giovedì 27 settembre 2012

Penoso: gli USA vietano l'imbarco a viaggiatori dalla Spagna verso Cuba, Messico e Canada-Penoso: EE.UU. veta a viajeros desde España hacia Cuba, México y Canadá

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Siete di Sinistra? siete Comunisti?..anche se dovrete sorvolare lo spazio aereo USA per qualche secondo, loro si arrogano il diritto di non farvi  partire.... Gli USA è veramente uno Stato governato da  criminali !!!!  (Sandino)

Penoso: gli USA vietano l'imbarco a viaggiatori dalla Spagna verso Cuba, Messico e Canada
25 settembre 2012 - www.cubadebate.cu
Hernando Calvo Ospina, giornalista colombiano di 51 anni, collaboratore di Le Monde Diplomatique e residente da 25 anni a Parigi, è rimasto a terra, il 6 maggio scorso, all'aeroporto di Madrid-Barajas, perché un funzionario dell'ambasciata USA gli ha impedito di imbarcarsi per un paese terzo: Cuba. Un volo diretto a L'Avana non faceva scalo negli Stati Uniti. Egli racconta: "Mi ha chiesto il mio passaporto e mi ha detto che non potevo salire sull'aereo perché la rotta sorvolava, per alcuni minuti, lo spazio aereo statunitense ed io ero su una lista di persone che possono attentare contro gli Stati Uniti. Avevo fatto lo stesso volo lo scorso ottobre e non era successo nulla".
Gli Stati Uniti e la Commissione Europea hanno firmato, lo scorso dicembre, un accordo - approvato in aprile dal Parlamento Europeo - che impone alle compagnie aeree europee a fornire al Dipartimento di Sicurezza Nazionale USA i dati dei passeggeri, ma solo di voli da e per gli Stati Uniti. L'accordo, noto come PNR (registrazione dati dei passeggeri) non sarebbe applicabile, quindi, al caso di specie. Che cosa succede allora? Le autorità statunitensi, da marzo, esigono unilateralmente da tutte le compagnie aeree europee, attraverso il Secure flight overflight, che inviino prima del decollo il nome, la data di nascita e il sesso dei passeggeri degli aerei che sorvolano lo spazio degli Stati Uniti.
Le ragioni addotte dagli USA sono di sicurezza: la possibilità che uno dei passeggeri dirotti l'aereo e cambi rotta. Quindi, quelli che sono nella loro lista di indesiderabili non volano, benché non vadano a pestar il suolo USA. Le compagnie aeree sono l'obbligate a porre nel corrispondente sistema informatico i dati degli utenti di queste rotte (se non lo fanno, non possono volare), e Washington blocca direttamente l'emissione delle carte d'imbarco di coloro che compaiono nelle sue liste.
Quando questo accade, la compagnia aerea non può fare altro che chiamare i funzionari USA, che sono autorizzati ad operare negli aeroporti spagnoli in virtù di un accordo firmato nel 2009 tra gli Stati Uniti e il Ministero dell'Interno. Gli statunitensi possono interrogare il passeggero e, infine, decidere se si può volare. Inoltre, tenendo Washington in suo potere, da marzo, i dati dei viaggiatori verso i paesi terzi, possono conoscere, per esempio, quante volte una persona ha viaggiato a L'Avana e con chi.
Quante persone colpisce questa politica degli Stati Uniti? In Spagna, migliaia di passeggeri con tre destinazioni: Cuba, Messico e Canada. Coinvolge due società spagnole (Air Europa e Iberia) e due compagnie aeree straniere che operano con voli dalla Spagna (Aeromexico e Air Transat). Al momento dell'acquisto di biglietti a Toronto, Montreal, Messico D. F. o L'Avana, l'ultima cosa che i passeggeri possono immaginare è che i loro dati saranno trasferiti negli Stati Uniti. Tuttavia, nessuna delle quattro società informa debitamente. Iberia - con diversi voli settimanali per Cuba e Messico - Air Europe - con sei o sette voli settimanali a L'Avana - e Aeromexico non lo fanno. Le prime due assicurano El Pais che inizieranno a farlo a breve. Air Transat è l'unico che avvisa, ma ai margini dell'informazione ai viaggiatori del suo sito web, non al momento dell'acquisto del biglietto.
"La mancanza di informazioni è una chiara violazione della legge sulla protezione dei dati e l'utente potrebbe reclamare", ha dichiarato Ruben Sanchez, dell'associazione dei consumatori FACUA. "La cessione di dati deve essere comunicata. Tutta la faccenda è eccessiva e una misura sproporzionata degli Stati Uniti". L'Organizzazione dei Consumatori e degli Utenti (OCU) ha convenuto che i passeggeri hanno il diritto di sapere che i loro dati saranno consegnati ad un altro paese.
IU ha registrato al Congresso, in maggio, una domanda al governo su questo tema. L'Esecutivo ha risposto che queste azioni sono "coperte" nel l'accordo tra gli Stati Uniti e l'UE approvato in aprile. Ma il detto patto non fa allusione al sorvolo dello spazio aereo. Il suo secondo articolo lo dice chiaramente: l'accordo si applicherà "a vettori che effettuano voli passeggeri tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti" e a "società che incorporano o memorizzare dati nella UE e effettuano voli passeggeri in partenza o in arrivo negli Stati Uniti". Un portavoce della Commissione Europea ha confermato che i sorvoli non sono inclusi in questo accordo, riferisce Luis Doncel.
L'Agenzia Spagnola per la Protezione dei Dati si dice "molto preoccupata" per la situazione. "Su quale norma europea si basa una società spagnola per cedere questi dati? Quali sono le garanzie in materia di trattamento di questi dati? Non c'é quadro giuridico europeo che copra questa pratica", avverte un portavoce per l'area internazionale.
L'agenzia ha discusso la questione con le sue omologhe degli altri paesi dell'UE. "Abbiamo trasmesso le informazioni alla Commissione Europea. Ora sono loro che devono agire. Si tratta di una situazione atipica. Inoltre, mettono in una situazione difficile le compagnie aeree. Fanno ogni sforzo per rispettare gli Stati Uniti, perché se no non volano, ma possono entrare in conflitto con la legislazione sulla protezione dei dati". Dalla Commissione Europea non si é risposto a El Pais sull'opportunità di intraprendere qualche misura.
Le aziende stesse sembrano aerei dubbi su quando comunicare i dati. Iberia assicura che li fornisce solo sui suoi voli per il Messico, ma non nella tratta Madrid-Avana, perché questa rotta non è inclusa nella lista dei collegamenti in questione che gli Stati Uniti le ha inviato. Air Europe dice il contrario: che questo volo è incluso, che è obbligata a consegnare i dati contro pena di pesanti multe.
Hernando Calvo non è riuscito a prendere un volo che aveva già pagato e che gli è costato 744 €. Quindi ha reclamato a Air Europa che rimborsasse tale importo. La compagnia aerea ha risposto che non se ne fa carico "perché è dovere di tutti i passeggeri portare con sé la documentazione necessaria e metterla a disposizione delle autorità". Calvo la portava: il suo passaporto era in regola e non ha bisogno di nulla più per volare a Cuba.
(Con informazioni di El Pais)
Penoso: EE.UU. veta a viajeros desde España hacia Cuba, México y Canadá
iberia-1Hernando Calvo Ospina, periodista colombiano de 51 años, colaborador de Le Monde Diplomatique y residente desde hace 25 en París, se quedó el pasado 6 de mayo en tierra, en el aeropuerto de Madrid-Barajas, porque un funcionario de la Embajada estadounidense le impidió embarcar a un tercer país: Cuba. Un vuelo directo a La Habana que no hacía escala en Estados Unidos. Él lo cuenta así: “Me pidió mi pasaporte y me dijo que no podía subir al avión porque la ruta sobrevolaba durante unos minutos el espacio aéreo estadounidense y yo estaba en una lista de personas que pueden atentar contra EE UU. Yo había hecho ese mismo vuelo el octubre anterior y no me había pasado nada”.
EE UU y la Comisión Europea firmaron el pasado diciembre un acuerdo -aprobado en abril por el Parlamento Europeo- que obliga a las compañías aéreas europeas a suministrar al Departamento de Seguridad del Territorio Nacional estadounidense datos de pasajeros, pero solo de vuelos con origen o destino en EE UU. El acuerdo, conocido como PNR (de registro de datos de pasajeros) no sería aplicable, por tanto, a este caso. ¿Qué ocurre entonces? Las autoridades norteamericanas exigen unilateralmente desde marzo a todas las aerolíneas europeas, a través del programa Secure flight overflight, que envíen antes del despegue el nombre, la fecha de nacimiento y el sexo de los pasajeros de aviones que sobrevuelen el espacio de Estados Unidos.
Las razones que alega EE UU son de seguridad: la posibilidad de que uno de los viajeros secuestre el avión y cambie la ruta. Por eso, los que están en su lista de indeseables no vuelan aunque no vayan a pisar suelo estadounidense. Las líneas aéreas están obligadas a meter en el sistema informático correspondiente los datos de los usuarios de estas rutas (si no lo hacen, no pueden volar), y Washington bloquea directamente la emisión de tarjetas de embarque de los que aparecen en sus listas.
Cuando esto sucede, la aerolínea no puede hacer nada más que llamar a los funcionarios estadounidenses, a los que se permite operar en aeropuertos españoles en virtud de un acuerdo firmado en 2009 entre EE UU y el Ministerio del Interior. Los norteamericanos pueden interrogar al pasajero y son quienes deciden si finalmente puede volar. Además, al tener Washington en su poder desde marzo los datos de viajeros a terceros países, puede conocer, por ejemplo, cuántas veces ha viajado una persona a La Habana y con quién.
¿A cuánta gente afecta esta política estadounidense? En España, a miles de pasajeros con tres destinos: Cuba, México y Canadá. Implica a dos compañías españolas (Air Europa e Iberia) y a dos aerolíneas extranjeras que operan vuelos desde España (Aeroméxico, y Air Transat). Cuando se compran billetes a Toronto, Montreal, México D. F. o La Habana, lo último que puede imaginar el pasajero es que sus datos van a ser cedidos a EE UU. A pesar de ello, ninguna de las cuatro compañías informa debidamente. Iberia -con varios vuelos semanales a Cuba y a México-, Air Europa -con seis o siete vuelos semanales a La Habana- y Aeroméxico no lo hacen. Las dos primeras aseguraron a EL PAÍS que van a empezar a hacerlo en breve. Air Transat es la única que avisa, pero en la pestaña de información para viajeros de su web, no en el momento de comprar el billete.
