giovedì 22 febbraio 2018

Sabotaggio alla democrazia in Venezuela/ Sabotaje a la democracia en Venezuela- Atilio Boron


Dando ancora una volta compimento alla propria funesta missione, gli Stati Uniti hanno appena sabotato un accordo laboriosamente raggiunto tra il governo e l'opposizione.

Era nei dialoghi di Santo Domingo. La lettera che è stata pubblicata in data 7 febbraio dall'ex presidente del governo spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, ha rivelato la sua sorpresa e - in modo più sottile, la sua indignazione - per la dimissione "inattesa" da parte dei rappresentanti dell'opposizione a firmare l'accordo quando tutto era pronto per la cerimonia del protocollo durante la quale sarebbe stata annunciata pubblicamente la buona nuova. Come rivelato nella lettera RZ dice che dopo due anni di dialoghi e discussioni si è raggiunto un accordo per dare il via a "un processo elettorale con garanzie e consenso sulla data delle elezioni, sulla posizione in merito alle sanzioni contro il Venezuela, sulle condizioni della Commissione di Verità, sulla cooperazione di fronte alle sfide sociali ed economiche, sul compromesso per una normalizzazione istituzionale e le garanzie per il rispetto dell'accordo e sull'impegno per un funzionamento e uno sviluppo pienamente normalizzato della politica democratica". (Https://www.aporrea.org/oposicion/n320777.html)

Questo accordo, se fosse stato firmato dall'opposizione, avrebbe posto fine alla crisi politica che, con le sue ripercussioni economiche e sociali, aveva scatenato una delle più gravi crisi del Venezuela nella sua storia. Sarebbe stato anche un gigantesco passo verso la normalizzazione di una situazione regionale sempre più accentuata dalle risonanze del conflitto venezuelano. Il pretesto sorprendentemente utilizzato dall'imbarazzata opposizione è stato la rinnovata esigenza che le elezioni presidenziali fossero monitorate dal Grupo de Lima, una coalizione di paesi (Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico , Panama, Paraguay, Perù, Santa Lucia) i cui governi competono per vedere chi mostra il più grande servilismo quando si tratta di obbedire agli ordini emessi dalla Casa Bianca di attaccare il Venezuela. Il Grupo de Lima non è un'istituzione come UNASUR, l'OAS o altre simili.

Il documento prodotto nella Repubblica Dominicana ha messo nelle mani del Segretariato generale delle Nazioni Unite l'organizzazione delle elezioni presidenziali, un'istituzione infinitamente più seria e prestigiosa che il Grupo de Lima, dove abbondano narcopresidenti, golpisti benedetti dagli Stati Uniti come i leader di Brasile e Honduras, governi come il Messico che hanno fatto dei brogli elettorali un'arte di efficienza incomparabile o il Cile, il cui più grande successo democratico è quello di aver deluso così tanto il suo popolo che meno della metà degli elettori è andato alle urne alle ultime elezioni presidenziali. Tuttavia, l'esigenza che questo gruppo indecoroso di governi fosse stato responsabile di garantire "la trasparenza e l'onestà" delle elezioni presidenziali in Venezuela è stata il pretesto utilizzato per boicottare un accordo che tanto lavoro era costato per essere raggiunto.

Come spiegare questo improvviso e inaspettato cambiamento nell'opinione dell'opposizione venezuelana?

Per rispondere a questa domanda bisogna andare a Washington. Come era prevedibile per la Casa Bianca, l'unica soluzione accettabile era la destituzione di Nicolás Maduro e un "cambio di regime", anche se questa opzione avrebbe comportato il pericolo di una guerra civile e di enormi costi umani ed economici. In altre parole, il modello è la Libia o l'Iraq e in nessun modo un patto di transizione tra il governo e l'opposizione, o anche meno, accetterebbe la sopravvivenza del governo bolivariano in cambio di alcuni gesti di moderazione da parte di Caracas. Dal punto di vista geopolitico che testimonia tutte le azioni della Casa Bianca, nessun scrupolo morale può interferire con il progetto di sottomettere il Venezuela al giogo statunitense, afferma l'ossessione malsana dell'impero di trasformare in un protettorato nordamericano un paese che ha le maggiori riserve di petrolio del pianeta e un territorio dotato di immense risorse naturali.

