Nell’estate del 1912 già giravano
nelle campagne romagnole, pedalavano per affermare la lotta di classe e
sostenere gli scioperi dei contadini. Il partito socialista li guardava dubbioso,
quei "ciclisti rossi", che si unirono in federazione l'anno dopo,
mentre quello dopo ancora si misero a usare il nuovo pneumatico "Carlo
Marx”.
Ciclisti
rossi
La
bicicletta è stata spesso considerata un mezzo di trasporto
"sospetto", o addirittura sovversivo, ed è stata a lungo oggetto di
divieti. In effetti questo veicolo, inventato nel 1817 e, nella versione attuale nel 1884, era all'inizio un
mezzo di trasporto chic, costoso, e quindi elitario,
riservato all'alta borghesia, che lo usava come svago.
I primi ciclisti
In Italia i primi velocipedi si videro nel 1860, condotti da stravaganti nobili ed alto borghesi che suscitavano la curiosità e la paura dei passanti (Fontana).
Il velocipede non era accessibile alle classi subalterne, che non avevano tempo da dedicare ai divertimenti, senza contare che il prezzo d'acquisto di una bicicletta Adler, Neumann, Swift (la preferita di Italo Svevo) o Prinetti Stucchi era pari ad un anno di salario di un operaio, e che inoltre si doveva pagare una tassa di circolazione, per ottenere il rilascio di un bollo fissato al telaio da un anello metallico, la cui mancanza generava sanzioni (Lombroso). Nel 1905 la tassa era di 10 lire per una bicicletta singola e di 15 lire per un tandem, equivalenti al bollo attuale per una auto di media cilindrata (Fontana).
Le forze politiche popolari e rivoluzionarie erano all'inizio fortemente ostili a questo veicolo, e ancora di più allo sport ciclistico. Il 23 giugno 1894 lo scrittore Alfredo Oriani, autore tra l'altro del libro "Bicicletta" del 1902 e di "Sul pedale" un'opera sulla bicicletta (link), prese parte a Faenza ad una manifestazione di protesta contro l'ordinanza del sindaco, del 6 giugno, che proibiva ai "velocipedisti" di entrare in città in bicicletta. I settanta ciclisti furono accolti dai faentini con grida ostili e fischi e poterono lasciare la città solo in tarda serata, scortati dai cavalleggeri (Dirani).
L'8 novembre 1894 nacque a Milano il Touring Club Ciclistico Italiano, che dal 1900 si chiamerà in Touring Club Italiano, nato per tutelare i ciclisti non tesserati in alcuna società sportiva. Pur essendo apolitico per statuto, sosteneva rivendicazioni territoriali nazionalistiche, con "trasferte patriottiche" in zone di cultura italiana, ma appartenenti ad altri Stati, come Nizza, la Savoia, il Canton Ticino, il Trentino, l'Alto Adige, il Carso e Trieste (Sbetti).
In quegli anni una guida turistica del Touring club consigliava ai ciclisti di non passare in Emilia Romagna, in particolare per Imola (Bologna) e Faenza (Ravenna), per non essere oggetto di atti di teppismo, essendo il ciclismo considerato un'attività borghese, e quindi ostile alla classe operaia (Fontana). Un volantino dei primi anni '10 del Novecento, firmato «I giovani Socialisti, Mazziniani e Anarchici», intitolato: «Deplorate lo sport!» lamentava «il miserabile spettacolo d'incoscienza e di sperpero di energie che offrono tutti quei giovani ciclisti al Giro d'Italia» (il primo Giro si era svolto nel 1909), definendolo uno dei tanti «tranelli che l'attuale sistema di governo plutocratico e borghese, ha teso alla inconsapevole dabbenaggine delle moltitudini». La chiusa del volantino era «Abbasso lo sport!»(Dirani).
Il Partito Socialista Italiano restò a lungo ancorato alla convinzione che lo sport fosse una riproduzione in miniatura dei meccanismi della guerra capitalistica, funzionale a speculazioni industriali o nazionaliste e persino dannoso per il corpo. Questa posizione, che probabilmente risentiva delle radici agrarie del PSI, portò Benito Mussolini, allora direttore dell'"Avanti!" addirittura a dichiarare, il 1 dicembre 1912, di voler cospargere di chiodi la via Emilia al passaggio dei corridori del Giro d'Italia (Sbetti).
Inizio dell'uso politico della
bicicletta
La situazione cambiò quando la bicicletta divenne un mezzo di trasporto accessibile a tutti, grazie alla riduzione del prezzo dovuta alla crescente diffusione ed al progresso tecnologico. Si passò, per una bicicletta Bianchi, da un costo di oltre 300 giornate di lavoro di un operaio, a 100 giornate. Si aprì quindi un dibattito nei partiti e nelle organizzazioni operaie, tra favorevoli e contrari alla pratica sportiva. La sezione socialista di Imola nel maggio 1904 promosse una società ricreativa nella convinzione che "non è monopolio delle classi borghesi il saper vivere fraternamente la vita collettiva dei circoli e dei ritrovi" (Ridolfi).
Lo sport era anche promosso come strumento di lotta contro l'alcolismo, flagello delle classi lavoratrici. Il 31 agosto 1910 il giornale "Sempre Avanti!" pubblicava un articolo del suo direttore Francesco Paoloni, che sottolineava come l'alcolismo abbrutisca e renda insensibili ad ogni incitamento ideale, mentre«ogni abbrutito di meno, potrà essere domani un milite di più nell'esercito combattente del proletariato» (Giuntini).
Molti rivoluzionari rifiutavano il ciclismo come sport e la bicicletta come strumento di svago, ma la accettavano come simbolo di modernità e come strumento di lotta, ottima non solo per raggiungere il posto di lavoro, ma anche per tenere i collegamenti tra le fabbriche occupate, per avvisare gli operai dell'arrivo delle forze dell'ordine, per diffondere la stampa rivoluzionaria, per raggiungere ed organizzare i lavoratori nei centri più isolati e nelle campagne, e consentire loro di partecipare alle manifestazioni nelle città. Questo carattere "sovversivo" della bicicletta spinse anche le autorità ecclesiastiche a guardarla con sospetto e addirittura a proibirne l'uso ai sacerdoti (Izagirre).