La falta de información supone una vulneración evidente de la ley de protección de datos y el usuario podría reclamar”, señala Rubén Sánchez, de la asociación de consumidores Facua. “La cesión de datos debe ser comunicada. Todo el asunto es un exceso y una medida desproporcionada de EE UU”. La Organización de Consumidores y Usuarios (OCU) coincide en que los pasajeros tienen derecho a conocer que sus datos van a ser entregados a otro país.
IU registró en el Congreso en mayo una pregunta al Gobierno sobre este asunto. El Ejecutivo respondió que esas actuaciones “se amparan” en el acuerdo entre EE UU y la UE aprobado en abril. Pero dicho pacto no hace alusión al sobrevuelo del espacio aéreo. Su artículo segundo lo deja claro: el acuerdo se aplicará “a compañías que operen vuelos de pasajeros entre la UE y los EE UU” y a “compañías que incorporen o almacenen datos en la UE y que operen vuelos de pasajeros con origen o destino en EE UU”. Un portavoz de la Comisión Europea confirma que los sobrevuelos no están incluidos en el acuerdo, informa Luis Doncel.
La Agencia Española de Protección de Datos dice estar “muy preocupada” por esta situación. “¿En qué norma europea se basa una compañía española para ceder estos datos? ¿Cuáles son las garantías en cuanto al tratamiento de estos datos? No hay marco legal europeo que ampare esta práctica”, advierte un portavoz de su área internacional.
La agencia ha tratado la cuestión con sus homólogas de otros países de la UE. “Hemos transmitido la información a la Comisión Europea. Ahora son ellos los que deben actuar. Es una situación atípica. Además, pone en una situación complicada a las compañías aéreas. Hacen todos los esfuerzos para cumplir con EE UU, porque si no lo hacen no vuelan, pero pueden entrar en conflicto con la legislación de protección de datos”. Desde la Comisión Europea no se respondió a EL PAÍS sobre si va a adoptar alguna medida.
Las propias compañías parecen tener dudas de cuándo deben comunicar los datos. Iberia asegura que solo los facilita en sus vuelos a México, pero no en el Madrid-La Habana porque esta ruta no está incluida en la lista de trayectos afectados que les envió EE UU. Air Europa dice lo opuesto: que ese vuelo sí está incluido, que está obligada a entregar los datos so pena de cuantiosas multas.
Hernando Calvo no pudo coger un vuelo que ya había pagado y que le había costado 744 euros. Así que reclamó a Air Europa que le reembolsara esa cantidad. La aerolínea le respondió que no se hacía cargo “porque es obligación de todos los pasajeros llevar consigo la documentación necesaria y tenerla a disposición de las autoridades”. Calvo la llevaba: su pasaporte estaba en regla y no necesitaba nada más para volar a Cuba.
(Con información de El País)
E la sovranità della Spagna?
9.05.12 - Hernando Calvo Ospina, giornalista e scrittore colombiano residente in Francia. Collaboratore di Le Monde Diplomatique. Traduzione di Paola Flauto www.cubadebate.cu
Hernando Calvo OspinaDomenica 6 Maggio, effettuando il check-in all’aeroporto di Parigi mi comunicarono che si era verificato un problema di tipo informatico con il volo di Air Europa, che percorre la tratta Madrid – L’Avana. Per questo motivo appena fossi atterrato nella capitale spagnola mi sarebbe stata consegnata la carta d’imbarco.
Arrivai all’aeroporto di Madrid, alla terminal 3. Mi recai al banco di informazioni di Air Europa. Ivi, dopo una telefonata, mi dissero che avrei dovuto raggiungere la terminal 1, dove finalmente mi avrebbero consegnato la carta.
Camminai fino a lí. Mi presentai alla biglietteria, mi ricevette una fanciulla che subito fece un paio di telefonate.
Mancavano all’incirca quaranta minuti alle tre del pomeriggio. Lo stesso tempo che era necessario all’aereo per partire. Quando provai ad insistere alla giovane donna affinché mi consegnasse la carta d’imbarco mi rispose che avrei dovuto “aspettare la persona dell’ambasciata”.
Incuriosito le chiesi chi fosse mai questa persona e da quale ambasciata provenisse. Senza rivolgermi lo sguardo e in maniera sgradevole, mi rispose che avrei dovuto aspettare “la persona dell’ambasciata”. Aspettai.
All’improvviso vidi la donna venire verso di me insieme ad un signore alto, con occhiali, un pò grasso, con capelli chiari e più di cinquanta anni d’età. Il signore mi chiese, a bassa voce, di consegnargli il passaporto. Pensando che fosse un lavoratore di Air Europa glielo consegnai.
Ma immediatamente mi resi conto che aveva un accento latino e gli chiesi: “chi é lei? Si potrebbe presentare? ” Mi mostrò rapidamente un tesserino che portava attaccato alla cintura ma che veniva nascosto da una specie di giacca. Il nome che mi sussurrò era spagnolo.
Sono dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America” ci tenne a precisare. Sorpreso da questa affermazione gli intimai di restituirmi il mio documento perché non aveva diritto ad appropriarsene trovandoci in Spagna.
Con voce pacata, mi chiese cortesemente di non discutere con lui e di non provocare scandalo perché avrei potuto creare un problema senza necessità.
La giovane donna di Air Europa era andata già via al principio della conversazione.
Consapevole della situazione in cui mi trovavo, lasciai che controllasse e ricontrollasse il mio passaporto. Poi si allontanò, fece una telefonata e, in inglese, trasmise i miei dati. In seguito, gentilmente, mi chiamò per chiedermi dove fosse il mio passaporto colombiano. Gli risposi che da trenta anni ormai non viaggiavo più con un documento del mio paese d’origine. E che se quel documento che aveva tra le mani era francese evidentemente significava che la Francia me lo aveva concesso.
Subito volle sapere da quanti anni fossi sposato, il nome di mia moglie e dei miei figli.
Gli risposi, molto garbatamente, che non aveva autorità per sottopormi a tali domande. Che non doveva dimenticare di trovarsi in Spagna. E che la cosa migliore sarebbe stata telefonare alla sua ambasciata a Parigi, dove sicuramente conoscevano più cose sulla mia vita che io stesso.
Dopo aver parlato ancora al telefono, annotato cose nello stesso e aver appuntato informazioni su un vecchio quaderno, venne verso di me. Con espressione addolorata mi disse che non sarei potuto salire su quell’aereo, perché avrebbe sorvolato, durante alcuni minuti, il territorio statunitense. Ed io mi trovavo “in un elenco di persone pericolose per la sicurezza del suo paese”. Semplicemente e con un sorriso, lo ringraziai per l’informazione e addirittura per la decisione presa.
Anche se non fosse esattamente una novità. (1)
Gli chiesi per quale motivo il suo grande impero avesse paura di uno come me, un semplice giornalista e scrittore, se non sono capace di usare un fucile da caccia e mi fa paura finanche lo scoppio di un “tric trac”. Però preferì guardarlo nuovamente negli occhi e continuare a sorridere. Non avrebbe mai immaginato quanto il suo governo mi facesse sentire importante!
Poi, con gentilezza, mi chiese se avessi un biglietto da visita da dargli. Gli risposi che non c’era problema, visto che già avevo provveduto a darlo ai suoi colleghi di Parigi.
E che, come questi avevano fatto, avrebbe potuto chiamarmi qualche volta per invitarmi a bere vino, e tra un bicchiere ed un altro propormi di nuovo di lavorare per il suo governo.
Mi piace moltissimo conversare con voi. Imparo tante cose”, gli dissi prima di vederlo andare via come qualsiasi altro passeggero di quell’aeroporto. In seguito realizzai i reclami che riguardavano la compagnia Air Europa, in particolare per risolvere il problema del mio viaggio a Cuba. Attonito, rimasi ad ascoltarli mentre dicevano che era stata una responsabilità mia non essermi informato sulla rotta di quel volo!
Non servì a niente raccontare che nell’Ottobre del 2011 non avevo avuto nessun problema.
Uno di loro mi disse, quasi confessando, che questo “breve” passaggio sui cieli statunitensi verso Cuba, era stato pianificato con pressioni da Washington: così avrebbero potuto ottenere, in tempo reale, la lista dei passeggeri che viaggiavano verso l’isola.
Nonostante cercai di non manifestarlo, sentì una grande rabbia e impotenza. Inoltre, come poteva essere accaduto che un funzionario dei servizi segreti statunitensi potesse chiedere il mio passaporto, confiscarlo e interrogarmi in pieno territorio spagnolo?
Chi gli diede il permesso di arrogarsi questo diritto sovrano?
Perché non inviarono un ufficiale della dogana o un umile agente del traffico, ma di nazionalità spagnola? E, per quale motivo mi hanno fatto arrivare fino a Madrid, quando, sicuramente, dal momento in cui ho acquistato il biglietto, dieci giorni prima, i servizi segreti degli Stati Uniti e della Francia già erano a conoscenza del mio tragitto?
Sono quasi sicuro che lo sapevano: molti mi hanno detto che i miei telefoni, computer e i miei movimenti venivano regolarmente controllati.
A volte me ne accorgevo.
Durante il viaggio di ritorno a Parigi, pensai ai miei tanti amici spagnoli. Visto che sono persone con grande dignità, si meraviglieranno quando verranno a conoscenza dei fatti, perché non riescono ad abituarsi all’idea che la sovranità del paese continui a cadere così in basso.
Ah, e l’unica alternativa che mi hanno lasciato per viaggiare a Cuba, dall’Europa, è Cubana de Aviacion. Lì si hanno dignità!
Nota :
1) “El día que Estados Unidos me prohibió sobrevolar su territorio”
una immagine iserita da amici di Cuba gruppo "Italo calvino" Piombino (LI)

