domenica 19 gennaio 2014

Silenzio e tradimento da 3 miliardi di dollari / Silencio y traición por 3 000 millones de dólares


Riad – París – Beirut

Silenzio e tradimento da 3 miliardi di dollari 

  di Thierry Meyssan

Ma perché l’Arabia Saudita ha deciso di donare all’esercito libanese 3 miliardi di armamenti francesi, mentre nelle ultime settimane i suoi agenti in Libano non cessavano di denunciare lo slogan "Popolo-Esercito-Resistenza" e la collusione tra l’esercito e Hezbollah? E se questa improvvisa generosità è il prezzo del silenzio libanese, dimenticando le centinaia di vittime del terrorismo saudita nel Paese dei cedri e il tradimento francese dei propri impegni in Medio Oriente?
Rete Voltaire | Damasco | 17 gennaio 2014

Ricevimento del presidente Hollande presso Sua Altezza Reale il Custode delle Due Sacre Moschee Abdullah bin Abdulaziz al-Saud, alla presenza dei membri del suo consiglio.
La visita di François Hollande accompagnato da 30 amministratori delegati di grandi aziende in Arabia Saudita, il 29 e 30 dicembre 2013, si sarebbe concentrata principalmente su questioni economiche e sul futuro di Siria e Libano. Le questioni politiche internazionali sarebbero state discusse tra francesi e sauditi, ma anche in presenza di leader libanesi come il presidente Michel Sulayman e l’ex primo ministro saudita-libanese Saad Hariri (considerato organico alla famiglia reale) e il presidente della Coalizione Nazionale siriana, il siro-saudita Ahmad Asi al-Jarba [1]
Durante la visita, l’Arabia Saudita ha annunciato improvvisamente l’offerta di 3 miliardi dollari di armi francesi all’esercito libanese. Questa generosità è straordinaria, poiché una conferenza internazionale dovrebbe, a febbraio o marzo, raccogliere fondi per il Libano in generale e il suo esercito in particolare. Il Libano non aveva mai ricevuto un tale dono.
L’annuncio fu ufficialmente fatto dal presidente libanese Michel Sulayman. Il generale, diventato Capo di stato maggiore dell’esercito libanese, non avendo gli altri accesso a tale carica, fu imposto presidente per le stesse ragioni da Francia e Qatar. La sua elezione parlamentare è incostituzionale (articolo 49 [2]) e la carica non gli è stata caduta dal suo predecessore ma dall’emiro del Qatar. Nel suo discorso televisivo al popolo libanese, il presidente Sulayman ha accolto con favore la regale "maqruma", il dono che il sovrano fa al suo servo e, incongruamente, concludeva con "Viva l’Arabia Saudita!".
Tale annuncio fu accolto calorosamente dall’ex-primo ministro Saad Hariri, tentando di vedervi il primo passo verso il futuro disarmo di Hezbollah.
La decisione di Riyadh non può che sorprendere: infatti, negli ultimi mesi, i filo-sauditi del 14 Marzo di Saad Hariri hanno più volte criticato la stretta relazione tra l’esercito e Hezbollah. Nei giorni seguenti, una grande campagna pubblicitaria a Beirut celebrava l’amicizia tra il Libano e l’Arabia Saudita, definita "Regno del bene" (sic).
Infatti, ciò non aveva senso.
Per capire, si dovettero aspettare un paio di giorni.
Majid al-Majid fu riconosciuto al suo arresto essere un ufficiale dei servizi segreti sauditi, sotto la diretta autorità del principe Bandar bin Sultan. Dirigeva un ramo di al-Qaida che collegava a personalità eminenti del Medio Oriente.
Il 1 gennaio 2014, quattro giorni dopo l’annuncio saudita, si apprese che l’esercito libanese aveva arrestato Majid al-Majid, cittadino saudita a capo delle brigate Abdullah Azzam, ramo di al-Qaida in Libano.