Nell’estate del 1894, l’Associazione milanese di ciclisti socialisti aveva per scopo la propaganda delle idee socialiste e partecipava alle corse ciclistiche per fare propaganda elettorale in favore di Leonida Bissolati. Sempre a Milano, nel 1896, i gruppi “Pro Ideale” e “So-cialisti” nel quinto collegio elettorale di Milano facevano propaganda per Filippo Turati (Senatori, 2011). Nel 1898, in occasione dei moti popolari di Milano contro la fame, il famigerato generale Bava Beccaris con un bando aveva proibito la circolazione di «biciclette, tricicli e tandem» per evitare che diventassero un mezzo di comunicazione prezioso tra gli insorti.
Altri gruppi attivi erano la sezione ciclistica “Forza e Costanza” delle cooperative di Brescia, e il “Club Ciclistico Avanti” a Roma (Senatori, 2011),
Nel 1900 il criminologo Cesare Lombroso (1835-1909) concludeva un suo articolo con un paragrafo sui vantaggi del ciclismo per il benessere e della civiltà: «diminuì l’isolamento dei piccoli centri, mise la campagna a pochi minuti di distanza dalle abitazioni e dalle capitali, fu alleato nelle votazioni ai partiti politici più evoluti e che perciò sanno servirsi dei mezzi più moderni di lotta». Inoltre Lombroso lodava i benefici della bicicletta per la salute mentale, e concludeva con una frase che oggi appare decisamente ottimista: «il cicloanthropos del secolo ventesimo soffrirà meno di nervi, sarà più robusto di muscoli dell’uomo del secolo ora trascorso».
Nello stesso articolo, però, Lombroso metteva in guardia contro «la straordinaria importanza del biciclo, sia come causa che come stromento del crimine», e citava una lunga casistica di crimini commessi per procurarsi i soldi necessari a comprarsi una bicicletta e diventare campioni di ciclismo o per rivenderla, oppure di uso della bicicletta per fuggire rapidamente dopo una rapina.
I primi ciclisti rossi
Nel nuovo secolo l'uso politico organizzato della bicicletta ebbe un forte sviluppo in Emilia e in Romagna, dove i repubblicani, i quali, all'epoca e fino al secondo dopoguerra, erano una forza politica radicale e anticlericale, il 26 luglio del 1903 organizzarono a Cervia il primo convegno ciclistico regionale, con partecipazione di delegati delle Marche, per sottolineare l'importanza della bicicletta per la diffusione delle idee rivoluzionarie di Giuseppe Mazzini. Nel 1905 a Reggio Emilia nacque il primo gruppo di Ciclisti rossi, di portata però solo locale (Goretti).
Il 10 aprile 1906 a Carpi, in provincia di Modena, nacque l'Unione Sportiva Socialista, aperta agli iscritti al Partito Socialista in possesso di una bicicletta, con lo scopo di «giovare al Partito Socialista nelle lotte elettorali, di organizzare gite di propaganda e piacere, cortei socialisti ecc.». Nel maggio 1906 i componenti dell'Unione organizzarono un convegno contro la tassazione eccessiva sulle biciclette, e il 3 giugno 1907 si tenne a Carpi un raduno di quasi cinquecento ciclisti venuti da Reggio Emilia e Correggio (Giuntini).
A Reggio Emilia i Ciclisti Rossi contavano quattromila associati, divisi in squadre per ogni frazione di comune, e contraddistinti da un berretto rosso; duemila di loro parteciparono in corteo alla festa del 1° Maggio 1906; due giorni prima, domenica 29 aprile, c'era stato un raduno preparatorio, che era anche una manifestazione di protesta contro la tassa di circolazione sulle biciclette. Il ruolo dei ciclisti era anche quello di fornire un servizio d'ordine con rapidità di movimento per le manifestazioni e i cortei. Nel giugno 1910 i Ciclisti Rossi diedero vita ad un concorso ciclistico floreale. Si organizzarono numerose gite nella provincia e alla testa delle squadre si trovava sempre la fanfara del «Veloce Club». La presenza dei ciclisti al corteo del 1° maggio diventò consuetudine, non solo a Reggio Emilia, ma anche in provincia, come a Correggio, Guastalla, Scandiano, Cavriago e Casoni (Fincardi, 2012b). In Romagna era viva la competizione dei ciclisti rossi con le squadre ciclistiche di repubblicani e cattolici (Ridolfi).
I Ciclisti rossi negli anni '10
La costituzione di una organizzazione nazionale dei “Ciclisti Rossi” fu sostenuta da Giovanni Germanetto e Mario Montagnana, poi esponenti del Partito Comunista d’Italia. Il 16 giugno 1912 ad Imola, il Congresso Socialista Regionale, vide la nascita dei «Ciclisti Rossi», una società sportiva che però aveva scopi decisamente politici, piuttosto che sportivi. Quel giorno settanta ciclisti provenienti da Forlì con una fascia rossa al braccio raggiunsero il congresso accolti da applausi (Giannantoni e Paolucci). Il settimanale "La Lotta", organo della Federazione collegiale socialista imolese, nel numero dello stesso giorno spiega: «Durante i periodi occasionali di lotta, (elezioni, agitazioni, scioperi etc.) i Ciclisti rossi daranno modo ai nostri comitati di poter disporre di mezzi sicuri e celeri per comunicazioni e corrispondenze, non solo, ma forniranno ad essi un personale già disposto e preparato a viaggiare attraverso il Comune ed il Collegio, con sufficiente conoscenza di luoghi, di persone, ecc. Nelle grandi dimostrazioni, infine, la Squadra dei ciclisti rossi che se lo spirito e l'entusiasmo di tutti i compagni aiuterà, andrà sempre aumentando di numero, completerà degnamente i nostri cortei, coadiuvando efficacemente la loro organizzazione e conferendo ad essi ordine e imponenza maggiore» (Fontana).