giovedì 20 settembre 2012

Venezuela,Il compito di oggi: rafforzare la volontà del popolo e difendere la patria - LA TAREA DE HOY: AFIANZAR LA VOLUNTAD POPULAR Y DEFENDER LA PATRIA


 Il compito di oggi: rafforzare la volontà del popolo e difendere la patria

16/09/2012

Prepariamoci per la RESISTENZA e la difesa della PATRIA e della sovranità, che si trovano in grave pericolo

Dipartimento Ideologia del PCV*- Anche se abbiamo sulla nostra economia il dominio delle transnazionali ed è ancora necessario mantenere per molto tempo relazioni con le grandi imprese e conglomerati imperialisti, al fine di far avanzare lo sviluppo del paese verso uno stadio superiore di utilizzo delle risorse naturali e del dominio della tecnologia, non possiamo cedere di un millimetro nella lotta per la liberazione nazionale e la sovranità.

IL TERRORE COME MEZZO D'AZIONE DELL'OPPOSIZIONE

E' da molto tempo che siamo stati silenziosamente e costantemente invasi. Non è nient'altro la presenza di paramilitari colombiani, sotto la cui guida sono stati creati gruppi interni che operano apertamente in alcuni luoghi; hanno il controllo del territorio e hanno sottomesso la nostra popolazione al terrore della loro presenza. La paura si diffonde e il silenzio copre queste attività.

Questo avviene mentre i mezzi di comunicazione creano l'immagine di un governo attuale, che tollera il traboccare della delinquenza comune e manca la volontà politica di affrontare i violenti che attaccano campi e città. Criticano alcune tiepide misure adottate che cercano di contrastare la criminalità, mentre nelle città più importanti si dispiega il lavoro di intelligence delle organizzazioni internazionali come la NATO, con i loro visibili caschi blu.

