sabato 21 aprile 2012

"René: un bell'esempio di dignità" di A.Riccio


Aderente al comitato italiano giustizia per i cinque

di Alessandra Riccio Ed. www.giannimina-latinoamerica.it

Giovedì 19 Aprile 2012
Pur essendo il meno sfortunato dei Cinque antiterroristi cubani condannati spietatamente negli Stati Uniti e bollati come spie dalla corrente informativa del pensiero unico, René González ha tutte le caratteristiche di una persona preparata, coraggiosa e piena di dignità. Nato a Chicago nel 1956 da una famiglia di emigranti cubani, è tornato insieme ai sui in patria dopo la rivoluzione. Suo padre era stato un sostenitore del Movimento 26 luglio di Fidel Castro e non ha esitato a imbarcare moglie e figli per l’isola dove i suoi ragazzi hanno studiato, lavorato e partecipato ad ogni appello della patria. René ha combattuto in Angola, è ingegnere e istruttore di volo, militante del Partito Comunista di Cuba.
Nel 1990 gli viene affidata la delicata missione di sorvegliare le attività controrivoluzionarie che, alla luce del sole e senza che il governo degli Stati Uniti intervenga, vengono organizzate e preparate in Florida. Per questo si stabilisce a Miami dove, sette anni dopo, lo raggiunge sua moglie, Olga Salanueva, anche lei ingegnere, e dalla quale ha avuto una figlia, Irma, ormai grandicella. A Miami nasce la loro seconda figlia, Ivette. Neanche il tempo di vedere la piccola e René viene arrestato per spionaggio, tradotto in cella di isolamento e poi condannato a 15 anni. Sua moglie Olga è stata dichiarata persona non grata e “pericolosa per la sicurezza nazionale” e non ha mai avuto il permesso di visitare il marito in carcere. La piccola Ivette ha potuto vedere suo padre molti anni dopo la carcerazione. Adesso Renè ha scontato gran parte della pena e per gli ultimi due anni gode della libertà condizionata che deve scontare a Miami, cioè in quella città che pullula di pericolosi e violenti anticastristi. Nei mesi scorsi, a causa di una grave malattia che ha colpito suo fratello, René ha chiesto –come consente la legge- di poter visitare l’infermo a Cuba. Dopo molti tira e molla il permesso è stato accordato insieme a moltissime limitazioni e regole da rispettare. E così, una ventina di giorni fa il Granma ha sobriamente informato dell’arrivo di uno dei Cinque, cioè di uno di quegli amatissimi eroi che i cubani vorrebbero vedere di ritorno in patria; eppure da quel momento c’è stato silenzio, fino a qualche giorno fa, quando abbiamo appreso che René era tornato a Miami. Ieri, però, René ha scritto una lettera per il suo popolo dove spiega le ragioni di tanta discrezione: sono tutte ragioni etiche che contribuiscono a fare di quest’uomo coraggioso un esempio di dignità che condivide con il popolo e il governo cubani. Ne avevamo già avuto molte prove, l’ultima delle quali la lettera inviata a suo fratello malato terminale in un momento in cui non era certo che potesse accorrere al suo capezzale. Quella lettera l’ho tradotta per questo taccuino qualche settimana fa e adesso ho tradotto il suo “Messaggio al mio popolo” del 14 aprile scorso:
Cari compatrioti,
di ritorno nel mondo dell’assurdo dopo una troppo breve visita alla mia patria che ha suscitato in qualcuno le più diverse elucubrazioni - molte a un livello di follia alla quale solo i detrattori della nostra società possono arrivare - è tempo di saldare un debito con il nostro popolo attraverso queste parole. Non sono dirette a coloro che speravano di criticarci anticipando che il mio viaggio a Cuba si sarebbe trasformato in un atto politico e che ora lo fanno perchè si è rivelato un esempio di discrezione; neanche a coloro che pronosticavano che non sarei ritornato e che adesso cercano le più diverse ragioni del perché non l’ho fatto. Si tratta di un elementare dovere di fronte a un popolo che ha sentito come suo il sollievo che ha significato questa parentesi, molti dei cui figli nel migliore spirito di solidarietà e di generosità si aspettavano di poter partecipare alla mia visita. Solo a questi ultimi lo devo.
Come è stato correttamente spiegato, la mia richiesta di venire a Cuba aveva un carattere umanitario alla luce della lettera e dello spirito della figura giuridica della libertà condizionata. Non si è trattato di un favore e nemmeno di una richiesta politica, ma di una situazione prevista dalla legge, la cui soluzione è stata accompagnata dal più rigoroso rispetto della stessa. Con lo stesso spirito di rispetto della legalità che ci ha guidato fin dal principio di questo processo, era imprescindibile che il mio soggiorno in patria non si trasformasse in qualcosa che stridesse con la natura di una simile richiesta. Ne andava della nostra parola e si metteva in gioco lo spazio morale che durante questi anni noi Cinque ci siamo conquistati in questa storia.
Da quanto detto deriva la poca esposizione data alla visita, che per qualcuno è potuta apparire sorprendente. Siamo sicuri che questa spiegazione sarà ben compresa da tutti quelli che ci vogliono bene e che vedevano nella mia visita la possibilità di qualche manifestazione pubblica di festeggiamenti e di gioia. Le limitazioni imposte dalla natura del mio viaggio hanno reso impossibile ciò, a parte quanto è stato possibile propiziare spontaneamente nei luoghi in cui la mia presenza era inevitabile per ragioni di obbligato ringraziamento o di passate vicissitudini; aggiungiamoci le restrizioni di tempo date dall’incontro con la mia famiglia e il tempo trascorso con mio fratello ammalato che era il motivo diretto del mio viaggio.
Delle mie brevi camminate per le nostre strade e del contatto spontaneo con il nostro popolo serbo ricordi indelebili, che mi servono di ispirazione e mi danno forza. Da cubani di ogni genere ho ricevuto in questi giorni un affetto semplice e sincero, rispettoso delle condizioni del mio viaggio e della discrezione che esigeva, dimostrato in tutti i modi possibili. So che attraverso ognuno di questi compatrioti mi raggiungeva l’affetto dei milioni che avrebbero voluto essere al corrente del nostro soggiorno. A tutti –sia a quelli che mi hanno onorato con il loro contatto che a quelli che no- voglio esprimere il mio profondo ringraziamento sia per le dimostrazioni di generoso rispetto che per le loro espressioni di solidarietà e per gli auguri rivolti a mio fratello.
Di ritorno al mondo dell’assurdo, mi preparo a continuare questa lunga battaglia affinché si faccia giustizia. Era indispensabile che la mia condotta a Cuba fosse di estrema moderazione. Era impensabile che non ritornassi. Porto nel cuore le intense emozioni di questi belli quattordici giorni insieme al mio popolo, dove un giorno festeggeremo il ritorno dei cinque.
Per il momento, a tutti, a nome della mia famiglia e mio, rivolgo il nostro più profondo ringraziamento.
E a nome dei cinque, ribadisco che non verremo meno e saremo sempre degni di voi.
Un forte abbraccio
René González Schwerter

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