Domenica 22 settembre 1912, sempre ad Imola, in concomitanza del Congresso nazionale giovanile socialista, che si svolgeva a Bologna da venerdì 20, si svolse il 1° Convegno Nazionale dei Ciclisti Rossi (Zanelli), al quale parteciparono 700 ciclisti rossi provenienti da varie regioni, soprattutto del nord Italia, mentre Arturo Vella e Amedeo Bordiga tennero un comizio (Fincardi, 2012b). I partecipanti giunsero da Bologna con treno speciale, fecero tappa al Piratello per rendere omaggio alla tomba di Andrea Costa. Nato nel 1851 a Imola, Andrea Costa fu uno dei fondatori del socialismo in Italia e primo deputato socialista italiano, ed era morto, sempre a Imola, pochi anni prima, il 19 gennaio 1910. I partecipanti al congresso si trovarono poi alle scuole Carducci, sfilarono per le vie di Imola, furono ricevuti in municipio, e visitarono le istituzioni operaie e socialiste della città. Secondo lo spirito del raduno "le biciclette rosse vogliono servire il nostro ideale, sostenere, collegare, mantenere sempre affiatato il nostro movimento, le nostre genti di ogni contrada" (Zanelli). Su "La lotta" un anonimo redattore manifestava contrarietà per la passione per la bicicletta: "non da ieri abbiamo elevato vigorosa protesta contro l'ossessione sportiva, che da qualche tempo ha invaso la nostra gioventù operaia, distogliendola dalle sue occupazioni della mente e della lotta diuturna contro il privilegio" e ancora "la nostra è soprattutto una civiltà spirituale. L'educazione fisica non deve venire a detrimento dell'educazione intellettuale" (Zanelli).
A Reggio Emilia il 1° maggio del 1913 i Ciclisti rossi, dopo la sfilata in città al mattino, si recano nel pomeriggio a Cavriago, per partecipare al boicottaggio della celebrazione delle associazioni cattoliche. Lo stesso accadrà il 1° maggio dell'anno seguente, a Quattro Castella (Fincardi, 2012b).
Nello stesso 1913 la rivista lughese «La Fiamma Socialista» in occasione dei festeggiamenti del 1° maggio scriveva: «Tutti i ciclisti rossi di Lavezzola, Conselice, S. Patrizio, Massalombarda, Giovecca, S. Bernardino, S.M. in Fabriago e S. Lorenzo si recheranno a S. Agata sul Santerno dove i ciclisti rossi di Villa S. Martino e quelli di Lugo saranno ad incontrarli per recarsi tutti uniti prima alla Casa degli organizzatori rossi di Lugo, poscia al Monumento di Andrea Costa, a deporvi i fiori del ricordo e della promessa».
La terza parata è organizzata il 22 giugno 1913, come secondo Convegno nazionale dei gruppi ciclistici socialisti. A causa di temporali scroscianti varie delegazioni di ciclisti, tra cui quelle di Torino, Venezia, Reggio e Lugo, devono rinunciare alla pedalata, mentre gli imolesi e le delegazioni riuscite ad arrivare sguazzando nel fango, riescono ugualmente a dettare le norme del loro circuito organizzativo.
Imola vide,
il 10 agosto 1913, la fondazione della Federazione nazionale dei ciclisti
rossi, con più di mille iscritti e sede in via Appia, 7. Il 17 agosto 1913, il quarto
raduno, presentato come il primo Convegno nazionale che costituiva
ufficialmente la Federazione dei Ciclisti rossi, con la cittadina romagnola
tappezzata di manifesti e striscioni e bandiere rosse esposte. Partecipano un
migliaio di ciclisti, con delegazioni, anche da diversi centri della Romagna e
dell’Emilia. Il locale settimanale socialista descrive la riunione come «magnifica,
imponente ed entusiastica». Il giornale della FIGS «L’Avanguardia»
può ormai presentare la lotta di classe marciante sulle due ruote: «Le
biciclette rosse sono e saranno le avanscoperte della nostra propaganda e del
nostro movimento, i tramiti veloci per cui le nostre genti di ogni contrada e
di ogni paese resteranno sempre affidate e collegate, sia in tempo di pace come
in tempo di guerra».
Alla fondazione della Federazione nazionale, i Ciclisti rossi erano diffusi soprattutto in Emilia, in Romagna, a Milano e Torino, ma nuclei importanti esistevano a Pesaro, Firenze, Sesto Fiorentino, Terni, Portici, Castellamare di Stabia e Sparanise, oltre che a Città di Castello (vedi link), Reggio Emilia, Imola e Cesena, dove le squadre esistevano già da qualche anno (Fincardi, 2012b).
Sempre Imola, il 24 agosto 1913 ospitò il primo Congresso Nazionale dei Ciclisti Rossi, che approvò uno statuto secondo il quale in periodi speciali (elezioni, agitazioni, scioperi), i ciclisti rossi dovevano assicurare comunicazioni e corrispondenza rapidi. Lo statuto proseguiva definendo i ciclisti rossi come l'avanguardia della propaganda e del movimento socialista, e il mezzo tramite il quale gli affiliati di tutte le contrade possono restare in contatto, sia in tempo di pace, sia in guerra. La bicicletta è definita "veicolo del popolo" al servizio della lotta di classe, e il ciclismo agonistico è denigrato, definendo lo sport come un problema gravissimo, che storna l'attenzione degli operai e in particolare dei giovani, distraendoli dallo studio dei problemi sociali e li allontana dalle associazioni politiche. Venivano poi condannati quei giovani più ansiosi di leggere La Gazzetta dello Sport che l'Avanti!, e preoccupati solo di fare l'amore e correre in bicicletta (Izagirre).