Ma in seguito si apprese che l’arresto fu dovuto all’avviso della Defense Intelligence Agency (DIA) statunitense del 24 dicembre. Washington fu poi informata dall’esercito libanese che Majid al-Majid venne ricoverato in ospedale per sottoporsi a dialisi. L’esercito libanese si affrettò a ricoverarlo nell’ospedale Maqasid, arrestandolo durante il viaggio in ambulanza da Ersal, il 26 dicembre, tre giorni prima dell’annuncio saudita.
Per più di una settimana l’arresto del leader di al-Qaida in Libano fu un segreto di Stato. Il saudita era ufficialmente ricercato nel suo Paese per terrorismo, ma ufficiosamente era considerato un agente dei servizi segreti sauditi agli ordini diretti del principe Bandar bin Sultan. Aveva pubblicamente riconosciuto di aver organizzato numerosi attentati, tra cui quello contro l’ambasciata iraniana a Beirut del 19 novembre 2013, che aveva ucciso 25 persone. Ecco perché l’esercito libanese informò Riyadh e Teheran del suo arresto.
Nei casi riguardanti il Libano, Majid al-Majid ha svolto un ruolo importante nell’organizzare l’esercito jihadista di Fatah al-Islam. Nel 2007, il gruppo cercò di aizzare i campi palestinesi in Libano contro Hezbollah e di dichiarare l’emirato islamico nel nord del Paese. Tuttavia, il suo mandante, l’Arabia Saudita, l’abbandonò all’improvviso dopo un incontro tra il Presidente Ahmadinejad e re Abdullah. Furiosi, i jihadisti si presentarono armati nella banca di Hariri per essere pagati. Dopo alcuni combattimenti, si ritirarono a Nahr al-Barad che l’esercito libanese assediò. Dopo oltre un mese di combattimenti, il generale Shamil Ruquz [3] diede l’assalto e li schiacciò. Durante l’operazione antiterrorismo, l’esercito libanese perse 134 soldati [4].
Majid al-Majid era in contatto personale, diretto e segreto con molti leader arabi e occidentali. Agli investigatori ebbe il tempo di confermare l’appartenenza ai servizi segreti sauditi. E’ chiaro che la sua confessione poteva sconvolgere la politica regionale. Soprattutto se accusava Arabia Saudita e 14 Marzo libanese.
Un deputato parlò della proposta saudita di 3 miliardi di dollari per non registrare le confessioni di Majid al-Majid ed estradarlo a Riyad. Il quotidiano al-Akhbar sostenne che il prigioniero non era per nulla in pericolo e che poteva essere liquidato dai suoi mandanti per assicurarsene il silenzio.
Il giorno dopo l’editoriale, l’esercito libanese ne annunciava la morte. Il corpo di Majid al-Majid fu sottoposto ad autopsia, ma a differenza dei procedimenti penali, da un solo medico che concluse che era morto per la malattia. Il suo corpo fu trasferito in Arabia Saudita e sepolto alla presenza della famiglia e dei bin Ladin.
L’Iran chiede chiare spiegazioni dal Libano sull’arresto e la morte di Majid al-Majid. Ma non troppo forte, perché il presidente Ruhani tenta di avvicinarsi anche all’Arabia Saudita.
Questa è la sesta volta che il leader di un’organizzazione terroristica filo-saudita che opera in Libano sfugge alla giustizia. Fu così per Shaqir Absi, Hisham Qadura, Abdal Rahman Awadh, Abdal Ghani Jawhar e, più recentemente, Ahmad al-Asir.
François Hollande e il miliardario Saad Hariri a Riyadh. Sullo sfondo, i ministri Jean-Yves Le Drian e Laurent Fabius.
Comunque, se re Abdullah ha speso 3 miliardi di dollari, pochi ne verranno all’esercito libanese.
- In primo luogo, la somma comprende tradizionalmente i reali "regali" per coloro che servono il re. Così, secondo il protocollo, il presidente Michel Sulayman ha immediatamente ricevuto a titolo personale 50 milioni di dollari, e il presidente François Hollande un importo proporzionale alla sua funzione, il cui importo è sconosciuto, se accettato o meno. Il principio saudita della corruzione si applica in modo identico a tutti i leader e alti funzionari libanesi e francesi che partecipavano alla transazione.