L'INFILTRAZIONE DELLA CIA DI LUNGO RAGGIO

Dagli anni '90 del secolo scorso, quando l'imperialismo aveva previsto il brusco cambio del regime politico che si presentava in Venezuela, a scapito dei grassi profitti grassi petroliferi, nelle loro mani, ha seminato di agenti dei servizi segreti il nostro territorio, mascherandoli, come accade spesso, da ONG e tra essi alcuni che si vantavano di difendere i diritti umani, ma non si trattava di altro che un mascheramento di prova di un intervento militare diretto nel paese.

Così la violenza e i massacri che hanno avuto luogo negli ultimi tempi, in varie parti del paese e apparentemente senza alcun legame tra loro, approfondendone le loro cause, possiamo trovare il filo conduttore che li unisce perché in un modo o nell'altro sono collegati con gli interessi in gioco: a La Paragua per il controllo dello sfruttamento illegale di oro e diamanti a beneficio delle multinazionali situate in Guyana con la complicità interna; nel comune di La Fria, nel Tachira, con il dominio territoriale paramilitare in corso di consolidamento al confine con la Colombia lo stesso che ad Apure. Tutti anche se isolati obbediscono allo stesso ordine per creare l'immagine negativa del governo attuale non in grado di controllare i violenti.

DALL'INCERTEZZA, FARE SPAZIO ALL'AZIONE

Questi fatti vanno seminando nella coscienza del popolo la sfiducia, il dubbio, l'incertezza sul corso del processo rivoluzionario e ottengono consensi in settori molto disinformati sulla realtà che sono manipolati dai mezzi di comunicazioni al servizio dell'imperialismo. Inoltre, si crea l'immagine di uno Stato belligerante, armato, pericoloso per la regione, perché sta rompendo l'equilibrio bellico creando le condizioni per un conflitto internazionale e tante altre sciocchezze.

Tuttavia, il processo rivoluzionario venezuelano ha l'enorme forza di aver scelto per il suo sviluppo, il percorso più difficile e tortuoso, la via della pace, la democrazia, la partecipazione e la libertà più assoluta e completa di pensiero e di espressione di tutti i mezzi di comunicazione, senza alcuna discriminazione.

LA RISPOSTA POPOLARE E' L'OFFENSIVA DI MASSA

E' per i fattori descritti che stiamo richiamando l'attenzione sull'importanza del processo elettorale in corso che si sviluppa nel quadro del più acuto scontro sul piano dell'ideologia, per torcere la volontà popolare, indebolirla e aprire un buco nel processo rivoluzionario al fine di ritornare al dominio di coloro che hanno saccheggiato il paese per più di cento anni e desiderano tornare ai privilegi per gli imperialisti.

Pertanto, si richiede un'enorme offensiva popolare e di massa in modo che il popolo si manifesti con forza nelle elezioni, ribadendo la sua infrangibile volontà di continuare con il Presidente il difficile compito di costruire un mondo migliore. Dobbiamo denunciare i pericoli, le bugie e le false promesse dell'opposizione e dimostrare la necessità di andare in massa alle urne per difendere i propri risultati in tutti i modi possibili.

L'ORGANIZZAZIONE DELLA DIFESA

Ma si richiede anche di passare all'offensiva in preparazione della resistenza popolare di massa contro i piani di destabilizzazione e di guerra che sono già in pieno svolgimento, perché l'imperialismo gioca a creare le condizioni per un intervento diretto nel nostro paese.

Abbiamo bisogno di creare ampie reti di intelligence popolare che controllano e smascherano coloro che in un modo o nell'altro sono coinvolti nei piani menzionati: paramilitari nazionali e stranieri, narcotrafficanti grandi, medi e piccoli, criminali comuni che sono stati cooptati e pagati per incrementare i sequestri, rapine, stupri, furti, omicidi; quelli che, all'interno delle istituzioni ufficiali, le FANB e la polizia, vanno facendo il gioco dell'intervento e presentandosi come rivoluzionari non sono altro che agenti sotto copertura al servizio della controrivoluzione.

L'UNITA' CIVICO-MILITARE

Le riserva e le milizie territoriale devono essere messi in stato d'allerta immediata in modo che in collaborazione con la maggior parte delle FANB che sono fedeli al processo, agiscano con energia, con rapidità e audacia scoprendo in tempo e mettendo in sicurezza i criminali senza stato al servizio dell'imperialismo e della guerra.

PIANO DI MOBILITAZIONE DELLE MASSE

Si richiede l'organizzazione popolare e la formazione di comitati di emergenza in tutte le zone del paese al fine di attuare i PIANI D'EMERGENZA, mediante i quali si sia in grado di impedire i piani del nemico, neutralizzarli e passare alla resistenza popolare di massa e sviluppare la controffensiva con tale forza, che dimostreremo, nel campo dello scontro militare e popolare l'enorme forza della rivoluzione e la capacità di resistere e di imporre la volontà della maggioranza del nostro popolo che non vuole tornare al passato.

Siamo sicuri che i partiti e le organizzazioni politiche, i consigli comunali, le cooperative, i sindacati, associazioni di quartiere, organizzazioni studentesche, di quartiere, popolari, formando un AMPIO FRONTE DI DIFESA E RESISTENZA sapremo darci in tempo i meccanismi che ci permetteranno di prevenire i piani criminali in marcia.

COORDINARE LE AZIONI CON LO STATO MAGGIORE POLITICO MILITARE

La grande alleanza politica dei Partiti e movimenti che difendono la rivoluzione congiuntamente con la maggioranza della FANB, e se il caso, tutto il popolo in armi saprà difendere il processo e impedire il colpo imperialista, evitare la separazione dello Stato Zulia e di altri come programmato e mantenere la sovranità e l'integrità territoriale del Venezuela.

Lanceremo un'offensiva diplomatica per rafforzare la solidarietà con il nostro paese e la nostra rivoluzione in corso.

Prepariamoci per uno scontro elettorale che con una grande maggioranza elettorale rieleggerà l'indiscusso leader del processo, Hugo Chavez Frias, ma stiamo anche pronti per la resistenza e la difesa della patria e della sovranità, che sono in grave pericolo.