Ad Imola la Camera del Lavoro forniva servizi per i ciclisti rossi,
Alla fondazione della Federazione nazionale, i Ciclisti rossi erano diffusi soprattutto in Emilia, in Romagna, a Milano e Torino, ma nuclei importanti esistevano a Pesaro, Firenze, Sesto Fiorentino, Terni, Portici, Castellamare di Stabia e Sparanise, oltre che a Città di Castello (vedi link), Reggio Emilia, Imola e Cesena, dove le squadre esistevano già da qualche anno (Fincardi, 2012b).
Sempre Imola, il 24 agosto 1913 ospitò il primo Congresso Nazionale dei Ciclisti Rossi, che approvò uno statuto secondo il quale in periodi speciali (elezioni, agitazioni, scioperi), i ciclisti rossi dovevano assicurare comunicazioni e corrispondenza rapidi. Lo statuto proseguiva definendo i ciclisti rossi come l'avanguardia della propaganda e del movimento socialista, e il mezzo tramite il quale gli affiliati di tutte le contrade possono restare in contatto, sia in tempo di pace, sia in guerra. La bicicletta è definita "veicolo del popolo" al servizio della lotta di classe, e il ciclismo agonistico è denigrato, definendo lo sport come un problema gravissimo, che storna l'attenzione degli operai e in particolare dei giovani, distraendoli dallo studio dei problemi sociali e li allontana dalle associazioni politiche. Venivano poi condannati quei giovani più ansiosi di leggere La Gazzetta dello Sport che l'Avanti!, e preoccupati solo di fare l'amore e correre in bicicletta (Izagirre).
Ad Imola la Camera del Lavoro forniva servizi per i ciclisti rossi,
Programma dei Ciclisti rossi
Nel documento costitutivo del nuovo movimento sportivo popolare, redatto dall'ideologo dei Ciclisti rossi, Antonio Lorenzini, e riportato in un dattiloscritto inedito “Storia del ciclismo UISP” di Sergio Giuntini (l'UISP è l'Unione Italiana Sport Popolari), si legge: «I Ciclisti Rossi sono coloro i quali, pure potendo e sapendo andare in bicicletta di questo esercizio, o magari di questa specie di passione, non fanno né un fine né una idealità. Il fine dei Ciclisti Rossi è la propaganda: il loro mezzo è lo sport della bicicletta, se così vuolsi chiamare, contenuto entro limiti umani e dignitosi! I nostri ciclisti non comprendono e non vogliono che l’educazione fisica vada a detrimento dell’educazione intellettuale e morale propria od altrui.
Epperò dello sport della bicicletta – e magari, domani di altri sport – essi fanno puramente e semplicemente una consuetudine igienica, un passatempo e un mezzo adeguato e proporzionato per difendere e propagandare dappertutto le loro idealità civili, morali, politiche. I Ciclisti Rossi organizzano ogni tanto una gita in questa od in quella località del Comune, del Collegio, della Provincia, o magari oltre i confini della stessa Provincia, nella Regione, portando ivi opuscoli, giornali e la eco delle prime discussioni di propaganda minuta.
Durante i periodi eccezionali di lotta (agitazioni, elezioni, scioperi, convegni, congressi, ecc.), i Ciclisti Rossi daranno modo così ai comitati dirigenti od organizzatori di poter disporre di mezzi sicuri e celeri per comunicazioni e corrispondenza, non solo, ma forniranno ad essi un personale già disposto e preparato a viaggiare attraverso il Comune, il Collegio o la Provincia con sufficiente allenamento e conoscenza dei luoghi, delle persone, dei recapiti.
Nelle più importanti manifestazioni la squadra dei Ciclisti Rossi completerà degnamente i nostri cortei, coadiuvando efficacemente la loro organizzazione, e
conferendo ad essi – senza preoccupazioni reclamistiche – ordine e imponenza maggiori. Questi sono gli scopi e gli intenti che hanno fatto sorgere le organizzazioni dei Ciclisti Rossi le quali anziché servire … agli interessi di ditte e società affaristiche, con l’esprimere dal loro seno gli eroi del pedale dalla lingua penzoloni, intendono, con la ginnastica e l’educazione del loro corpo, servire una idea che vale più di tutte le Coppe e di tutti i Gran Prix dei grandi patriarchi e benefattori dello sport … del far quattrini. Le biciclette rosse – ove ce lo consentono i difensori zelanti della educazione muscolare per la gloria e la potenza maggiore delle borse capitalistiche – sono e saranno le avanscoperte della nostra propaganda e del nostro movimento: i tramiti veloci per cui le nostre genti di ogni contrada e di ogni paese resteranno sempre affiatate e collegate, sia in tempo di pace come in tempo … di guerra» (Senatori, 2014).
Crescita dei Ciclisti rossi
Per rinforzare lo spirito di appartenenza e raccogliere simpatizzanti, la FNCR organizzò una serie di gite di propaganda in bicicletta: la prima si tenne l'8 aprile 1917, il giorno di Pasqua, con partenza alle 13:00 dal Ponte Santo, sul Santerno, all'epoca chiamato Ponte Rosso dai socialisti imolesi. Di questa gita esiste un filmato, che è stato pubblicata nel 2010 in DVD da Bacchilega di Imola, con regia di Fausto Pullano e musica di Roberto Bartoli. Contiene la versione restaurata e con commento sonoro di due filmati del 1910 e del 1913, conservati presso il CIDRA (Centro Imolese di Documentazione sulla Resistenza Antifascista e storia contemporanea) di Imola.
La seconda pedalata ebbe luogo tre domeniche dopo, il 29 aprile, con partenza alle 13:00 dallo stesso ponte e arrivo dopo circa 20 km a San Patrizio, frazione del comune di Conselice, in provincia di Ravenna, dove si tenne una riunione pubblica con votazione finale di un ordine del giorno. Il 13 maggio i ciclisti rossi imolesi, insieme a quelli di Lugo, si trovarono a Mordano, in provincia di Bologna, per il 1° convegno bicollegiale, e il 20 maggio organizzarono una gita di propaganda a Sesto Imolese. L'ultima pedalata di propaganda del 1917 fu domenica 19 agosto a Osteriola, dove i ciclisti rossi imolesi si radunano anche il 21 luglio 1918 per un convegno collegiale.