- In secondo luogo, la maggior parte del denaro sarà pagato al Tesoro francese, per il trasferimento dalla Francia al Libano di armi e addestramento militare. Questa è la ricompensa per l’impegno militare coperto della Francia, dal 2010, nel fomentare i disordini in Siria e rovesciare l’alawita Assad, che il Custode delle Due Sacre Moschee non accetta come Presidente di una terra prevalentemente musulmana [
5]. Tuttavia, poiché non esiste un listino prezzi, Parigi può decidere come valutare questa donazione. Così Parigi sceglierà anche tipo di armi e di addestramento. Già, poiché non si deve fornire materiale che può essere utilizzato successivamente per resistere efficacemente al principale nemico del Libano, Israele.
- In terzo luogo, il denaro non serve per aiutare l’esercito a difendere il Paese, è invece destinato a dividerlo. L’esercito libanese è stato di gran lunga l’unica entità integra e multi-religiosa del Paese. L’addestramento sarà fornito dalla Francia per "francesizzare" gli ufficiali, piuttosto che per trasmettergli il loro know-how. Il denaro rimanente sarà utilizzato per costruire belle caserme e comprare belle vetture.
Tuttavia, la donazione reale non potrà mai arrivare a tutti, in Libano. Secondo l’articolo 52 della Costituzione [6], per essere percepito il dono deve essere approvato prima dal Consiglio dei Ministri e presentato al Parlamento. Tuttavia, il governo dimissionario di Najib Miqati non si riunisce da nove mesi e quindi non può trasmettere l’accordo al Parlamento per ratificarlo.
Presentando l’accordo ai libanesi, il presidente Michel Sulayman ha pensato bene di precisare, senza essere richiesto, che i negoziati a Riyadh non hanno comportato per nulla il possibile rinvio delle elezioni presidenziali e l’estensione del suo mandato, o la composizione di un nuovo governo. Questa precisione fa sorridere, in quanto è chiaro che tutto ciò era al centro delle discussioni.
Il presidente si è impegnato con i suoi omologhi saudita e francese a formare un governo di "tecnocrati", senza sciiti o drusi, da imporre al Parlamento. Il termine "tecnocrate" qui indica alti funzionari internazionali che hanno fatto carriera presso la Banca Mondiale, il FMI, ecc. dimostrando la loro docilità alle pretese statunitensi. Si deve capire che il governo sarà composto da filo-USA in un Paese che in maggioranza resiste all’impero. Ma non riesce a trovare una maggioranza in Parlamento, con 3 miliardi?
Purtroppo, il principe Talal Arslan, erede dei fondatori del Principato del Monte Libano nel XII.mo secolo e presidente del Partito Democratico, ha immediatamente ricordato al presidente Sulayman che, secondo l’accordo di Taif [7] l’esecutivo è ora monopolio del Consiglio dei Ministri [8] e che dovrebbe riflettere la composizione religiosa del Paese [9]. Pertanto, un governo di tecnocrati è una violazione di tale accordo e il presidente Sulayman sarebbe considerato un golpista a prescindere dalla sua capacità nel corrompere il Parlamento.
La cosa probabilmente non finisce qui: il 15 gennaio l’esercito libanese ha arrestato sul confine siriano Jamal Daftardar, un luogotenente di Majid al-Majid.
Il presidente François Hollande sarà certamente dispiaciuto per il fallimento del suo omologo libanese nel vendersi il Paese per 50 milioni di dollari, ma visto da Parigi, l’unica cosa che conta è la spartizione dei rimanenti 2,999 milioni di dollari.
[1] Ahmad Asi al-Jarba è un membro della tribù beduina Shamar, da cui re Abdullah proviene. Prima degli eventi fu condannato per traffico di droga in Siria. Gli Shamar sono nomadi che si muovono nei deserti saudita e siriano.

