domenica 8 dicembre 2013

Venezuela :Un ministro al servizio della pace

      Intervista al ministro Rodriguez Torres fatta da Geraldina Colotti e pubblicata in "il Manifesto"  

 
         

Un ministro al servizio della pace

Vene­zuela in fer­mento per le misure con­tro la «guerra eco­no­mica» adot­tate dal pre­si­dente Nico­las Maduro e per le ele­zioni comu­nali di dome­nica, che l’opposizione vuole tra­sfor­mare in un ple­bi­scito con­tro il cha­vi­smo. A Cara­cas, abbiamo incon­trato Miguel Rodri­guez Tor­res, mini­stro degli Interni, giu­sti­zia e pace e mas­simo diri­gente dell’intelligence vene­zue­lana. Tor­res, 49 anni, cha­vi­sta della prima ora, ha accet­tato l’intervista all’uscita dall’aula par­la­men­tare in cui si è appro­vato (tra le pro­te­ste dell’opposizione) il Plan della patria, il piano di governo, ideato da Hugo Chá­vez. Cin­que assi stra­te­gici basati su un nuovo modello pro­dut­tivo che cerca di coniu­gare petro­lio e ambien­ta­li­smo, pro­prietà sta­tale, pri­vata e auto­ge­stita, e punta alla costru­zione di uno stato comu­nale. Tor­res è l’espressione di governo di quell’alleanza civico-militare che ha soste­nuto il defunto pre­si­dente Chá­vez e che con­ti­nua a fun­zio­nare con Maduro. All’insegna del «Socia­li­smo del secolo XXI».

Mili­tare, agente segreto, mini­stro degli Interni. Un’immagine che stride nell’immaginario di molti, a sini­stra, anche in Ame­rica latina. Qual è stato il suo percorso?
Vengo dalle Forze armate, sono Mag­giore gene­rale dell’esercito, mi sono for­mato all’Accademia mili­tare tra l’80 e l’84. Nell’85 ho comin­ciato l’attività di cospi­ra­tore con­tro la Quarta repub­blica, ero nella bri­gata di para­ca­du­ti­smo agli ordini del coman­dante Urda­neta Fer­nan­dez, fon­da­tore del Movi­mento boli­va­riano rivo­lu­zio­na­rio Mbr200 dello stato Zulia. Allora c’erano due tipo­lo­gie di cospi­ra­tori, l’Mbr200 e i movi­menti di resi­stenza popo­lare della sini­stra, legati alla guer­ri­glia degli anni ’60 e ’70. Ci siamo uniti. Nell’Mbr200 ho par­te­ci­pato alla ribel­lione mili­tare del 4 feb­braio ’92 insieme al coman­dante Chá­vez. Ero capi­tano e mi sono occu­pato dell’operazione sulla Casona, la resi­denza pre­si­den­ziale. La ribel­lione è fal­lita e sono andato in car­cere per due anni e un mese. Al Cuar­tel San Carlo, dove poi ci hanno rag­giunto anche altri gruppi arre­stati nel secondo ten­ta­tivo del 27 novem­bre, mi sono messo a stu­diare: il mar­xi­smo e i padri dell’indipendenza, Simon Boli­var e soprat­tutto il suo mae­stro, Simon Rodri­guez. A 28 anni, avevo una for­ma­zione mili­tare, ma nes­suna base teo­rica per tra­sfor­mare in poli­tica la mia inquie­tu­dine, la ribel­lione matu­rata dopo la rivolta popo­lare dell’89, il cara­cazo. Allora l’esercito aveva spa­rato sulla folla, pro­vo­cando migliaia di morti. Quando mio fra­tello mag­giore, un mar­xi­sta, mi ha chie­sto cosa voles­simo fare con la pro­prietà pri­vata se fos­simo andati al potere, non sapevo rispon­dere. A quel tempo siamo stati ripe­tu­ta­mente avvi­ci­nati da gruppi di estrema destra, con­vinti che voles­simo seguire il modello cileno, ma li abbiamo respinti. Poi Rafael Cal­dera vinse le ele­zioni e pro­pose un pro­cesso di paci­fi­ca­zione: se aves­simo rinun­ciato all’esercito, saremmo usciti dal car­cere. Accet­ta­rono in molti, io e altri no. Comin­ciò una trat­ta­tiva. Alla fine rein­te­grai l’esercito, ma comin­cia­rono le per­se­cu­zioni: tra­sfe­ri­menti con­ti­nui, arre­sti e inter­ro­ga­tori prima di ogni evento poli­tico. Senza garan­zia e rispetto per i diritti umani. Chá­vez decise di lasciare la divisa per poter fare poli­tica aper­ta­mente, per­ché ai mili­tari era proi­bito. Mi chiese di accom­pa­gnarlo, ma io pen­savo aves­simo biso­gno di una dop­pia rivo­lu­zione, dal basso e dall’alto, per­ché non ave­vamo le forze per farne una di tipo tra­di­zio­nale. Gli ho detto: Coman­dante, col cari­sma e la dia­let­tica che ha, lei vin­cerà le ele­zioni. Si è scher­mito, ma è andata così, con­tro tutti i pro­no­stici. Dopo la vit­to­ria del ‘98, mi ha chia­mato a diri­gere la Disip, diven­tata Ser­vi­cio Boli­va­riano de Inte­li­gen­cia. E oggi sono anche Mini­stro degli Interni, Giu­sti­zia e Pace. L’esperienza poli­tica me la sono for­mata prima nei Comi­tati boli­va­riani, nuclei di 8–10 per­sone pre­senti di tutti i quar­tieri con i quali man­te­ne­vamo i con­tatti dalla pri­gione, poi con i Cir­coli boli­va­riani che il pre­si­dente Chá­vez mi ha chia­mato a coor­di­nare nel 2001, agli ordini di Dio­sdado Cabello. Pec­cato che abbiamo ceduto al ricatto della destra e alla demo­niz­za­zione dei cir­coli e li abbiamo sciolti. A loro dob­biamo parte della vit­to­ria sul golpe dell’aprile 2002.