L'ultimo superstite dei ciclisti rossi imolesi è stato Ottavio Zanelli (link), nato a Ravenna il 26 settembre 1904 e morto il 6 aprile 2006 all'età di 101 anni, dopo una lunga attività politica, dal congresso di Livorno del 1921 che vide la fondazione del Partito Comunista d'Italia, alla detenzione per l'opposizione al regime fascista, alla Resistenza, fino all'attività politica nel dopoguerra (Giannantoni e Paolucci).
I Ciclisti rossi negli anni '20
Il ruolo dei ciclisti negli anni '20 fu importante nelle lotte operaie del primo dopoguerra, per l'occupazione e contro il fascismo. Durante gli scioperi i ciclisti rossi aiutavano a costituire rapidamente dei picchetti contro i crumiri, infatti durante lo sciopero agrario dell’agosto 1920, il prefetto di Reggio Emilia proibì l’uso della bicicletta in tutta la provincia. Nel 1921 una squadra di Ciclisti rossi reggiani scortò da Reggio a Cavriago le salme di due lavoratori assassinati dai fascisti il 1° maggio (Fincardi, 2012b), e a Piombino (Livorno) il 3 agosto 1921, un reparto di Arditi del Popolo ciclisti aprì il corteo funebre che accompagnava la salma dell'operaio Giuseppe Morelli, un Ardito del Popolo ucciso dalle forze dell'ordine. Il quotidiano comunista L'Ordine Nuovo del 24 luglio 1921 riporta i fatti di Cingia de' Botti (Cremona) , dove il 17 luglio seicento Ciclisti rossi sfilarono per le vie cittadine, militarmente inquadrati, per raggiungere la sede
Il campione ciclista Ottavio Bottecchia, vincitore di due Tour de France, in uno dei quali indossò la maglia gialla dalla prima all'ultima tappa, svolse attività antifascista e per questo fu assassinato nel 1927.
Cicliste rosse (e non)
La bicicletta divenne anche uno strumento di emancipazione femminile, grazie soprattutto ad alcune pioniere che sfidarono il disprezzo e gli insulti dei benpensanti. «I moralisti furono scandalizzati dall'effetto che questi veicoli anarchici avevano sulla morale pubblica, soprattutto sulle donne, che pedalavano allegramente, e a gettavano via il corsetto, indossando indumenti più pratici, compresi i pantaloni. Nel frattempo gli scienziati ammonivano gravemente che la pura velocità, e la posizione audacemente a cavalcioni del sellino, avrebbero stimolato le donne più di quanto erano capaci di resistere e le avrebbero ridotte all'infertilità, all'isteria, o peggio, rendendole creature licenziose e sfrenate» (Blom).
Una spinta decisiva fu data dalle prime cicliste che parteciparono a gare, come la modenese Alfonsina Morini Strada (1891-1959), che partecipò a due edizioni del Giro di Lombardia, arrivando al traguardo, mentre metà dei partenti si erano ritirati, e al Giro d'Italia del 1924, dove arrivò fuori tempo massimo in una delle ultime tappe, ma poté partecipare fino alla fine, senza che i suoi tempi fossero registrati. Alfonsina Morini partecipò anche ad altre edizioni del Giro e vinse 36 corse, battendo avversari maschi (Izagirre).
Ciclisti
rossi in Europa
Nel 1896 nacque, sempre in Germania, l'Associazione dei Ciclisti Rossi (ARS: Arbeiter-Radfahrerbund Solidarität Associazione ciclistica dei lavoratori) oggiRad- und Kraftfahrerbund Solidarität, nel 1912 aveva 150mila aderenti e nel 1929 ne aveva 320mila, ed era la più grande organizzazione ciclistica mondiale, gestiva anche una fabbrica cooperativa di biciclette, ed organizzava manifestazioni sportive propagandistiche. All'epoca della prima guerra mondiale le associazioni sportive proletarie contavano oltre 350mila membri.
Il 23 giugno 1921 a Mosca nacque l'Internazionale Rossa dello Sport, con rappresentanti di Germania, Francia, Italia, Ungheria, Cecoslovacchia, Svezia e Paesi Bassi, che rappresentava l'ala rivoluzionaria del movimento sportivo, in contrapposizione con la Socialist Workers' Sport International (Lucerne Sport International), fondata nel 1920 a Lucerna, in Svizzera, di ispirazione riformista (Gounot).
I ciclisti e la Resistenza
Il partigiano Renato Romagnoli ("Italiano") nel suo libro del 1974 «Gappista. Dodici mesi nella Settima Gap "Gianni"» (edito da Vangelista), citato da Giannantoni e Paolucci, racconta: «Ben presto ogni bicicletta diventa un incubo per i nazifascisti, in ogni ciclista si vede un ribelle pronto a sparare sull'occupante, a colpire i suoi servi in camicia nera; le cronache del tempo sono piene di proclami e di bandi sugli usi consentiti e su quelli vietati del popolare mezzo di locomozione, nessun fascista o tedesco, se non in gruppo, avrà mai il coraggio di fermare un uomo in bicicletta (e quando i nemici fanno gruppo sono visibili da notevole distanza per cui diventa facile agire per evitarli). Bandi e proclami rimangono senza efficacia».