[2] "I magistrati e i funzionari di prima classe o equivalenti di tutte le amministrazioni pubbliche, istituzioni pubbliche e altre persone giuridiche di diritto pubblico, possono essere eletti nell’esercizio delle loro funzioni e per due anni dalle dimissioni e l’effettiva cessazione dell’esercizio delle loro funzioni o alla data del pensionamento."

[3] Il generale Ruquz, senza dubbio il più prestigioso militare libanese, probabilmente avrebbe dovuto essere nominato Capo di Stato Maggiore. Ma è il genero del generale Michel Aoun, presidente del Movimento Patriottico Libero, alleato di Hezbollah.

[4] "La questione dei mercenari di Fatah al-Islam è chiusa", Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 27 agosto 2007.

[5] A seguito della firma del Trattato di Lancaster House, Francia e Regno Unito sono intervenute in Libia e in Siria per organizzare pseudo-rivoluzioni e rovesciarne i governi. Tuttavia, l’operazione siriana si rivelava un fallimento e Londra si ritirava mentre Parigi continua a sostenere attivamente la "Coalizione Nazionale" guidata dal saudita-siriano Ahmad Asi al-Jarba.

[6] "Il Presidente della Repubblica negozia e ratifica i trattati in accordo con il Capo del governo. Questi saranno considerati e ratificati solo dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri. Il Governo ne informa la Camera dei Deputati quando l’interesse e la sicurezza dello Stato nazionale lo permettono. I trattati che riguardano le finanze dello Stato, i trattati commerciali e i trattati che non possono essere risolti alla fine di ogni anno, possono essere ratificati solo dopo l’approvazione della Camera dei Deputati."

[7] "L’Accordo di Taif", Réseau Voltaire, 23 ottobre 1989
[8] "Il Consiglio dei Ministri è l’organo esecutivo".
[9] "Ogni autorità che contraddice la Carta della vita comune è illegittima e illegale".

Silencio y traición por 3 000 millones de dólares


por Thierry Meyssan

¿Por qué decidió Arabia Saudita equipar el Ejército Libanés con armamento francés por valor de 3 000 millones de dólares cuando hace semanas que sus títeres en el Líbano no paran de denunciar el lema «Pueblo-Ejército-Resistencia» y de cuestionar la armonía entre los militares y el Hezbollah? ¿Y si esta repentina generosidad fuese el precio a pagar por el silencio libanés, el pago destinado a lograr que se olviden los cientos de víctimas que el terrorismo saudita ha causado en el país del cedro, la recompensa por la traición de París hacia los compromisos de Francia en el Medio Oriente?
Red Voltaire | Damasco | 16 de enero de 2014

La visita de Francois Hollande en Arabia Saudita –donde llegó rodeado de 30 grandes empresarios franceses–, el 29 y el 30 de diciembre de 2013, debía desarrollarse principalmente sobre temas económicos y sobre el futuro de Siria y del Líbano. Los temas de política internacional iban a discutirse entre franceses y sauditas aunque en presencia de líderes libaneses –el presidente Michel Sleiman y el ex primer ministro líbano-saudita Saad Hariri (considerado miembro biológico de la familia real)– y del presidente de la Coalición Nacional Siria, el siro-saudita Ahmad Assi Jarba [1].
Durante la visita, Arabia Saudita anunció súbitamente la donación al Ejército Libanés de 3 000 millones de dólares en armamento francés. Esa muestra de generosidad se produce fuera del calendario previamente establecido, en momentos en que una conferencia internacional prevista para febrero o marzo debería abrir una colecta de fondos para el Líbano en general y –en particular– para el ejército de ese país. Nunca antes había recibido el Líbano una donación de tales proporciones.
La donación fue anunciada con toda solemnidad por el presidente libanés, Michel Sleiman. Este general, convertido en jefe del Estado Mayor del Ejército Libanés simplemente para evitar que ese cargo fuese a parar manos de otro militar, fue impuesto como presidente de la República, exactamente con el mismo objetivo, por Francia y Qatar. Su elección como presidente por el parlamento libanés violó el artículo 49 [2] de la Constitución libanesa y Sleiman ni siquiera fue investido como presidente de la República por su predecesor sino por el entonces emir de Qatar.
En su intervención, el presidente Sleiman expresó su agradecimiento por la «makruma» real, o sea por la donación que el soberano saudita concede a su servidor, y al concluir no lo hizo con un «¡Viva el Líbano!» sino con un sonoro «¡Viva Arabia Saudita!»
El anuncio fue saludado efusivamente por el ex primer ministro libanés Saad Hariri, quien quiso interpretarlo como el primer paso hacia un futuro desarme del Hezbollah.
La decisión de Riad resulta sorprendente ya que durante los últimos meses el bando libanés prosaudita, representado fundamentalmente por el 14 de Marzo y con Saad Hariri a la cabeza, había estado arremetiendo constantemente contra las buenas relaciones entre el Ejército Libanés y el Hezbollah.
Después del anuncio de la donación saudita, una intensa campaña de propaganda cubrió todo Beirut de carteles sobre la amistad entre el Líbano y Arabia Saudita, calificada en los afiches como «el Reino del Bien» (sic).
La realidad es que todo el asunto no tiene el menor sentido.
Para darse cuenta de ello sólo hubo que esperar unos pocos días.