(*) Documento tratto da Tribuna Popular N.128, scritto da Italo Gonzalez

www.resistenze.org


 LA TAREA DE HOY: AFIANZAR LA VOLUNTAD POPULAR Y DEFENDER LA PATRIA

Preparémonos para la RESISTENCIA y la defensa de la PATRIA y la soberanía, que se encuentran en grave peligro  

Tribuna Popular TP/ DEPARTAMENTO DE IDEOLOGIA DEL PCV (*)

Aunque tengamos sobre nuestra economía el dominio de las trasnacionales todavía y sea menester durante mucho tiempo mantener relaciones con grandes empresas y conglomerados imperialistas, a fin de hacer avanzar el desarrollo del país hacia un estadio superior de aprovechamiento de los recursos naturales y de dominio de tecnología, no podemos ceder un ápice en la lucha por la soberanía y la liberación nacional.
EL TERROR COMO MEDIO DE ACCIÓN OPOSITORA
Hace mucho tiempo que estamos siendo invadidos de manera silenciosa y sostenida. No otra cosa es la presencia de paramilitares colombianos, bajo cuya orientación se han creado grupos internos que actúan ya abiertamente en algunos lugares; tienen el dominio territorial y han sometido a nuestra población al terror de su presencia. El miedo cunde y el silencio encubre estas actividades.
Esto sucede mientras los medios de comunicación crean la imagen de un gobierno actual, que tolera el desborde de la delincuencia común y carece de voluntad política para enfrentar a los violentos que azotan campos y ciudades. Critican algunas tibias medidas que se toman para frenar el crimen, mientras en las ciudades más importantes se despliega el trabajo de inteligencia de organismos internacionales como la OTAN, con sus no encubiertas boinas azules.
LA INFILTRACIÓN DE LA CIA DE LARGO ALCANCE
Desde la década del 90 del siglo pasado, cuando el imperialismo previó el cambio brusco de régimen político que se presentaría en Venezuela, en desmedro de las pingues ganancias del petróleo, en sus manos, sembró de agentes de inteligencia nuestro territorio, disfrazándolos, como suele hacerlo siempre, de ONGs y entre ellas, algunas que se ufanan de defender los Derechos Humanos, pero que no son otra cosa que el mascarón de proa de la intervención directa militar del país.
De esta manera los hechos violentos y las masacres que se han realizado en los últimos tiempos en diversas partes del país y que aparentemente carecen de conexión entre ellas, al profundizar en sus causas, podemos encontrar el hilo conductor que las une porque de una u otra manera se encuentran vinculadas con los intereses en juego: la de la Paragua por el dominio de la explotación ilegal del oro y diamantes que beneficia a trasnacionales ubicadas en Guyana con la complicidad interna; la del municipio La Fría, en el Táchira, con el dominio territorial paramilitar en  proceso de consolidación en la frontera con Colombia lo mismo que la de Apure. Todas aunque aisladas obedecen al mismo patrón de crear la imagen negativa del actual gobierno incapaz de controlar a los violentos.
DE LA INCERTIDUMBRE, ABRIRLE PASO A LA ACCIÓN
Estos hechos van sembrando en la conciencia del pueblo la desconfianza, la duda, la incertidumbre sobre el rumbo del proceso revolucionario y ganan opinión en sectores muy desinformados de la realidad que son manipulados por los medios de comunicación al servicio del imperialismo. Se crea además la imagen de un Estado guerrerista, armamentista, peligroso para la región porque está rompiendo el equilibrio bélico y creando condiciones para un conflicto internacional y mil sandeces más.
No obstante lo anterior, el proceso revolucionario venezolano cuenta con la enorme fortaleza de haber escogido para su desarrollo, la vía más difícil y tortuosa, la del sendero de la paz, la democracia, la participación y la más absoluta y completa libertad de pensamiento y de expresión de todos los medios de comunicación sin discriminación alguna.
OFENSIVA DE MASAS ES LA RESPUESTA POPULAR
Es por los factores descritos que estamos alertando sobre la importancia del proceso electoral actual que se desarrolla en el marco de la más aguda confrontación en el plano de la ideología, para torcer la voluntad popular, debilitarla y abrirle un boquete al proceso revolucionario a fin de regresar al dominio de quienes saquearon el país por más de cien años y quieren regresar los privilegios a los imperialistas.
De ahí que se requiere desatar una enorme ofensiva popular y de masas para que el pueblo se manifieste con fuerza en las elecciones,  reafirmando su voluntad inquebrantable de continuar con el Presidente la difícil tarea de construir un mundo mejor. Hay que desenmascarar los peligros, las mentiras y falsas promesas de la oposición y demostrar la  necesidad de acudir en masa a las urnas  a defender sus resultados en todas las formas posibles.
LA ORGANIZACIÓN DE LA DEFENSA
Pero se requiere también pasar a la ofensiva en preparación de la resistencia popular de masas frente a los planes de desestabilización y de guerra que ya se encuentran en pleno desarrollo, porque el imperialismo juega a crear las condiciones para una intervención directa sobre nuestro país.
Tenemos que crear ya amplias redes de inteligencia popular que vigilen descubran enuncien a los que de una u otra manera se encuentran comprometidos en los planes mencionados: paramilitares nacionales y extranjeros, narcotraficantes grandes, medianos y pequeños, delincuentes comunes que han sido cooptados y pagados para incrementar los secuestros, atracos, violaciones, robos, asesinatos; a quienes dentro de las instituciones oficiales, las FANB y las policías, vienen haciéndole el juego a la intervención y posando de revolucionarios no son más que agentes encubiertos al servicio de la contrarrevolución.
LA UNIDAD CÍVICO MILITAR
La reserva y las milicias territoriales hay que ponerlas en estado de alerta inmediata para que actuando con la mayoría de las FANB que están ganadas para el proceso, actúen con energía, con rapidez y audacia descubriendo a tiempo y poniendo a buen recaudo a los criminales apátridas al servicio del imperialismo y la guerra.
PLAN MOVILIZADOR DE LAS MASAS
Se requiere la organización popular y la conformación de comités de emergencia en todos los lugares del país a fin de implementar los PLANES DE CONTINGENCIA, mediante los cuales podamos impedir los planes del enemigo, neutralizarlos y pasar a la resistencia popular de masas y desarrollar la contraofensiva con tal contundencia, que demostremos, en el terreno de la confrontación militar y popular la enorme fuerza de la revolución y la capacidad para resistir e imponer la voluntad de la mayoría de nuestro pueblo que no quiere volver al pasado.
Estamos seguros que los partidos y organizaciones políticas, consejos comunales, cooperativas, sindicatos, juntas de vecinos, organizaciones estudiantiles, barriales, populares, conformando un gran FRENTE AMPLIO DE DEFENSA Y RESISTENCIA sabremos darnos a tiempo los mecanismos que nos permitan impedir los planes criminales en marcha.
COORDINAR LAS ACCIONES CON ESTADO MAYOR POLÍTICO MILITAR
La gran alianza política de los Partidos y movimientos que defendemos la revolución conjuntamente con la mayoría de la FANB y si fuere el caso, todo el pueblo en armas sabrá defender el proceso e impedir el zarpaso imperialista, evitar la segregación del Estado Zulia y otros como lo tienen planeado y mantener la soberanía y la integridad territorial de Venezuela.
Vamos a lanzar una ofensiva diplomática que fortalezca la solidaridad con nuestro país y nuestra revolución en marcha.
Preparémonos pues para la confrontación electoral que con una amplia mayoría de votos reelija al líder indiscutible del proceso Hugo Chávez Frías, pero también preparémonos para la RESISTENCIA y la defensa de la PATRIA y la soberanía, que se encuentran en grave peligro.  
(*) Documento tomado de Tribuna Popular Nº 128, escrito por Italo González



martedì 18 settembre 2012

15-10-1923/19-09-1985 : Ricordiamo Italo Calvino un grande personaggio vicino a Cuba