Di conseguenza, i fascisti in varie località vietarono l'uso della bicicletta (vedi il bando di Carpi e quello di Bologna). Lo stesso libro di "Italiano" cita alcuni passi di un bando apparso a Bologna il 26 aprile 1944: «A decorrere dal giorno 26 aprile 1944 è fatto divieto assoluto di circolare con le biciclette, anche portate a mano, entro il perimetro della città di Bologna delimitato dai viali (...) Coloro i quali abitano entro il perimetro sopra descritto e, che per ragioni di lavoro, debbono spostarsi con la bicicletta dal luogo di divieto alla periferia e poi far ritorno al centro, dovranno essere muniti di una speciale dichiarazione della ditta presso cui lavorano, vidimata dalla questura di Bologna, ma per tutto il perimetro e le strade di divieto dovranno portare la bicicletta a mano con le gomme delle ruote sgonfie o con la catena staccata dalla moltiplica e dal rocchetto».
Un bando simile, con minaccia di esecuzione sommaria in caso di violazione, è citato da "Italiano" a proposito di Ravenna. A Milano e Torino lo stesso divieto ebbe vita breve, dato che la bicicletta era
l'unico mezzo con il quale gli operai potevano raggiungere le fabbriche, che erano fondamentali per sostenere lo sforzo bellico nazifascista.
A Milano la
bicicletta fu fondamentale per l'attuazione di molte azioni di guerra
partigiana, e si distinse in particolare Giovanni Pesce, con nomi di battaglia "Ivaldi"
e "Visone", che mise a segno diversi attentati contro i
fascisti, grazie a questo mezzo. Pesce spiegò «Era come l'aria che
respiravo, un mezzo indispensabile per muovermi in modo rapido in ogni
frangente. Senza la bicicletta non sarebbe stato pensabile compiere le azioni
che ho portato a termine». Il 24 aprile 1945 l'ordine di insurrezione generale
fu trasmesso da staffette in bicicletta (Giannantoni e Paolucci).
A Roma, nei nove mesi dell'occupazione nazifascista, la bicicletta fu usata per compiere almeno due importanti attentati, il 18 dicembre 1943 da parte di Rosario Bentivegna davanti al cinema Barberini, nell'omonima piazza, per colpire i partecipanti ad una proiezione riservata ai soldati nazisti, e il 26 dicembre 1943 davanti al corpo di guardia del carcere di Regina Coeli, da parte di Mario Fiorentini (Portelli). Gli attentati provocarono il divieto di circolare in bicicletta per la città, che fu però aggirato aggiungendo una terza ruota al mezzo, trasformandolo in un triciclo.
Il grande campione ciclista fiorentino Gino Bartali (1914-2000), sfruttando la sua popolarità come campione sportivo, usò la sua bicicletta per nascondere nei tubi del telaio, nel manubrio e nel sellino documenti falsi, che recapitava a cittadini ebrei, nascosti in un convento di frati Oblati a Lucca (a circa 90 km da Firenze) e ad Assisi (160 km, dove si recò 40 volte), consentendo loro di risultare "ariani" e salvandone così 4.000 dallo sterminio (Sbetti; Stevenson). Bartali camuffava le sue consegne come allenamenti per tenersi in forma, nonostante la sospensione dell'attività agonistica (il Giro d'Italia era sospeso dal 1941), e quando veniva fermato per controlli, chiedeva di non toccare la bici per non alterarne la perfetta messa a punto (Stevenson). La polizia fascista spiava il campione, ma non riusciva a rendersi conto del perché compisse allenamenti così lunghi. Inoltre Bartali nascose in una cantina della sua casa di Firenze la famiglia ebrea Goldenberg, fino alla liberazione della città, nell'agosto del 1944 (Coen; Stevenson). Per questo Bartali, dopo la sua morte, fu insignito dall'Italia della medaglia d'oro postuma al valor civile, e da Israele del titolo di "Giusto tra le Nazioni" e il suo nome è stato iscritto nel giardino dello Yad Vashem. L'attività di Bartali era conosciuta solo dai suoi familiari e da chi aveva collaborato con lui, e fu resa nota solo dopo la sua morte, dato che Gino non riteneva fosse il caso di prendersene il merito: al figlio Andrea spiegava "Uno lo fa e basta" (Stevenson).
Il campione varesino Luigi Ganna, vincitore del primo Giro d'Italia nel 1909, era invece diventato un fabbricante di biciclette, e nel 1944 donò dieci delle sue biciclette alla 121a Brigata Garibaldi "Walter Marcobi" (Giannantoni e Paolucci). Furono partigiani anche Alfredo Martini (1921-2014) corridore ciclista e poi per 22 anni commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, Luciano Pezzi, ciclista e poi direttore tecnico di molti campioni, tra i quali Felice Gimondi, e molti altri atleti professionisti.
A Roma, nei nove mesi dell'occupazione nazifascista, la bicicletta fu usata per compiere almeno due importanti attentati, il 18 dicembre 1943 da parte di Rosario Bentivegna davanti al cinema Barberini, nell'omonima piazza, per colpire i partecipanti ad una proiezione riservata ai soldati nazisti, e il 26 dicembre 1943 davanti al corpo di guardia del carcere di Regina Coeli, da parte di Mario Fiorentini (Portelli). Gli attentati provocarono il divieto di circolare in bicicletta per la città, che fu però aggirato aggiungendo una terza ruota al mezzo, trasformandolo in un triciclo.
Il grande campione ciclista fiorentino Gino Bartali (1914-2000), sfruttando la sua popolarità come campione sportivo, usò la sua bicicletta per nascondere nei tubi del telaio, nel manubrio e nel sellino documenti falsi, che recapitava a cittadini ebrei, nascosti in un convento di frati Oblati a Lucca (a circa 90 km da Firenze) e ad Assisi (160 km, dove si recò 40 volte), consentendo loro di risultare "ariani" e salvandone così 4.000 dallo sterminio (Sbetti; Stevenson). Bartali camuffava le sue consegne come allenamenti per tenersi in forma, nonostante la sospensione dell'attività agonistica (il Giro d'Italia era sospeso dal 1941), e quando veniva fermato per controlli, chiedeva di non toccare la bici per non alterarne la perfetta messa a punto (Stevenson). La polizia fascista spiava il campione, ma non riusciva a rendersi conto del perché compisse allenamenti così lunghi. Inoltre Bartali nascose in una cantina della sua casa di Firenze la famiglia ebrea Goldenberg, fino alla liberazione della città, nell'agosto del 1944 (Coen; Stevenson). Per questo Bartali, dopo la sua morte, fu insignito dall'Italia della medaglia d'oro postuma al valor civile, e da Israele del titolo di "Giusto tra le Nazioni" e il suo nome è stato iscritto nel giardino dello Yad Vashem. L'attività di Bartali era conosciuta solo dai suoi familiari e da chi aveva collaborato con lui, e fu resa nota solo dopo la sua morte, dato che Gino non riteneva fosse il caso di prendersene il merito: al figlio Andrea spiegava "Uno lo fa e basta" (Stevenson).