El 1º de enero de 2014, sólo 4 días después del anuncio saudita, se supo que el Ejército Libanés había arrestado a Majed al-Majed, ciudadano saudita y jefe de las Brigadas Abdallah Azzam, rama libanesa de al-Qaeda.
Un poco más tarde se supo también que Majed al-Majed había sido arrestado gracias a una alerta de la DIA (Defense Intelligence Agency), o sea la Agencia de Inteligencia del Departamento de Defensa de Estados Unidos, el 24 de diciembre de 2013. Ese día, Washington había informado al Ejército Libanés que Majed al-Majed acababa de ser hospitalizado en Líbano para someterse a una diálisis. El Ejército Libanés lo localizó rápidamente en el hospital Makassed y lo arrestó durante su traslado a Ersal, a bordo de una ambulancia, el 26 de diciembre, o sea 3 días antes del anuncio de la donación saudita.
El arresto del líder de al-Qaeda en Líbano se mantuvo en secreto por más de una semana. Oficialmente buscado en Arabia Saudita bajo la acusación de terrorismo, Majed al-Majed era considerado sin embargo un agente de los servicios de inteligencia sauditas, y un agente que por demás recibía órdenes directas del príncipe Bandar Ben Sultán. Majed al-Majed había reconocido públicamente haber organizado numerosos atentados, como el perpetrado el 19 de noviembre de 2013 –con saldo de 25 muertos– contra la embajada de Irán en Beirut. Ante tales circunstancias, el Ejército Libanés había informado a Riad y Teherán del arresto de Majed al-Majed.
Entre otros casos de interés para el Líbano, Majed al-Majed había desempeñado un papel importante en la formación de un ejército yihadista en territorio libanés: el conocido Fatah al-Islam.
En 2007, ese grupo trató de sublevar contra el Hezbollah los campamentos palestinos en Líbano y quiso proclamar un emirato islámico en el norte de ese país. Pero quien realmente movía los hilos del grupo –Arabia Saudita– abandonó su marioneta sin previo aviso, como resultado de un encuentro entre el presidente de Irán Mahmud Ahmadinejad y el rey Abdallah. Furiosos, los yihadistas armados se presentaron en el banco de la familia Hariri exigiendo el pago que no habían recibido. Después de varios enfrentamientos, se replegaron hacia el campamento de Nahr el-Bared, donde fueron cercados por el Ejército Libanés. Al cabo de un mes de combates, el general Chamel Roukoz [3] tomó el lugar por asalto y aplastó a los sublevados. Aquella batalla contra el terrorismo costó al Ejército Libanés las vidas de 134 soldados [4].
Majed al-Majed estaba personalmente en contacto –contactos directos o secretos– con numerosos dirigentes árabes y occidentales. Al ser interrogado, tuvo tiempo de confirmar a sus interrogadores que era miembro de los servicios secretos de Arabia Saudita. Es evidente que sus confesiones podían conmocionar la política regional, sobre todo al proporcionar pruebas que incriminan a Arabia Saudita y al 14 de Marzo libanés.
Un diputado mencionaba entonces una proposición saudita de 3 000 millones de dólares a cambio de que no se grabaran las confesiones de Majed al-Majed y de que fuese extraditado a Riad. El diario libanés Al-Akhbar ya estimaba que el detenido estaba en peligro de muerte y que de todas maneras corría el riesgo de ser asesinado por sus jefes para garantizar su silencio.
Al día siguiente de la publicación de aquel editorial, el Ejército Libanés anunciaba la muerte de Majed al-Majed. Se ordenó una autopsia pero, contrariamente a lo previsto en el procedimiento penal, esta fue realizada por un solo especialista, quien concluyó que la muerte sobrevino a causa de la enfermedad que padecía el occiso. El cuerpo fue trasladado a Arabia Saudita, donde fue inhumado en presencia de sus familiares y de la familia ben Laden.
Irán sigue exigiendo al Líbano explicaciones más claras sobre el arresto y muerte de Majed al-Majed, aunque sin demasiada insistencia ya que el presidente Rohani está tratando también de implementar un acercamiento a Arabia Saudita.
Es la sexta vez que el jefe de una organización terrorista prosaudita que opera en Líbano escapa a la justicia. Así sucedió anteriormente con Chaker Absi y con Hicham Kaddoura, al igual que con Abdel Rahmane Awadh, Abdel Ghani Jawhar y, más recientemente, con Ahmad al-Assir.