Il 19 settembre 1985 per un ictus a Siena moriva lo scrittore Italo Calvino, i compagni internazionalisti amici di Cuba, Piombino Val di Cornia (LI), insieme ai compagni internazionalisti del CSIAM (Centro di solidarietà internazionalista alta Maremma), lo intendono ricordare per i suoi legami con Cuba, con la figura del CHE, per il suo passato come partigiano nella seconda divisione d'assalto delle Brigate Garibaldi intitolata a Felice Cascione, operante sulle Alpi Marittime, il suo nome di battaglia era "Santiago" proprio in ricordo di quel Santiago de las Vegas a due passi dall'Avana a Cuba, dove era nato nel 1923. Adesso Calvino riposa in una tomba immersa in una folta e profumata siepe  di rosmarino del piccolo cimitero di Castiglion della Pescaia (GR)nel cuore dell'alta Maremma, dove dall'alto si domina la bellezza dell'arcipelago Toscano.... Ci saranno compagni Maremmani che gli renderanno omaggio.
                                                                                         by Sandino
 15-10-1923/19-09-1985
Ricordiamo Italo Calvino un grande personaggio vicino a Cuba
Pensando al discreto e riservato scrittore Italo Calvino difficilmente lo colleghiamo all’isola di Cuba; alcune vicende meno conosciute ma fondamentali nella vita del personaggio lo rendono anche un po’ “cubano”. Per iniziare Italo Giovanni Calvino Mameli, detto Santiago, nacque proprio a Cuba a Santiago de Las Vegas il 15 Ottobre del 1923 in un villaggio a sud-est dell’ Havana a pochi chilometri a sud dell’aeroporto Josè Martì. I genitori, Mario Calvino e ed Eva Mameli, erano due scienziati presso un istituto che allora era di  proprietà statunitense e si trovavano sull’isola per lavoro: qui il  padre dirigeva una stazione sperimentale di agricoltura e una scuola di agraria mentre la madre era una botanica; lo scrittore quindi nacque e visse fino a 20 anni in una dimora immersa in un giardino pieno di rare piante esotiche. Nel 1926 la famiglia Calvino decise di tornare in Italia, precisamente a Sanremo, dopo un devastante uragano che danneggiò quasi totalmente la loro dimora ; quello che rimane oggi della casa natale di Calvino è ancora un’attrazione davvero molto speciale per i turisti italiani:  è un romantico bungalow situato dentro il Grande Giardino Botanico Tropicale Humboldt di Santiago de Las Vegas. Sempre all’interno di questo giardino c’è un piccolo albergo di proprietà dell’ Istituto Humboldt che ospita solitamente i ricercatori stranieri ma dove vengono accettati anche i turisti se rimangono dei posti a disposizione. Lo scrittore studiò e visse a Sanremo, fece il partigiano in Italia con il nome di battaglia di “Santiago” in omaggio al suo paese natale ma nel 1964 tornò a l’Avana in occasione della sua nomina a membro della giuria per il premio “La casa de Las Americas”  e soprattutto per un’ altra tappa importante della sua esistenza: è proprio qui che il 19 febbraio “il partigiano chiamato Santiago” sposò la sua compagna di vita, la traduttrice argentina Esther Judit Singer detta “Chichita”. Perché sposarsi a Cuba? Perché Cuba era un paese diverso, lei era ancora sposata in Argentina, in Italia non c'era il divorzio e neanche in Argentina, e così si sposarono a Cuba. Inge Feltrinelli, che lo incontrò  sull’ isola nel 1964 poco dopo il matrimonio, ha scritto in un suo articolo che qui aveva incontrato “un uomo allegro ed interessante in giacca bianca e senza cravatta” e non il consueto uomo che conosceva “timido  e che parlava solo di cose importanti”. In questa occasione Calvino rivide la casa natale dove aveva vissuto con i genitori e conobbe Ernesto “Che” Guevara al quale dedicò uno scritto molto commovente dopo la sua uccisione. La figlia di Calvino, Giovanna nata nel 1965, fu contattata 30 anni dopo dall’ Ambasciata Italiana dell’ Havana per dare l’ autorizzazione alla costruzione di una lapide in onore del padre: lei stessa la inaugurò nel 1996 e fu deposta all’interno del giardino botanico. Nel Museo Municipale locale è stata allestita una sala dedicata a Italo Calvino dove si può sfogliare e anche comprare l’ultimo libro fotografico di 100 pagine a lui dedicato e stampato a Cuba nel 2000 intitolato “Las dosmitades de Calvino” (autore Helio Orovio poeta-scrittore di Cuba nonché musicista e musicologo che ha scritto il “Dizionario delle musica cubana”)....
Qualsiasi cosa cerchi di scrivere *
di Italo Calvino
su Granma del 25/09/2007
Pensando a Che Guevara
Qualsiasi cosa io cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara, per come visse e per come morì, mi pare fuori tono. Sento la sua risata che mi risponde, piena d'ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell'Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d'un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d'una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sè e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori.

Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l'avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze.

In questo senso egli resterà al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. E' una presenza che non chiede a noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l'estremo rigore della sua lezione. La "linea del Che" esige molto dagli uomini; esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la "linea del Che" vuol dire -una trasformazione radicale non solo della società ma della "natura umana", a cominciare da noi stessi- e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica.

La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senza abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allargarsi. Anche per un interlocutore occasionale e sconosciuto (come potevo esser io, in un gruppo d'invitati, un pomeriggio del 1964, nel suo ufficio del Ministero dell'Industria) il suo incontro non poteva restare un episodio marginale. Le discussioni che contano sono quelle che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che è continuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione.

Anche adesso, morendo nel mettere in moto una lotta che non si fermerà, egli continua ad avere sempre ragione.

* ottobre 1967


giovedì 13 settembre 2012

Sahara: strumenti e conseguenze di un'occupazione/Sahara: herramientas y consecuencias de una ocupación