Il campione varesino Luigi Ganna, vincitore del primo Giro d'Italia nel 1909, era invece diventato un fabbricante di biciclette, e nel 1944 donò dieci delle sue biciclette alla 121a Brigata Garibaldi "Walter Marcobi" (Giannantoni e Paolucci). Furono partigiani anche Alfredo Martini (1921-2014) corridore ciclista e poi per 22 anni commissario tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, Luciano Pezzi, ciclista e poi direttore tecnico di molti campioni, tra i quali Felice Gimondi, e molti altri atleti professionisti.
In anni più recenti la bicicletta ha ripreso il suo ruolo di staffetta operaia tra fabbriche in lotta contro i licenziamenti o la chiusura. Nel 2009, in occasione del Giro d'Italia, operai cassintegrati e precari veneti e toscani hanno compiuto un Giro parallelo tra fabbriche presidiate dagli operai (Satta, 2009). Nel 2013 i socialisti romagnoli hanno dato vita ad una commemorazione dei ciclisti rossi, in occasione del centenario della nascita del movimento.
Il 25 aprile 2015, per celebrare il 70° anniversario della Liberazione e il ruolo dei Gruppi di difesa della donna nella Resistenza, l'UDI (Unione Donne in Italia) di Modena, in collaborazione con FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta), ha organizzato un giro in bicicletta nei luoghi della città più significativi per la storia politica dell'epoca.
Le edizioni ZeroLire di Forlì pubblicano on-line diverse opere sulla bicicletta e sulla sua vita sociale.
Bibliografia:
BARONCINI Enrico (2012) “Pedalanti eserciti”. La bicicletta nella “settimana rossa” romagnola. In: Fincardi, 2012 (a cura di): 105-117.
BLOM Philipp (2012) The Vertigo Years: Change and Culture in the West, 1900-1914, Weidenfeld & Nicolson, London.
CARNERO Roberto (2003) Anno 1900: Oriani e l'arte della bici. L'Unità, 22 aprile 2003, pag. 16.
COEN Leonardo (2013) Bartali, cuore di campione così salvava gli ebrei. Repubblica Firenze, cronaca, 23 settembre 2013 link
DIRANI Ennio (1993) Cicloturismo romagnolo: 1894-1994 : per i cento anni della bicicletta di Oriani. A. Longo, Ravenna. Dal sito: Edizioni ZeroLire link
FINCARDI Marco (2012a) Il movimento dopo il lavoro. In: Fincardi, 2012 (a cura di): 5-14.
FINCARDI Marco (2012b) Ciclisti della Camera del Lavoro nel 1° maggio reggiano (1902-1922) In: Fincardi, 2012 (a cura di): 189-210.
FINCARDI Marco (a cura di) (2012) Lo sport e il movimento operaio e socialista. L'Almanacco, Felina (RE), n. 59, giugno 2012: 5-14. link
FONTANA Gian Franco (1995) La bicicletta, Università aperta terza pagina, Imola (BO). (5), 11: 26-27.
FRANCESCANGELI Eros (2000) Arditi del Popolo. Odradek, Roma.
GENTILI Valerio (2009) La legione romana degli Arditi del Popolo. Purple Press, Roma.
GIANNANTONI Franco, PAOLUCCI Ibio (2008) La bicicletta nella Resistenza. Storie partigiane. Arterigere-Chiarotto Editore.
GIUNTNI Sergio (2012) “La Patria” socialista: una società ginnastica carpigiana dall’Ottocento al Fascismo. In: Fincardi, 2012 (a cura di): 119-136. link
GORETTI Leo (2012) “Sacrifici, sacrifici e ancora sacrifici” Sport, ideologia e virilità sulla stampa comunista (1945-1956 In: Fincardi, 2012 (a cura di): 161-187.
GOUNOT André (2001) Sport or Political Organization? Structures and Characteristics of the Red Sport International, 1921-1937. Journal of Sport History, vol. 28, n. 1, pagg. 23-39. link
IZAGIRRE Andres (2015) ¿Por qué el ciclismo es una 'religión' en Italia? CNN Edición Español, 9 maggio 2015 . link
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LOMBROSO Cesare (1900) Il ciclismo nel delitto. Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», vol. LXXXVI, IV serie, vol. CLXX. Roma, link
LORENZINI Antonio (1913?) I ciclisti rossi: i loro scopi e la loro organizzazione. Fratelli Ceserani, Caravaggio.
PORTELLI Alessandro (2012) L'ordine è già stato eseguito. Feltrinelli, Milano.
REGAZZONI Marco (2015) Tour de France 2015: i trionfi e lo strano incidente di Ottavio Bottecchia. www.oasport.it link
RIDOLFI Maurizio (1993) Socialità popolare. Università aperta terza pagina, Imola (BO). (3), 6: 4.
S.A. (1921) L'inquadramento dei ciclisti rossi. L'Ordine Nuovo, 24 luglio 1921, pag. 5, link
SASSO Cinzia (2010) Dal campo di concentramento alla libertà la storia partigiana della 'staffetta' Sandra. Repubblica Milano, 26 novembre 2010 link
SATTA Andrea (2009) Ciclisti rossi cercasi. In bici tra gli operai. L'Unità, 24 maggio 2009, pag. 43.