Per i falchi di Washington qualunque opzione diversa da questa è intollerabile e se i politici dell'opposizione venezuelana credevano che questi negoziati sarebbero stati, se non garantiti, almeno tollerati dalla Casa Bianca, cadono in un'infantile illusione. E' un'illusione credere che agli Stati Uniti importi la democrazia o quella che chiamano "crisi umanitaria" o lo stato di diritto in Venezuela. Per l'impero queste domande sono completamente irrilevanti quando si tratta della stragrande maggioranza dei "paesi di merda" che costituiscono la periferia del sistema capitalista mondiale. Per questo non è stato un caso che l'ordine di astenersi dal firmare accordi coincida con la visita di Rex Tillerson in Colombia e che sia stato il Presidente Juan M. Santos ad avere il compito di trasmettere il dictat imperiale ai rappresentanti dell'opposizione riuniti a Santo Domingo.

Come continuerà questa storia?

Washington sta stringendo la corda per rendere inevitabile una "soluzione militare" in Venezuela. Ecco perché Tillerson ha girato 5 paesi dell'America Latina e dei Caraibi, nel tentativo di coordinare a livello continentale le azioni di quello che potrebbe essere l'inizio dell'assalto finale contro la patria di Bolivar e Chávez. Il Comando Sur sta arruolando personale dell'Aviazione statunitense a Panama senza altro scopo credibile che attaccare il Venezuela. Nel frattempo, l'offensiva diplomatica e dei media si sta diffondendo in tutto il mondo. Il Parlamento europeo ha dato nuovi esempi del suo processo di putrefazione e raddoppia le sanzioni contro il Venezuela, mentre i servitori latinoamericani e caraibici di Washington sono vergognosamente piegati all'aggressione. L'8 febbraio, il governo cileno ha annunciato la sospensione indefinita della sua partecipazione al dialogo venezuelano perché, secondo La Moneda, "non sono state concordate condizioni minime per un'elezione presidenziale democratica e una normalizzazione istituzionale".

Sembrerebbe che, come disse una volta José Martí, in Venezuela "E' l'ora dei forni e non si vedrà altro che luce".



Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Sabotaje a la democracia en Venezuela-

Dando una vez más cumplimiento a su funesta misión EEUU acaba de sabotear un acuerdo laboriosamente alcanzado entre el gobierno y la oposición


Fue en los diálogos de Santo Domingo. La carta que el 7 de Febrero hizo pública el ex presidente del gobierno español José Luis Rodríguez Zapatero revela su sorpresa -y, de modo más sutil, su indignación- ante la "inesperada" renuncia por parte de los representantes de la oposición a suscribir el acuerdo cuando estaba todo listo para la ceremonia protocolar en la cual se anunciaría públicamente la buena nueva . Como revela en dicha carta RZ dice que luego de dos años de diálogos y discusiones se había llegado a un acuerdo para poner en marcha "un proceso electoral con garantías y consenso en la fecha de los comicios, la posición sobre las sanciones contra Venezuela, las condiciones de la Comisión de la Verdad, la cooperación ante los desafíos sociales y económicos, el compromiso por una normalización institucional y las garantías para el cumplimiento del acuerdo, y el compromiso para un funcionamiento y desarrollo plenamente normalizado de la política democrática." (https://www.aporrea.org/oposicion/n320777.html)


Este acuerdo, de haber sido firmado por la oposición, ponía fin a la crisis política que, con sus repercusiones económicas y sociales, había desatado una de las más graves crisis de Venezuela en su historia. Era también un paso gigantesco hacia la normalización de una situación regional cada vez más crispada por las resonancias del conflicto venezolano. El pretexto sorpresivamente utilizado por la avergonzada oposición fue la renovada exigencia de que las elecciones presidenciales fuesen monitoreadas por el Grupo de Lima, una colección de países (Argentina, Brasil, Canadá, Chile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guayana, Honduras, México, Panamá, Paraguay, Perú, Santa Lucía) cuyos gobiernos compiten para ver quien hace gala del mayor servilismo a la hora de obedecer las órdenes emitidas por la Casa Blanca para atacar a Venezuela. El Grupo de Lima no es una institución como la UNASUR, la OEA u otras por el estilo