En todo caso, aunque el rey Abdallah haya desembolsado 3 000 millones de dólares no será ni remotamente esa suma la que llegará al Ejército Libanés.
- En primer lugar, esa suma incluye tradicionalmente las «atenciones» reales a quienes han servido al soberano. Por ejemplo, según el Protocolo real que acompaña la donación, el presidente libanés Michel Sleiman recibió de inmediato –a título personal– 50 millones de dólares, y el presidente francés Francois Hollande recibe una suma acorde con su función, suma de la que se ignora el monto y si Hollande la ha aceptado o no. El principio saudita del soborno se aplica idénticamente a todos los dirigentes y altos funcionarios –libaneses y franceses– que participaron y que participarán en la transacción.
- Segundo, la parte fundamental de la suma donada irá a parar al Tesoro Público francés y Francia se encargará de proporcionar al Líbano el armamento y la formación militar correspondiente. Se trata, en realidad, de retribuir la implicación militar secreta de Francia –desde 2010– en las acciones destinadas a fomentar el desorden en Siria y provocar el derrocamiento del alauita Bachar al-Assad, a quien el Servidor de las Dos Mezquitas Sagradas no puede aceptar como presidente de un país mayoritariamente musulmán [5]. Sin embargo, al no existir un catálogo de precios, París evaluará a su antojo el volumen de armamento que puede representar la suma donada. París decidirá también qué tipo de armas y de formación proporcionará a cambio de esa suma. Para empezar, ni hablar de proporcionar al Ejército Libanés ningún tipo de armamento que pueda servir en algún momento para enfrentarse eficazmente al principal enemigo del Líbano, que es Israel.
- Tercero, si el objetivo de la donación saudita no es ayudar al Ejército Libanés a defender el país es porque está destinada –por el contrario– a sembrar la división entre los uniformados libaneses. Más que proporcionarles una verdadera preparación militar, la formación que Francia aportará a los militares libaneses estará destinada a la «francización» de los oficiales. Y el dinero que quede se destinará a la construcción de bonitos cuarteles y a la compra de costosos vehículos oficiales.
Por otro lado, también existe la posibilidad de que no llegue al Líbano ni un centavo de ese dinero. En efecto, según el artículo 52 de la Constitución libanesa [6], el donativo debe obtener la aprobación del consejo de ministros. Pero el gabinete dimitente de Najib Mikati no se ha reunido en 9 meses y no ha podido por ende transmitir esa aprobación al parlamento para que la ratifiquen los diputados.
Al presentar el donativo a los libaneses, el presidente Michel Sleiman creyó oportuno precisar, sin que nadie se lo pidiera, que en las negociaciones con Riad no se mencionó una posible posposición de la elección presidencial libanesa con prórroga de su propio mandato, ni tampoco la composición de un nuevo gobierno. Una precisión que da risa porque resulta evidente que esos fueron precisamente los principales puntos de la negociación.
El presidente libanés se comprometió ante sus interlocutores sauditas y franceses a formar un gobierno de «tecnócratas», sin chiitas ni drusos, y a imponerlo al parlamento. El término «tecnócrata» se aplica en este caso a una serie de altos funcionarios internacionales que han hecho carrera en el Banco Mundial, el FMI, etc., y también mostrando su sumisión al credo estadounidense. O sea que será un gobierno de proestadounidenses en un país que se resiste al dictado del Imperio. Pero ¿no se puede lograr una mayoría en el parlamento con 3 000 millones de dólares?
Por desgracia, el príncipe Talal Arslane, heredero de los fundadores del principado del Monte Líbano en el siglo XII y presidente del Partido Demócrata, arremetió de inmediato contra el presidente recordándole que, en virtud del Acuerdo de Taef [7], en Líbano el poder ejecutivo es una prerrogativa del consejo de ministros [8] y que este último tiene que reflejar obligatoriamente la composición confesional del país [9]. Lo anterior quiere decir que la formación de un gobierno de tecnócratas en Líbano constituye una violación flagrante del Acuerdo de Taef. lo cual convertiría al presidente Sleiman en un golpista, sea cual sea su capacidad para sobornar al parlamento.
Pero es muy probable que el asunto no termine ahí. El 15 de enero, el Ejército Libanés detuvo en la frontera a Jamal Daftardar, uno de los lugartenientes de Majed al-Majed.
El presidente Francois Hollande seguramente va a deplorar profundamente que su homólogo libanés fracase en su intento de vender su propio país por 50 millones de dólares. Pero de todas maneras, visto desde París, lo importante es la repartición de los 2 999 millones restantes.
 