SATTA Andrea (2014) Libri nel Giro, Andrea Satta: "I ciclisti rossi". La Repubblica, Sport, 28 maggio 2014 link
SBETTI Nicola (2015) Giochi diplomatici. Sport e politica estera nell'Italia del secondo dopoguerra (1943-1953). Tesi di dottorato, Università degli Studi di Bologna. link
SENATORI Luciano (2011) Associazionismo sportivo, proletario e popolare nell'Unità d'Italia. Stile Libero - Sport&Sicurezza, VIII, 2, mar-apr 2011, pag. 25-28 link
SENATORI Luciano (2014) Sport moderno e sport popolare. UISP Lega Pallavolo Nazionale - Corso per Formatori Giudici di Gara e Allenatori - Firenze 15 – 16 novembre 2014. link
STEVENSON John (2013) Gino Bartali awarded Israel's Righteous Among The Nations for wartime activities. http://road.cc/, September 28 2013 link
TACCHINI Alvaro (s.a.) Lo sport: una "epidemia". Storia tifernate e altro. link
WHEELER F. Robert (1978) Organized Sport and Organized Labour: The Worker's Sport Movment. Journal of Contemporary History, 13 (2): 191-210. link.
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ZANELLI Giuliana (2002) Ciclisti rossi. Università aperta terza pagina, Imola (BO). (12), 8: 10.
Siti
web visitati:
ANPI Mirano link
Ciclo Imprese Estreme - Romagna - Bicicletta & Politica, 2 maggio 2014 link
Comune di Imola, Biblioteca Comunale di Imola. Pedalata dei ciclisti rossi a favore della propaganda socialista. link
Federazione Giovanile Comunisti Italiani - Sezione "John Reed" Imola link
Formazioni di difesa proletaria, Wikipedia link
I ciclisti rossi link
Museum der Arbeit - Das Fahrrad link
Partito Socialista Italiano di Ravenna e della Romagna link
Storia e Memoria di Bologna - Ottavio Zanelli link
UDI - Io vado ... come una staffetta link
ANPI Mirano link
Ciclo Imprese Estreme - Romagna - Bicicletta & Politica, 2 maggio 2014 link
Comune di Imola, Biblioteca Comunale di Imola. Pedalata dei ciclisti rossi a favore della propaganda socialista. link
Federazione Giovanile Comunisti Italiani - Sezione "John Reed" Imola link
Formazioni di difesa proletaria, Wikipedia link
I ciclisti rossi link
Museum der Arbeit - Das Fahrrad link
Partito Socialista Italiano di Ravenna e della Romagna link
Storia e Memoria di Bologna - Ottavio Zanelli link
UDI - Io vado ... come una staffetta link
Ringraziamo cortesemente
Andrea Gaddini ,autore di questa importante pubblicazione
per averci autorizzato a diffonderla, sappiamo che strada facendo continuerà ad
aggiornarla .
Il link del testo originale con foto storiche lo
trovate cliccando :
Nota
aggiuntiva di Resistencia Siempre :
Negli ultimi 5 anni tra
le numerose iniziative antagoniste internazionaliste realizzate in Alta Maremma
Toscana ne troviamo due ciclistiche (a
loro modo per le tematiche antimperialiste e pacifiste che trattavano, anche se
si vive in tempi diversi e con stili di vita diversi,potrebbero essere
considerate rosse: la prima si svolse in territorio cubano nel novembre 2012 in collaborazione
con le autorità dell’isola, si trattava di un percorso a 6 tappe, che, partì dalla
casa dei Cinque di Maria Orquidea a Cienfuegos e arrivò a Holguin in occasione
dei lavori dell’ VIII colloquio mondiale contro il terrorismo e per la libertà
per 5 Eroi cubani, allora rinchiusi ingiustamente da anni nelle carceri dell’impero
USA ( furono liberati da Obama il 17 dicembre 2014 ), la seconda fu
nell'ottobre - Novembre 2015, l'iniziativa si chiamò da "Camp Derby a
Guantanamo chiudere tutte le basi militari ), il tour partì’ dalla base
militare USA di Camp Derby - Pisa, e in 3 tappe arrivò a Roma al Pantheon, dove ad attendere il
gruppo di ciclisti era stato ben organizzato un sit in pacifista, …
successivamente da Roma parte dei ciclisti volò per Cuba, dove l’ICAP
(istituto cubano di amicizia tra i popoli) aveva preparato le basi per il “El
recorrido” interno, che prese il via dal
mausoleo del Comandante Ernesto Che Guevara a Santa Clara, la partenza con
staffetta della polizia, TV nazionale e stampa avvenne solo dopo aver deposto una corona di fiori ,scritto un pensiero comune e firmato uno per uno nel
libro d'onore del CHE. … In 6 tappe i ciclisti arrivarono a Guantanamo dove
furono accolti calorosamente da delegati di tutto il Mondo presenti alla manifestazione
internazionale pacifista dedicata alla chiusura delle basi militari straniere, a Guantanamo
come nel resto del pianeta l'organizzazione era del MOVPAZ ( movimento mondiale per la
pace che era rappresentato dalla presidentessa in persona).
In basso ci
sono link inerenti alle iniziative ciclistiche antagoniste citate del 2012 e
2015, che spiegano chi organizzò e chi aderì a tali manifestazioni.
Nel 2018 ciclisti maremmani parteciparono alla campagna internazionale
lanciata dal BDS (Boycott Israel) contro il vergognoso passaggio della
carovana del giro ciclistico d’Italia in terra di Israele , Paese che viola i più elementari diritti umani
del popolo Palestinese, un popolo espropriato della propria terra,
delle proprie case , che tutti i giorni subisce violenze e crimini di ogni
sorta, crimini che guarda caso ricordano quello che il nazismo fece subire agli
ebrei……. I Ciclisti in foto indossando la
maglietta “CAMBIAGIRO” da piazza Istria a Follonica arrivarono ad un convegno internazionalista
a Grosseto
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