El documento elaborado en la República Dominicana ponía en manos de la Secretaría General de la ONU organizar la fiscalización del comicio presidencial, una institución infinitamente más seria y prestigiada que el Grupo limeño en donde abundan los narcopresidentes, los golpistas bendecidos por EEUU como los mandatarios de Brasil y Honduras, gobiernos como el de México que hicieron del fraude electoral un arte de incomparable eficacia, o el de Chile, cuyo mayor logro democrático es haber decepcionado tanto a su pueblo que menos de la mitad del electorado concurrió a votar en las últimas elecciones presidenciales. Sin embargo, la exigencia de que este impresentable grupo de gobiernos fuese el encargado de garantizar la "transparencia y honestidad" de las elecciones presidenciales en Venezuela fue el pretexto utilizado para boicotear un acuerdo que tanto trabajo había costado sellar.


¿Cómo explicar este súbito e inesperado cambio en la opinión de la oposición venezolana?


Para responder a esta interrogante hay que viajar a Washington. Tal como era previsible para la Casa Blanca la única solución aceptable pasa por la destitución de Nicolás Maduro y un "cambio de régimen", aún si esta opción entraña el peligro de una guerra civil e ingentes costos humanos y económicos. En otras palabras, el modelo es Libia, o Irak, y de ninguna manera una transición pactada entre el gobierno y la oposición, o menos todavía, aceptar la supervivencia del gobierno bolivariano a cambio de algunos gestos de moderación por parte de Caracas. Desde la perspectiva geopolítica que informa todas las acciones de la Casa Blanca ningún escrúpulo moral puede interferir en el proyecto de someter Venezuela al yugo estadounidense, esa enfermiza obsesión del imperio para convertir en un protectorado norteamericano a un país que cuenta con las mayores reservas petroleras del planeta y un territorio dotado de inmensos recursos naturales.


Para los halcones de Washington cualquier opción distinta a esa es pura sensiblería, y si los políticos de la oposición venezolana creyeron que estas negociaciones serían si no avaladas al menos toleradas por la Casa Blanca cayeron en una infantil ilusión: creer que a EEUU le importa la democracia, o lo que ellos llaman "crisis humanitaria", o la vigencia del Estado de Derecho en Venezuela. Al imperio estas cuestiones le son completamente irrelevantes cuando se habla de la inmensa mayoría de los "países de mierda" que constituyen la periferia del sistema capitalista mundial. Por eso no fue casual que la orden de abstenerse de firmar los acuerdos coincidiera con la visita de Rex Tillerson a Colombia, y que fuese el presidente Juan M. Santos quien tuviera la deshonrosa tarea de transmitir el úkase imperial a los representantes de la oposición reunidos en Santo Domingo.


¿Cómo seguirá esta historia?


Washington está tensando la cuerda para tornar inevitable una "solución militar" en Venezuela. Fue por eso que Tillerson recorrió 5 países latinoamericanos y caribeños, en un esfuerzo para coordinar a nivel continental las acciones de lo que bien podría ser el comienzo de un asalto final contra la patria de Bolívar y Chávez. El Comando Sur está alistando personal de la Fuerza Aérea de EEUU en Panamá sin otro verosímil propósito que el de atacar a Venezuela. Mientras, la ofensiva diplomática y mediática se extiende por todo el mundo. El Parlamento Europeo ha dado nuevas muestras de su proceso de putrefacción y redobla las sanciones contra Venezuela, al paso que los sirvientes latinoamericanos y caribeños de Washington se pliegan oprobiosamente a la agresión. Este 8 de Febrero el gobierno de Chile anunció la suspensión de manera indefinida de su participación en el diálogo venezolano porque, según La Moneda, "no se han acordado condiciones mínimas para una elección presidencial democrática y una normalización institucional."


Parece que, como una vez dijera José Martí, en Venezuela está llegando "la hora de los hornos y no se ha de ver más que la luz."


La Haine




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