La Disip evoca ter­rore, tor­ture e spa­ri­zioni, vi ha ope­rato anche l’anticastrista cubano Posada Car­ri­les. Cos’è cambiato?
La Disip sorge quando comin­cia la lotta con­tro la guer­ri­glia in Vene­zuela. Era un ibrido di intel­li­gence e poli­zia al di sopra della legge in cui imper­ver­sa­rono per­so­naggi come Orlando Bosch e Posada Car­ri­les. Tutto quel che la Cia e il Mos­sad vole­vano fare in Cen­troa­me­rica pas­sava per la Disip. Quando andammo al governo, sco­primmo però che il feno­meno Chá­vez aveva fatto brec­cia anche su alcuni fun­zio­nari che si erano tenuti a distanza da quel ter­rore e ci appog­gia­vano. Ci è costato molto inver­tire la ten­denza, allon­ta­nare quell’ombra nefa­sta, ma abbiamo fatto puli­zia, man­dando pro­gres­si­va­mente in pen­sione quel per­so­nale e for­man­done un altro basato sulla pre­ven­zione, la tec­nica – per­ché tutti gli stati devono pro­teg­gersi – e i diritti umani. Per costruire un modello nostro, pren­diamo il buono un po’ dap­per­tutto, dai russi, dai cubani… Fac­ciamo parte del Foro di intel­li­gence ibe­roa­me­ri­cano ma lì sono osses­sio­nati dal tema del ter­ro­ri­smo isla­mico, dall’Eta, ecce­tera. Noi agiamo sulle cause, e abbiamo il pro­blema del ter­ro­ri­smo di estrema destra, ma da quell’orecchio il Forum non ci sente. Così abbiamo creato Fialba, Forum d’intelligence dell’Alba, l’Alleanza boli­va­riana per i popoli della nostra Ame­rica: per creare mec­ca­ni­smi comuni di pre­ven­zione, per esem­pio con­tro attac­chi finan­ziari alla moneta alter­na­tiva, il Sucre, che fun­ziona nell’Alba. Quello che spa­venta i paesi capi­ta­li­sti non è la nostra forza mili­tare, ma quella di un modello alternativo.

Con la pro­prietà pri­vata com’è andata? Cos’è per lei il Socia­li­smo del XXI secolo?