Sahara: strumenti e conseguenze di un'occupazione

04/09/2012
 
Sebbene pensando al Sahara la prima immagine che ci viene in mente è quella della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) e degli accampamenti dei rifugiati di Tinduf, l'occupazione del Sahara Occidentale da parte del Marocco costituisce ancora nel 2012 una realtà sanguinosa. Invisibile nei mass media, arrivano sue notizie solo in modo sporadico, quando ha luogo qualche evento che, per le sue dimensioni, riesce a superare la censura imposta dalla monarchia alauita, come nel caso del sanguinario smantellamento dell'accampamento di Gdeim Izik nel novembre 2010.
L'occupazione del Sahara Occidentale dopo il ritiro delle forze occupanti spagnole nel 1975, è stata portata a termine con gli strumenti abituali degli stati espansionisti: occupazione militare, instaurazione di uno stato poliziesco torturatore, invasione del territorio mediante coloni, proibizione dei mezzi di comunicazione e organizzazioni dissidenti, subordinazione dell'attività economica agli interessi della metropoli e colonizzazione culturale nel tentativo di distruggere i tratti linguistici e culturali del paese occupato.
Il Sahara Occidentale presenta, inoltre, una particolarità che lo distingue da altri molti paesi occupati: quella di essere un territorio conteso, in attesa di un referendum che conta sull'avallo dell'ONU. Benché il Marocco lo consideri suo territorio, lo includa nelle sue mappe e nei suoi programmi scolastici, lo amministri e sfrutti le sue risorse naturali ed il suo popolo, il suo diritto sul Sahara Occidentale non è formalmente riconosciuto a livello internazionale.
Ciò non è ostacolo alle forze di occupazione nella repressione continua, continuata ed impunita verso il popolo saharawi. Un numero impossibile da quantificare di omicidi, ma che arrivano a varie migliaia dall'inizio dell'occupazione, più di 500 sparizioni, migliaia di imprigionati in condizioni disumane di sovraffollamento e di umiliazioni costanti, diverse prigioni segrete nelle quali alcuni carcerati sono rimasti più di un decennio senza che nessuno sapesse dove fossero, applicazione sistematica della tortura ai detenuti e carcerati senza neanche la preoccupazione di non lasciare segni sui corpi, stupri di donne che organizzavano la lotta contro l'occupazione o semplicemente perché familiari di qualche detenuto... tutto ciò è una costante attenuata deliberatamente da molti stati che si definiscono "democratici." Quegli stessi stati che dimostrano stupore ed indignazione davanti alle violazioni dei diritti umani da parte dei governi che non si piegano ai loro interessi.
Questa situazione di repressione quotidiana condiziona completamente la vita del popolo saharawi nei territori occupati, poiché in pratica tutte le famiglie hanno sofferto la brutale repressione, in un modo o nell'altro. Le conseguenze per i popoli in lotta, le conosciamo tutti: esilio, famiglie separate, impossibilità di continuare gli studi, perdita del posto di lavoro e grandi difficoltà per trovarne un altro, penuria economica, controllo sociale costante, relegazione a cittadini di seconda scelta... Come fanno notare alcuni carcerati dopo essere usciti di prigione, si esce di galera per entrare in un'altra più grande, chiamata Aaiún, Smara, Dajla...
Ma se la repressione diretta costituisce il fenomeno più visibile dell'occupazione, non sono meno importanti altre strategie con le quali il regime alauí tenta di scardinare l'identità del popolo saharawi ed appoggia la marochinizzazione. Tra esse lo spostamento massiccio di popolazione marocchina nei territori occupati, che ebbe il suo principale precedente nella Marcia verde del 1975.
A partire da quel momento e specialmente a partire dal 1991, il regime marocchino ha promosso lo spostamento della popolazione marocchina per far procedere progressivamente la colonizzazione, offrendo condizioni vantaggiose ai nuovi coloni (posti di lavoro con stipendi allettanti, agevolazioni per comprare case, eccetera).
Parte di questi coloni rappresenta inoltre una forza di scontro addizionale nei casi in cui le forze repressive si vedono in difficoltà nelle grandi proteste, che arriva fino alla collaborazione di molti di loro come spie. Benché non esistano dati affidabili sulla popolazione perché non esiste un censimento pubblico, la supremazia numerica dei coloni marocchini nel Sahara Occidentale è un dato di fatto, si parla di 2 o 3 coloni per ogni saharawi. Con l'alterazione demografica, il regime marocchino persegue nel suo intento di annacquare l'identità e la presenza del popolo saharawi cercando di condizionare a suo favore i risultati di un possibile referendum, che ogni volta appare sempre più improbabile a causa degli ostacoli permanenti messi dal Marocco durante gli ultimi due decenni.
Ancora una volta e come possiamo attualmente verificare in Hego Euskal Herria, le modifiche del censimento ed i movimenti della popolazione si rivelano come un arma, come un grossolano stratagemma utilizzato per gli stati espansionisti per appoggiare la propria occupazione.
La dipendenza economica del Sahara occupato è anche un aspetto da sottolineare poiché condiziona non solo la vita giornaliera dei saharawi, ma anche la validità del loro futuro stato. Se già di per sé il Sahara è un territorio che ostacola o direttamente rende impossibile gran parte delle attività economiche, il Sahara liberato o RASD si trova in pieno deserto e le terre coltivabili sono principalmente sotto occupazione marocchina.
Le principali attività produttive nel Sahara Occidentale sono l'estrazione di fosfati, la pesca nelle zone marittime saharawi e la produzione di ortaggi in zone molto localizzate; attività destinate principalmente all'esportazione e ad ingrassare la monarchia alauí, come è stato denunciato varie volte da diverse istanze. Sostenuta in uno sistema di furto di risorse naturali, senza uno sviluppo equilibrato tra i differenti settori economici, ricevendo dal Marocco in pratica la totalità di fattori produttivi e degli alimenti, l'economia del Sahara Occidentale è completamente determinata dalla sua condizione di colonia.
Un altro aspetto dell'occupazione è il suo effetto deculturizzante che va molto oltre le conseguenze ovvie della supremazia demografica della popolazione marocchina su una cultura ed una lingua (il hassannia) che considera strano ed inferiore. Tutta una serie di misure legali assicurano un programma di studi educativo sostenuto dall'ideologia espansionista marocchina, una relegazione totale del hassania e perfino la proibizione di determinate pratiche abituali del popolo saharawi, come per esempio l'installazione di haimas [accampamenti ndt] nel deserto e lo smantellamento di Gdeim Izik.
In sintesi, tutta una strategia con varie espressioni per ridurre al minimo un popolo e consumare di fatto l'occupazione di un territorio. Nonostante ciò, il popolo saharawi continua a lottare e si intensifica il sentimento e la coscienza contro l'occupazione, specialmente tra la gioventù. Di fronte all'occupazione e all'occultamento internazionale e lungi da essere un popolo dominato, le migliaia di combattenti caduti e repressi, le proteste giornaliere e l'evidente presenza militare e poliziesca per strada mostrano che il popolo saharawi prosegue a lottare attivamente per il suo diritto ad essere libero, ad essere un popolo.
Il compito degli altri popoli del mondo è triplice e complementare: solidarizzare con la sua lotta, smascherare la complicità criminale degli stati che danno copertura all'occupazione del Sahara e lottare per la libertà del proprio paese di fronte a questi stati imperialisti, cosa che costituisce in ultima istanza il migliore contributo che possiamo offrire agli altri popoli del mondo, compreso il saharawi.

