché i popoli di Nord, Centro e Sud America non accettano di essere inclusi nelle politiche di questa parte del continente che si chiama Stati Uniti e che è l’unico delle Americhe che non ha un nome proprio.

Los medios silencian los muertos de los que son responsables los Estados Unidos
Danny Lucia
La Grand Soir
Traducido para Rebelión por Susana Merino
Más de un millón de iraquíes han muerto en la guerra usamericana(1)

Esta frase contiene un test decisivo. La reacción inmediata de algunas personas será decir “No es posible” porque los EE.UU. no podrían hacer algo semejante. O porque crímenes de esa envergadura ya no se producen. O porque se producen pero solo en lugares espantosos que los EE.UU. no han liberado aún.
Un millón de muertos es una cifra que nos hace exclamar ¿porqué no hiciste nada para impedirlo?” Es una cifra que innegablemente ubica a los EE.UU. en la categoría de los malos de la historia. Los que no pueden o no quieren aceptarlo tampoco pueden admitir que hayan muerto un millón de iraquíes. Sus cerebros rechazan esta eventualidad como si se tratara de un extraño virus.
Noam Chomsky escribió un día que “el signo de una cultura verdaderamente totalitaria es el de que las verdades importantes han perdido todo sentido para la gente y se asimilan a provocaciones del tipo “Vete al infierno” y sólo pueden generar respuestas previsiblemente injuriosas.
Ese fue en efecto el modo en que los medios reaccionaron frente a la cifra de un millón cuando, en 2007, lo anunció la firma británica de sondeos Opinion Research Business (ORB). (En efecto la empresa estimaba que habían muerto 1 220 580 iraquíes, lo que actualizaba y confirmaba las conclusiones de un estudio realizado el año precedente por investigadores de la Universidad Johns Hopkins publicado por el periódico médico The Lancet).
Veamos por ejemplo a Kevin O’Brien, redactor en jefe del Cleveland Plain Dealer. Cuando recibió el mail que le informaba sobre los resultados de la investigación de ORB que tiene entre sus clientes al Partido Conservador Británico y a Morgan Stanley, respondió “Retírenme de vuestra lista de correos y ahórrenme vuestra evidente propaganda (N.de T. en francés “cosue de fil blanc”)
Nosotros no contamos cadáveres” fue la célebre respuesta del General Tommy Franks cuando un periodista le preguntó sobre las pérdidas civiles. Pero no es el único caso.
Entre los lúgubres comentarios del mes último sobre el fin de la guerra de Irak, difícilmente se encuentre una cifra sobre la cantidad de iraquíes muertos. Los corresponsales han repetido que las cifras de las pérdidas iraquíes “no se conocen” lo que demuestra que los medios tienen más o menos el mismo interés por los muertos de Irak que por la cantidad de ardillas muertas en un incendio forestal.
Lo que Mary Milliken de Reuters , escribió es típico: “Hoy hemos conmemorado a una ignorada cantidad de iraquíes y de 4500 estadounidenses muertos en esta guerra”
¿Cuántos estadounidenses murieron, Mary?
- Casi 4500 y ¿cuántos iraquíes?
Oh, usted sabe, muchos, una gran cantidad.
Una cantidad desconocida” significa que no hay estimación disponible de la exacta cantidad de muertos iraquíes. En realidad hay dos: una organización llamada Iraq Body Count (IBC) ha estimado la cantidad de iraquíes muertos en alrededor de 110 mil sobre la base de informes de los medios y de las estadísticas del ministerio de Salud. IBC admite que ese total es seguramente muy inferior al real porque los ejércitos de ocupación y los combatientes de las guerras civiles sectarias no tienen por costumbre llevar esa contabilidad, pero no está de acuerdo con la alta cifra de ORB y John Hopkins anteriormente citada.
Sin pretender entrar en un debate metodológico, existen disponibles algunas cifras que permitirían hacerse una buena idea de las pérdidas civiles en Irak. Pero los periodistas como Kevin O’Brien y Mari Milliken no las dan a conocer.
El silencio que rodea a esas cifras no responde a una conspiración sino que resulta de la evidencia de que ciertas cifras son absolutamente incompatibles con la mentalidad imperial estadounidense.
Tomemos otra cifra funesta de una década anterior. Según el Fondo para la Niñez de las ONU, 500 mil chicos irakíes murieron durante los años 90 a causa de las sanciones impuestas por la ONU (presionada por los EE.UU.) que impedían el ingreso al país de medicamentos y de otros productos de primera necesidad.
En el años 2000, el coordinador de la ayuda humanitaria de la ONU renunció para protestar contra las sanciones, dos años después de que su predecesor hiciera lo mismo. Ambos, experimentados diplomáticos, utilizaron más tarde la palabra “genocidio” en referencia a la política estadounidense.
Si usted ignoraba estos hechos o los había olvidado, usted no es el único. Lo es también para quienes decidieron atacar Irak. No existe otra explicación del hecho que la estrategia de guerra y de ocupación estadounidense se basaba en la presunción de que sus soldados serían acogidos, por los padres de esos 600 mil niños, como libertadores (Las sanciones, por otra parte, no habían sido impuestas al norte kurdo, la única parte de Irak que no ofreció resistencia masiva a la ocupación estadounidense).
No es por casualidad que la mayor parte de los militantes pacifistas, los más comprometidos son revolucionarios de un color o de otro. Somos capaces de aprehender la atrocidad del crimen cometido contra Irak porque somos radicales. Y viceversa.
Nosotros, los revolucionarios, nos hallamos irónicamente enfrentados a la sabiduría convencional que nos acusa de ser adictos fanáticos de “el fin justifica los medios”, sin ninguna preocupación por la sangre derramada, porque queremos transformar la sociedad.
Pero fue Madeleine Albright, la Secretaria de Estado de esa época que mencionando la muerte de los 500 mil niños iraquíes dijo: “era el precio a pagar” Y fue Leon Panetta el actual secretario de defensa quién usó la misma expresión a propósito de la segunda invasión y la ocupación de Irak.
Todas esas palabras son la expresión de un orden fanático al que todos deberíamos oponernos con todas nuestras fuerzas
N. de T.
Fuente: http://www.france-irak-actualite.com/article-un-million-de-morts-en-irak-les-medias-passent-sous-silence-les-morts-dont-les-etats-unis-sont-re-98694915.html
(1) He usado el vocablo “usamericano” en reemplazo del tradicional “americano” porque los pueblos de Norte, Centro y Suramérica no aceptamos ser involucrados en las políticas de esa fracción del continente que se llama Estados Unidos y que es el único de las Américas que ni siquiera tiene nombre propio.


 

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