Il Vene­zuela non è un’isola come non lo è nes­sun paese oggi. La glo­ba­liz­za­zione non è né un bene né un male, è una realtà. Il socia­li­smo che vogliamo costruire, il cam­mino che stiamo aprendo deve tenerne conto e al con­tempo avan­zare con i pro­pri prin­cipi fin­ché il socia­li­smo non rie­sce a esten­dersi a un arco di paesi che abbiano la forza di scon­trarsi fron­tal­mente col capi­ta­li­smo. Per que­sto la nostra costi­tu­zione ha una fles­si­bi­lità nel campo dell’economia che con­sente l’esistenza della pro­prietà pri­vata ma pro­muove anche altri modelli di pro­prietà sociale e col­let­tiva. Sul piano inter­na­zio­nale, lavo­riamo alla for­ma­zione di un mondo mul­ti­po­lare basato su rela­zioni soli­dali e pari­ta­rie, con l’Alba, il Mer­co­sur, Una­sur, la Celac. In campo sociale, por­tiamo avanti una lotta senza quar­tiere alla povertà e all’esclusione. In quello poli­tico, pro­muo­viamo la mas­sima par­te­ci­pa­zione del popolo, per­ché sia sog­getto delle pro­prie deci­sioni ed eser­citi il suo ruolo poli­tico. Oggi abbiamo pre­sen­tato il Plan della Patria, che defi­ni­sce que­sto socia­li­smo. La dif­fe­renza più pro­fonda della nostra rivo­lu­zione con quelle del pas­sato è la scelta di usare gli stessi stru­menti della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva che inten­diamo tra­sfor­mare. Dopo 14 anni e la ven­te­sima ele­zione, il cam­mino è ancora lento, com­pli­cato e rischioso. Ma se sap­piamo lavo­rare bene dando sem­pre più potere e orga­niz­za­zione al popolo e ren­den­dolo cosciente di essere il sog­getto della sua tra­sfor­ma­zione, il cam­bia­mento sarà pro­fondo e dura­turo. Tut­ta­via, non dimen­ti­chiamo le lezioni della sto­ria, e se la destra ci obbliga a pren­dere un’altra strada, non ci faremo sorprendere.

L’opposizione pensa di disco­no­scere anche que­ste ele­zioni e si pre­para a un refe­ren­dum revo­ca­to­rio del pre­si­dente. Quali sono i rischi?
Pur­troppo l’opposizione è diretta da un gruppo come Pri­mero Justi­cia che ha radici fasci­ste, pro­viene da un’organizzazione che si chia­mava Tra­di­zione fami­glia e pro­prietà, con tanto di sva­sti­che e con­torni. Hanno il con­trollo sulle altre forze della Mud come Ad o Copei. Non c’è dia­logo, dob­biamo con­qui­stare un’egemonia su quella parte di popolo che li appog­gia. Il giorno delle pre­si­den­ziali, il 14 aprile, all’approssimarsi dei risul­tati, con il con­senso di Maduro mi sono riu­nito con 2 alti diri­genti dell’opposizione. Ho chie­sto loro di rispet­tare il patto pro­po­sto dal pre­si­dente: rico­no­scere il risul­tato, anche solo per un voto, qua­lun­que fosse il vin­ci­tore. Ma quando hanno visto che ave­vamo vinto noi, hanno abban­do­nato il tavolo, inne­scando le vio­lenze post elet­to­rali. Pen­sa­vano che Maduro cadesse subito, poi hanno visto che così non è hanno rico­min­ciato con i com­plotti, isti­gati dall’esterno come avve­niva con Chá­vez. Nel 2004, abbiamo arre­stato 150 para­mi­li­tari colom­biani venuti a ucci­derlo. Oggi sono in car­cere tre sicari venuti dalla Colom­bia per Maduro. E Leo­poldo Lopez, un lea­der di Volun­tad popu­lar che ha vio­lato tutte le leggi durante il golpe del 2002 insieme a Enri­que Capri­les, ha pro­messo fuoco fumo e piombo anche per l’8 dicembre.

 
“Hay hombres que hasta después de muertos dan luz de aurora”  José Martí

¡Chávez VIVE, la lucha SIGUE!
¡Viva el pueblo de Chávez!
¡Vivan los hermanos CUBANOS!

¡Viva la REVOLUCIÓN!

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