 Sahara: herramientas y consecuencias de una ocupación

Si bien al hacer referencia al Sahara la primera imagen que se nos viene a la mente es la de la República Árabe Saharaui Democrática (RASD) y los campamentos de refugiados de Tinduf, la ocupación del Sahara Occidental por Marruecos constituye una realidad sangrante todavía en 2012. Invisibilizada en los medios de comunicación, sólo nos llegan noticias muy esporádicamente, cuando tiene lugar algún suceso que, por sus dimensiones, consigue superar la censura impuesta por la monarquía alauita, como fue el caso del sangriento desmantelamiento del campamento de Gdeim Izik en noviembre de 2010.
La ocupación del Sahara occidental tras la retirada de las fuerzas ocupantes españolas en 1975 se ha llevado a cabo utilizando las herramientas habituales de los estados expansionistas: ocupación militar, instauración de un estado policial torturador, invasión del territorio mediante colonos, prohibición de medios de comunicación y organizaciones disidentes, subordinación de la actividad económica a los intereses de la metrópoli y colonización cultural que intenta destruir los rasgos lingüísticos y culturales del pueblo ocupado. El Sahara occidental presenta, además, una particularidad que lo diferencia de otros muchos pueblos ocupados; la de ser un territorio en disputa, en espera de un referéndum que cuenta con el aval de la ONU. Aunque Marruecos lo considere su territorio, lo incluya en sus mapas y en su currículum educativo, lo administre y explote sus recursos naturales y a sus pobladores, su derecho sobre el Sahara occidental no está formalmente reconocido a nivel internacional.
Ello no es óbice para que las fuerzas de ocupación repriman de forma continuada y con total impunidad al pueblo saharaui. Un numero imposible de cuantificar de asesinados pero que llegan a varios miles desde el comienzo de la ocupación, más de 500 desaparecidos, miles de encarcelados en unas condiciones infrahumanas de hacinamiento y humillaciones constantes, varias cárceles secretas en las que algunos presos han permanecido más de una década sin que nadie supiera su paradero, aplicación sistemática de la tortura a los detenidos y presos sin preocuparse siquiera de no dejar marcas, violación de mujeres por organizarse y luchar contra la ocupación o simplemente por ser familiares de algún detenido... son una constante obviada deliberadamente por muchos estados autodenominados «democráticos». Esos mismos estados que aparentan asombro e indignación ante violaciones de los derechos humanos por parte de gobiernos que no se pliegan a sus intereses.
Dicha situación de represión diaria condiciona por completo la vida del pueblo saharaui en los territorios ocupados, ya que prácticamente todas las familias han sufrido la brutal represión de una u otra forma. Las consecuencias las conocemos todos los pueblos en lucha: exiliados, familias rotas, imposibilidad de continuar los estudios, pérdida del puesto de trabajo y grandes dificultades para encontrar otro, penurias económicas, control social constante, relegación a ser ciudadanos de segunda... Como señalan algunos presos tras abandonar la prisión, salen de una cárcel para entrar en otra mayor, llamada El Aaiún, Smara, Dajla...
Pero si la represión directa constituye el fenómeno más visible de la ocupación, no son menos importantes otras estrategias con las que el régimen alauí intenta socavar la identidad del pueblo saharaui y afianzar la marroquización. Entre ellas destaca el desplazamiento masivo de población marroquí a los territorios ocupados, el cual tuvo su principal precedente en la Marcha verde de 1975.
A partir de ese momento, y especialmente a partir del alto el fuego de 1991, el régimen marroquí ha impulsado el desplazamiento de población marroquí para consumar progresivamente la colonización, ofreciendo condiciones ventajosas a los nuevos colonos (puestos de trabajo con sueldos atractivos, facilidades para comprar casas, etc). Parte de estos colonos supone además una fuerza de choque adicional para los casos en que las fuerzas represoras se ven desbordadas en grandes protestas, al margen de la colaboración de muchos de ellos como chivatos. Aunque no existen datos fiables sobre la población porque no existe un censo público, la supremacía numérica de los colonos marroquíes en el Sahara Occidental es un hecho (se habla de 2 o 3 colonos por cada saharaui). Con la alteración demográfica, el régimen marroquí persigue diluir la identidad y presencia del pueblo saharaui e intentar condicionar a su favor los resultados de un posible referéndum que cada vez se ve más improbable, debido a los permanentes obstáculos puestos por Marruecos a lo largo de las últimas dos décadas. Una vez más, y tal y como podemos comprobar actualmente en Hego Euskal Herria, las alteraciones del censo y los movimientos de población se revelan como un arma, como una burda estratagema, utilizada por los estados expansionistas para afianzar su ocupación.
La dependencia económica del Sahara ocupado es también un aspecto a destacar, ya que condiciona no sólo la vida diaria de los saharauis sino también la viabilidad de su futuro estado. Si ya de por sí el Sahara es un territorio que dificulta o directamente imposibilita gran parte de las actividades económicas, el Sahara liberado o RASD se encuentra en pleno desierto, quedando las tierras cultivables principalmente bajo ocupación marroquí. En este sentido, las principales actividades productivas en el Sahara Occidental son la extracción de fosfatos, la pesca en los caladeros saharauis y la producción de hortalizas en zonas muy localizadas; actividades destinadas principalmente a la exportación y a engordar las arcas de la monarquía alauí, como se ha denunciado reiteradamente desde diversas instancias. Sustentada en un esquema de robo de recursos naturales, sin un desarrollo equilibrado entre los diferentes sectores económicos, recibiendo desde Marruecos la práctica totalidad de insumos y alimentos, la economía del Sahara Occidental está totalmente determinada por su condición de colonia.
Otro aspecto de la ocupación es su efecto aculturizante, que va mucho más allá de las consecuencias obvias de la supremacía demográfica de la población marroquí sobre una cultura y un idioma (el hassannia) que consideran extraño e inferior. Toda una batería de medidas legales aseguran un currículum educativo sustentado en la ideología expansionista marroquí, una relegación total del hassania e incluso la prohibición de determinadas prácticas habituales del pueblo saharaui, como por ejemplo la instalación de haimas en el desierto desde el desmantelamiento de Gdeim Izik.
En resumen, toda una estrategia con variadas expresiones para minorizar a un pueblo y consumar de facto la ocupación de un territorio. A pesar de ello, el pueblo saharaui sigue luchando y se intensifica el sentimiento y la conciencia contra la ocupación, especialmente entre la juventud. Frente a la ocupación y la ocultación internacional, y lejos de ser un pueblo dominado, los miles de luchadores y luchadoras caídos y reprimidos, las protestas diarias y la evidente presencia militar y policial en las calles muestran que el pueblo saharaui sigue vivo y luchando por su derecho a ser libre, a ser un pueblo más.
La labor de los demás pueblos del mundo es triple y complementaria: solidarizarnos con su lucha, desenmascarar la complicidad criminal de los estados que dan cobertura a la ocupación del Sahara y luchar por la libertad del propio pueblo frente a dichos estados imperialistas, lo cual constituye en último término la mejor aportación que podemos ofrecer a los demás pueblos del mundo, incluido el saharaui.

martedì 11 settembre 2012

GUANTANAMO :Gli USA annunciano la morte di un detenuto


"SE FOSSE MORTO UN DETENUTO CUBANO, ALL'IMPROVVISO SAREBBE GIA' DIVENTATO UN DISSIDENTE E TUTTE LE TELEVISIONI E I MEDIA SERVI DELL'IMPERO ADESSO FAREBBERO CAMPAGNA MEDIATICA CONTRO CUBA."
                                                                           "Sandino "


Gli USA annunciano la morte di un detenuto

11 settembre 2012 - Prensa latina

Il Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti (Pentagono) ha
annunciato la morte di un detenuto nella prigione della base
navale di Guantanamo, benché si ignori la sua identità e le
circostanze in cui è deceduto.
Le autorità militari di questa installazione, ubicata in territorio cubano contro la volontà del popolo e del governo della nazione caraibica, hanno indicato che non riveleranno il nome dell'ucciso fino a che il governo federale e la famiglia del detenuto siano state informate.
Secondo il Pentagono, il prigioniero è stato incontrato incosciente da un'ispezione di routine nel centro penale statunitense. Una squadra di emergenza gli ha fornito i primi aiuti e dopo lo ha trasportato all'ospedale dove i medici hanno cercato di rianimarlo senza successo ed è stato dichiarato morto. Si è deciso praticare un'autopsia e realizzare un'investigazione per determinare le cause della morte.
Il comunicato assicura che il corpo è stato trattato col rispetto delle tradizioni e la cultura musulmane, e sarà rimpatriato al paese di origine del morto.
Esistono numerose denunce sull'impiego di tecniche crudeli in questa installazione come la privazione del sonno, reclusioni dei prigionieri nudi in stanze con basse temperature ed interrogatori estenuanti.
Durante la campagna elettorale del 2008, il presidente Barack Obama promise chiudere il centro di internamento, ma non lo fece. Nell'installazione rimangono circa 200 accusati in condizioni molto difficili e senza nessuna protezione legal
e.