[1] Ahmad Assi Jarba pertenece a la tribu beduina de los Chamar, de la que también proviene el rey Abdallah. Antes del inicio de los incidentes, Jarba ya había sido condenado en Siria por tráfico de drogas. Los Chamar son nómadas que se mueven a través del desierto de Arabia y de Siria.

[2] «Los magistrados y funcionarios de la primera categoría o su equivalente en todas las administraciones públicas, establecimientos públicos y toda otra persona moral de derecho público no pueden ser elegidos durante el ejercicio de sus funciones ni durante los 2 años siguientes a la fecha de su dimisión y al cese efectivo del ejercicio de sus funciones o a la fecha de su jubilación.»
[3] El general Roukoz, sin lugar a dudas el militar más prestigioso del Líbano, era quien hubiese tenido que ser designado como jefe del Estado Mayor. Pero es yerno del general Michel Aoun, presidente de la Corriente Patriótica Libre, formación aliada del Hezbollah.
[4] «Le dossier des mercenaires du Fatah al-Islam est clos», por Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 27 de agosto de 2007.
[5] A raíz de la firma del Tratado de Lancaster House, Francia y el Reino Unido intervinieron en Libia y en Siria organizando en esos países seudorevoluciones y destrucciones de Estados. Pero, al resultar la operación siria un fracaso, Londres se retiró de ella mientras que París sigue apoyando activamente a la «Coalición Nacional» dirigida por el saudo-sirio Ahmad Assi Jarba.
[6] «El Presidente de la República negocia los tratados y los ratifica de común acuerdo con el Jefe del Gobierno. Estos [los tratados] sólo se considerarán ratificados después de obtener la aprobación del Consejo de Ministros. El Gobierno informa a la Cámara de Diputados [sobre los tratados] cuando el interés del país y la seguridad del Estado así lo permiten. Los tratados con implicaciones para las finanzas del Estado, los tratados comerciales y todos los tratados que no pueden ser anulados al expirar cada año sólo pueden ser ratificados después de obtener la aprobación de la Cámara de Diputados.»
[7] «Accord de Taëf», Réseau Voltaire, 23 de octubre de 1989.
[8] «El Consejo de Ministros representa el poder ejecutivo.»
[9] «Todo poder que contradiga la carta de vida en común es ilegítimo e ilegal.»

 

Intellettuale francese, presidente-fondatore del Rete Voltaire e della conferenza Axis for Peace. Pubblica analisi di politica internazionale nella stampa araba, latino-americana e russa. Ultimo libro pubblicato: L’Effroyable imposture : Tome 2, Manipulations et désinformations (éd. JP Bertand, 2007). Recente libro tradotto in italiano: Il Pentagate. Altri documenti sull’11

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